Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21955 del 02/09/2019

Cassazione civile sez. II, 02/09/2019, (ud. 10/05/2019, dep. 02/09/2019), n.21955

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORICCHIO Antonio – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29399/2015 proposto da:

STAS SRL, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DARDANELLI N. 46,

presso lo studio dell’avvocato SANDRO BRAVI, rappresentato e difeso

dall’avvocato SIMONE PAGLIARECCI;

– ricorrente –

e contro

C.G., T.V.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1866/2014 del TRIBUNALE di ANCONA, depositata

il 08/11/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

10/05/2019 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo C.G. e T.V. chiedevano la revoca del provvedimento monitorio e la restituzione di quanto pagato con spirito di rivalsa quale quota parte dei lavori condominiali eseguiti dalla STAS srl, ritenendo quest’ultima responsabile dei danni arrecati alla loro abitazione. In particolare, rilevavano che la Società opposta aveva danneggiato il tubo di scarico dell’impianto di condizionamento, determinando il diffondersi all’interno della propria abitazione di umidità e muffe.

2. Il giudice di pace di Ancona accoglieva l’opposizione, revocava il decreto ingiuntivo e condannava la ditta opposta al pagamento, in favore degli opponenti, della somma di Euro 3470. Il giudice di primo grado motivava la decisione sulla base delle conclusioni del CTU, il quale aveva accertato che, durante i lavori per l’impermeabilizzazione della copertura del terrazzo degli opponenti, era stata utilizzata una fiamma, o altra fonte analoga di calore, e la perforazione del tubo da cui si era originata l’infiltrazione di acqua era compatibile con l’utilizzo di detta fonte di calore che aveva prodotto una fusione del materiale plastico componente lo stesso.

3. Avverso la suddetta sentenza la ditta STAS srl proponeva appello.

4. Il Tribunale di Ancona rigettava quasi integralmente l’appello, accogliendo solo il motivo di gravame relativo alla riduzione del credito vantato dagli appellati di Euro 32,83 e, per l’effetto, rideterminava la somma che la società appellante doveva pagare in favore degli appellati in Euro 3437,2.

Il Tribunale, in particolare, rigettava i motivi di appello relativi alla pretesa violazione del contraddittorio durante le operazioni peritali che si erano svolte senza la presenza dell’avvocato e del consulente tecnico di parte e, inoltre, con l’utilizzo di documenti non prodotti dalle parti in corso di causa ma consegnati al consulente in occasione dello svolgimento delle operazioni peritali. Secondo il Tribunale la ricostruzione dei fatti, riguardo la violazione del contraddittorio, non era fornita di alcun supporto probatorio ed era smentita dal verbale di sopralluogo del 26 gennaio 2009, dotato di fede privilegiata, in quanto redatto da pubblico ufficiale. Quanto alla documentazione acquisita dal consulente, secondo il Tribunale, le informazioni assunte riguardavano fatti accessori e strumentali all’accertamento ed era in potere del consulente acquisire tali informazioni, ai sensi dell’art. 194 c.p.c., anche in mancanza di espressa autorizzazione del giudice.

4.1 Infine, nel merito, il giudice del gravame evidenziava che il giudizio di compatibilità espresso dal primo giudice, che traeva il suo fondamento dall’esito della consulenza tecnica, doveva condividersi in ragione delle caratteristiche del danno subito dagli appellati perforazione del tubo mediante fusione del materiale plastico e della tipologia dei lavori eseguiti dalla società appellante che implicavano l’utilizzo di una fonte di calore in una zona vicino al tubo. Da tali circostanze, mai contestate, emergeva con tutta evidenza che le bruciature che avevano perforato il tubo erano state cagionate dal maldestro utilizzo della fonte di calore indicata dal consulente.

L’eccezione dell’appellante secondo la quale il consulente non aveva visionato il tubo non poteva condividersi, in quanto dalla stessa consulenza emergeva che il consulente aveva visionato il tubo ed aveva apprezzato l’esistenza delle infiltrazioni e, in ogni caso, non era stata fornita alcuna prova del contrario.

Infine, l’utilizzo di una fiamma ossidrica e la tipologia del danno, circostanze non contestate, facevano ritenere la sussistenza della responsabilità della STAS srl, per i danni oggetto di causa, e ciò anche senza l’ausilio della consulenza, non essendo dubbio, sulla base di tali fatti, il rapporto eziologico esistente tra l’utilizzo della fiamma ossidrica e la perforazione del tubo; ciò determinava la non rilevanza del motivo di appello relativo alla violazione del contraddittorio.

Nella restante parte della sentenza, in accoglimento parziale dei motivi di appello 1 e 4 che non rilevano nel presente giudizio, il Tribunale evidenziava che gli appellati avevano effettivamente chiesto con l’atto di opposizione la ripetizione di quanto da loro pagato all’impresa con spirito di rivalsa quale quota parte per i lavori condominiali eseguiti e che gli opponenti dovevano comunque pagare la loro quota di spese per i lavori condominiali eseguiti, potendo esclusivamente compensare tale credito con il danno patito, sicchè in base ai conteggi la condanna della società andava ridotta di Euro 32,83.

5. La STAS srl ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di tre motivi.

6. Le parti intimate non si sono costituite.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: nullità della CTU, violazione del contraddittorio, vizio procedurale con conseguente illegittimità ed erroneità della sentenza, violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all’art. 195 c.p.c..

La società ricorrente ritiene erronea la statuizione del Tribunale, quale giudice di secondo grado, circa l’infondatezza del motivo di appello con la quale aveva eccepito la violazione del contraddittorio e la violazione dell’art. 195 c.p.c., comma 2, avendo il consulente fatto uso di documentazione fornita dalla parte senza l’intervento del giudice.

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: “nullità della CTU, vizio procedurale con conseguente illegittimità ed erroneità della sentenza, violazione degli artt. 194 e 195 c.p.c. e art. 90 disp. att. c.p.c., artt. 3,111 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, lett. c”.

Il ricorrente evidenzia che il consulente aveva dichiarato un fatto diverso rispetto alla descrizione contenuta nel verbale delle operazioni peritali dal quale si evince che durante il sopralluogo erano presenti solo lui e la controparte e, in tale occasione, gli erano stati consegnati i documenti indicati con i numeri 1, 2 e 3. Dunque, si era realizzata la violazione dell’art. 90 disp. att. c.c., