Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21955 del 12/10/2020

Cassazione civile sez. II, 12/10/2020, (ud. 23/07/2020, dep. 12/10/2020), n.21955

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 22192/2019 R.G. proposto da:

H.E., c.f. (OMISSIS), elettivamente domiciliato, con

indicazione dell’indirizzo p.e.c., in Avellino, al corso Umberto I,

n. 119, presso lo studio dell’avvocato Elena Tordela, che lo

rappresenta e difende in virtù di procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’INTERNO, c.f. (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore;

– intimato –

avverso il decreto n. 5472/2019 del Tribunale di Napoli;

udita la relazione nella Camera di consiglio del 23 luglio 2020 del

consigliere Dott. Luigi Abete.

 

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO

1. H.E., cittadino del (OMISSIS), di religione musulmana, formulava istanza di protezione internazionale.

Esponeva che nel suo paese d’origine aveva avuto una relazione sentimentale con una ragazza sua conterranea; che nondimeno i familiari della fidanzata avevano osteggiato, con minacce e persecuzioni, la relazione ed avevano costretto la ragazza a sposare un altro uomo; che, onde sottrarsi al matrimonio indesiderato, la donna si era suicidata ingerendo sostanze velenose; che di seguito era stato costretto, utilizzando un passaporto falso, ad abbandonare il suo paese d’origine, siccome minacciato di morte e perseguitato dai familiari della fidanzata, i quali lo avevano falsamente accusato di aver indotto la donna ad avvelenarsi; che era giunto in Italia il 31.8.2016, transitando dapprima per la Libia.

2. La competente Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale rigettava l’istanza.

3. Con decreto n. 5472/2019 il Tribunale di Napoli respingeva il ricorso con cui H.E., avverso il provvedimento della commissione territoriale, aveva chiesto il riconoscimento dello status di rifugiato, in subordine il riconoscimento della protezione sussidiaria, in ulteriore subordine il riconoscimento della protezione umanitaria.

Evidenziava il tribunale che condivisibilmente la competente commissione territoriale aveva reputato non credibili le dichiarazioni rese dal ricorrente.

Evidenziava quindi che non sussistevano i presupposti necessari ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato.

Evidenziava inoltre che non sussistevano i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2014, art. 14, ex lett. c).

Evidenziava infine che non sussistevano i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria.

Evidenziava segnatamente che la documentazione depositata, per giunta tardivamente, non dava conto di situazioni di vulnerabilità in caso di rimpatrio; che il riscontro del rapporto di lavoro a tempo determinato intrattenuto in Italia era comunque ultroneo.

4. Avverso tale decreto ha proposto ricorso H.E.; ne ha chiesto

sulla scorta di sette motivi la cassazione con ogni susseguente statuizione.

Il Ministero dell’Interno non ha svolto difese.

5. Con il primo motivo il ricorrente solleva questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, come modificato della L. n. 46 del 2017, art. 6, comma 1, lett. g), per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1, art. 24 Cost., commi 1 e 2 e art. 111 Cost., commi 1, 2 e 7, nella parte in cui stabilisce, in deroga all’ordinario termine, che il termine per proporre ricorso per cassazione è di trenta giorni dalla comunicazione del decreto a cura della cancelleria.

6. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.

7. La questione di legittimità costituzionale non è rilevante nel caso de quo, giacchè il ricorso per cassazione – così come riferisce lo stesso ricorrente (cfr. pag. 2) – è stato proposto nel rispetto del termine di trenta giorni.

8. Al contempo la quaestio legitimitatis è manifestamente infondata.

E’ sufficiente il rinvio all’elaborazione giurisprudenziale di questa Corte secondo cui è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, relativa all’eccessiva limitatezza del termine di trenta giorni prescritto per proporre ricorso per cassazione avverso il decreto del tribunale, poichè la previsione di tale termine è espressione della discrezionalità del legislatore e trova fondamento nelle esigenze di speditezza del procedimento (cfr. Cass. 5.7.2018, n. 17717 (rv. 649521-03); Cass. (ord.) 5.11.2018, n. 28119).

9. Con il secondo motivo il ricorrente solleva questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, come modificato dalla L. n. 46 del 2017, art. 6, comma, lett. g), per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1, art. 24 Cost., commi 1 e 2 e art. 111 Cost., commi 1, 2 e 7, nella parte in cui stabilisce che la procura alle liti per la proposizione del ricorso per cassazione deve essere conferita, a pena di inammissibilità del ricorso, in data successiva alla comunicazione del decreto impugnato.

10. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile.

11. La questione di legittimità costituzionale non è rilevante nel caso de quo, giacchè la procura alle liti – così come riferisce lo stesso ricorrente (cfr. pag. 4) – è stata conferita in modo rituale.

12. Al contempo la quaestio legitimitatis è manifestamente infondata.

E’ sufficiente il rinvio all’elaborazione giurisprudenziale di questa Corte secondo cui è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, nella parte in cui stabilisce che la procura alle liti per la proposizione del ricorso per cassazione debba essere conferita, a pena di inammissibilità, in data successiva alla comunicazione del decreto da parte della cancelleria, poichè tale previsione non determina una disparità di trattamento tra la parte privata ed il Ministero dell’Interno, che non deve rilasciare procura, armonizzandosi con il disposto dell’art. 83 c.p.c., quanto alla specialità della procura, senza escludere l’applicabilità dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 3 (cfr. Cass. 5.7.2018, n. 17717 (rv. 649521-04)).

13. Con il terzo motivo il ricorrente solleva questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, quale introdotto della L. n. 46 del 2017, art. 6, comma 1, lett. g), per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1, art. 24 Cost., commi 1 e 2, art. 111 Cost., commi 1, 2 e 5 e art. 117 Cost., comma 1 – come integrato dall’art. 46, par. 3, della direttiva n. 32/2013 e dagli artt. 6 e 13C.E.D.U. – con riferimento alla prefigurazione, nelle controversie in materia di protezione internazionale, del rito camerale ex artt. 737 c.p.c. e segg..

14. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile.

15. La quaestio legitimitatis è manifestamente infondata.

E’ sufficiente il rinvio all’elaborazione giurisprudenziale di questa Corte secondo cui è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, per violazione del diritto di difesa e del principio del contraddittorio, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 1, poichè il rito camerale ex art. 737 c.p.c., che è previsto anche per la trattazione di controversie in materia di diritti e di “status”, è idoneo a garantire il contraddittorio anche nel caso in cui non sia disposta l’udienza, sia perchè tale eventualità è limitata solo alle ipotesi in cui, in ragione dell’attività istruttoria precedentemente svolta, essa appaia superflua, sia perchè in tale caso le parti sono comunque garantite dal diritto di depositare difese scritte (cfr. Cass. 5.7.2018, n. 17717 (rv. 649521-02)).

16. Si badi, in pari tempo, che, nel caso di specie, il Tribunale di Napoli ha fissato l’udienza del 27.5.2019, nel corso della quale non è comparso il difensore del ricorrente nonostante la rituale, tempestiva comunicazione del decreto recante fissazione dell’udienza (cfr. decreto impugnato, pag. 2).

17. Con il quarto motivo – formulato in via subordinata – il ricorrente solleva questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, commi 9, 10 e 11, come modificato dalla L. n. 46 del 2017, art. 6, comma 1, lett. g), per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1, art. 24 Cost., art. 111 Cost., commi 1 e 2 e art. 117 Cost., comma 1, come integrato dall’art. 46, par. 3, della direttiva n. 32/2013 e dagli artt. 6 e 13C.E.D.U..

Deduce che ha chiesto al Tribunale di Napoli la fissazione dell’udienza a motivo dell’indisponibilità della video-registrazione dell’audizione dinanzi alla commissione territoriale.

18. Il quarto motivo di ricorso è inammissibile.

19. La questione di legittimità costituzionale non è rilevante nel caso di specie, giacchè – lo si è anticipato – il Tribunale di Napoli ha fissato l’udienza del 27.5.2019, nel corso della quale non è comparso il difensore del ricorrente nonostante la rituale, tempestiva comunicazione del decreto recante fissazione dell’udienza (cfr. decreto impugnato, pag. 2).

20. Ovviamente va ribadito il riferimento alla pronuncia (cfr. Cass. 5.7.2018, n. 17717 (rv. 649521-02)) menzionata in sede di disamina del terzo mezzo di impugnazione (cfr. anche Cass. 28.2.2019, n. 5973).

21. Con il quinto motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, commi 9, 10 e 11.

Deduce che ha chiesto al Tribunale di Napoli la fissazione dell’udienza a motivo altresì dell’indisponibilità della video-registrazione dell’audizione dinanzi alla commissione territoriale.

Deduce che tuttavia il tribunale ha rigettato la richiesta, benchè mediante la sua audizione sarebbe stato possibile attendere al puntuale vaglio delle sue dichiarazioni.

22. Il quinto motivo di ricorso è inammissibile.

23. Il mezzo in disamina non si correla all’impugnata statuizione.

E’ sufficiente reiterare che, contrariamente all’assunto del ricorrente, il tribunale ha fissato l’udienza del 27.5.2019, durante la quale non è comparso il difensore del ricorrente nonostante la rituale, tempestiva comunicazione del decreto di fissazione dell’udienza (cfr. decreto impugnato, pag. 2).

24. Con il sesto motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, in combinato disposto con l’art. 5, comma 6 e art. 19, comma 1 del T.U.IM.; denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14.

Deduce che il tribunale non ha valutato correttamente le sue dichiarazioni. Deduce che il tribunale non ha svolto alcun accertamento circa la situazione attualmente esistente nella regione del Bangladesh di sua provenienza.

Deduce che ha errato il tribunale a negare i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria, viepiù che ha lasciato il suo paese d’origine allorchè era ancora molto giovane.

Deduce che l’attuale situazione politica e socioeconomica del Bangladesh lo porrebbe in condizioni di particolare vulnerabilità, qualora rimpatriato.

25. Con il settimo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 10 Cost., la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2 e art. 3, comma 8, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2,3,7 e 14, la violazione della direttiva n. 2004/83, la violazione dell’art. 8 della direttiva 2004/83/ce, la violazione dell’art. 8 della direttiva n. 2001/95/UE, la violazione dell’art. 3 C.E.D.U..

Deduce che, così come si evince dal rapporto di “Amnesty International”

dell’anno 2016 e dal rapporto “Refworld” dell’anno 2016, il Bangladesh è interessato da situazioni di conflitto armato e di violenza indiscriminata, dalla menomazione delle libertà e garanzie democratiche, dal fenomeno delle sparizioni forzate, dalla pratica della tortura e dei maltrattamenti da parte dell’autorità governativa.

26. Il sesto ed il settimo motivo di ricorso sono strettamente connessi; il che ne suggerisce l’esame contestuale; ambedue i motivi sono in ogni caso inammissibili.

27. La valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento “di fatto” rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c); tale apprezzamento “di fatto” è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr. Cass. (ord.) 5.2.2019, n. 3340).

28. Su tale scorta, nel segno dunque del novello dettato del n. 5 dell’art. 360 c.p.c., comma 1 e nel solco dell’insegnamento n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite di questa Corte, si rappresenta quanto segue.

Da un canto, il Tribunale di Napoli ha dato compiutamente conto della incongruenza e della inverosimiglianza delle dichiarazioni rese dal ricorrente.

Il tribunale ha, tra l’altro, rimarcato (cfr. decreto impugnato, pag. 5) che in nessun modo risultava che il ricorrente fosse stato denunciato o sottoposto ad indagini o procedimenti penali; tanto a riscontro dell’inattendibilità delle dichiarazioni dello stesso H.E..

D’altro canto, il ricorrente senza dubbio sollecita questa Corte a far luogo ad una “diversa lettura” della vicenda narrata alla luce dell’addotta situazione di grave insicurezza esistente in Bangladesh (il tribunale non ha considerato il fatto che “fosse scappato via dal Bangladesh per sottrarsi alle minacce di morte provenienti dalla famiglia della fidanzata”: così ricorso, pag. 14).

29. Si tenga conto che nel giudizio relativo alla protezione internazionale del cittadino straniero, la valutazione di attendibilità, di coerenza intrinseca e di credibilità della versione dei fatti resa dal richiedente, non può che riguardare tutte le ipotesi di protezione prospettate nella domanda, qualunque ne sia il fondamento; cosicchè, ritenuti non credibili i fatti allegati a sostegno della domanda, non è necessario far luogo a un approfondimento istruttorio ulteriore, attivando il dovere di cooperazione istruttoria officiosa incombente sul giudice, dal momento che tale dovere non scatta laddove sia stato proprio il richiedente a declinare, con una versione dei fatti inaffidabile o inattendibile, la volontà di cooperare, quantomeno in relazione all’allegazione affidabile degli stessi (cfr. Cass. (ord.) 20.12.2018, n. 33096; Cass. 12.6.2019, n. 15794).

Su tale scorta a nulla vale che il ricorrente adduca che ha errato il tribunale a disconoscere il fumus persecutionis ai suoi danni alla stregua della ritenuta inattendibilità delle sue dichiarazioni (cfr. ricorso, pag. 15).

Su tale scorta a nulla vale che il ricorrente adduca che, ai fini dell’invocata protezione, il danno grave ovvero la persecuzione ben possono provenire, siccome nel suo caso, da soggetti privati, qualora l’autorità statale del paese d’origine non è in grado di garantire adeguata tutela (cfr. ricorso, pag. 13).

30. Con i motivi di impugnazione in disamina il ricorrente, inoltre, censura il giudizio “di fatto” cui il tribunale ha atteso ai fini del riscontro dell’ipotesi di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

31. Del resto, in tema di protezione sussidiaria, l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dalla medesima disposizione, implica un apprezzamento “di fatto” rimesso al giudice del merito; il risultato di tale indagine può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (cfr. Cass. 21.11.2018, n. 30105; Cass. (ord.) 12.12.2018, n. 32064).

32. Su tale scorta, nel solco del già menzionato insegnamento n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite, si osserva quanto segue.

Per un verso, è da escludere che taluna delle figure di “anomalia motivazionale” destinate ad acquisire significato alla luce della citata pronuncia delle sezioni unite, possa scorgersi in relazione alle motivazioni cui, in parte qua, il Tribunale di Napoli ha ancorato il suo dictum.

Invero il tribunale ha compiutamente ed intellegibilmente esplicitato il proprio iter argomentativo.

In particolare ha evidenziato (cfr. decreto impugnato, pagg. 5 – 6) che il rapporto “USDOS, Country Report on Uman Rights Practices 2017” non dava conto dell’esistenza in Bangladesh di situazioni di violenza indiscriminata derivante da conflitti armati interni o internazionali; che “le maggiori criticità del Paese riguardano piuttosto i conflitti tra il partito di maggioranza (AL) ed il partito di opposizione ((OMISSIS))” (così decreto impugnato, pag. 6).

Per altro verso, il tribunale ha sicuramente disaminato il fatto decisivo caratterizzante, in parte qua, la res litigiosa, ossia la concreta sussistenza, con riferimento al Bangladesh, dell’ipotesi in astratto prefigurata del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

33. Senza dubbio, in tema di concessione del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, la condizione di “vulnerabilità” del richiedente deve essere verificata caso per caso, all’esito di una valutazione individuale della sua vita privata in Italia, comparata con la situazione personale vissuta prima della partenza ed alla quale si troverebbe esposto in caso di rimpatrio, non potendosi tipizzare le categorie soggettive meritevoli di tale tutela che è invece atipica e residuale, nel senso che copre tutte quelle situazioni in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento dello status di “rifugiato” o della protezione sussidiaria, tuttavia non possa disporsi l’espulsione (cfr. Cass. 15.5.2019, n. 13079; cfr. Cass. 23.2.2018, n. 4455, secondo cui, in materia di protezione umanitaria, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza).

34. E nondimeno non può che darsi atto che le ragioni di censura che i mezzi in esame veicolano, non si correlano puntualmente alla ratio decidendi in parte qua del l’impugnato dictum.

Invero il tribunale ha dato atto della tardiva produzione della documentazione allegata ai fini della domanda di protezione umanitaria.

Ebbene siffatta affermazione non risulta specificamente censurata.

35. Comunque, i motivi de quibus, al più, recano censura del giudizio “di fatto” cui, pure in parte qua, il tribunale ha atteso, giudizio “di fatto” inevitabilmente postulato dalla valutazione comparativa, caso per caso, necessaria ai fini del riscontro della condizione di “vulnerabilità” – e soggettiva e oggettiva – del richiedente.

36. Ebbene, in quest’ottica, analogamente nei limiti della novella formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ed alla luce della pronuncia n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite, non può che opinarsi nel senso che nessuna ipotesi di “anomalia motivazionale” inficia, anche in parte qua, le motivazioni del dictum partenopeo.

Del resto, il ricorrente correla la prefigurata sua elevata vulnerabilità, in ipotesi di rimpatrio, alla pretesa precaria situazione sociale, politica ed economica del Bangladesh (cfr. ricorso, pagg. 13, 14 e 16) ed all’asserita documentata sua effettiva integrazione in Italia (cfr. ricorso, pag. 13).

E però in tal guisa sollecita questo Giudice del diritto a valutazioni rilevanti sul piano del giudizio “di fatto” nonchè al riesame delle risultanze istruttorie.

37. Dai rilievi tutti in precedenza esposti si evince, in conclusione, che il tribunale ha statuito in modo conforme alla giurisprudenza di questa Corte.

Il ricorso quindi è nel complesso inammissibile ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1 (cfr. Cass. sez. un. 21.3.2017, n. 7155).

38. Nessuna statuizione in ordine alle spese del presente giudizio va assunta.

Invero il Ministero dell’Interno non ha svolto difese.

39. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, D.P.R. cit., se dovuto (cfr. Cass. sez. un. 20.2.2020, n. 4315).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, D.P.R. cit., se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 23 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2020

 

 

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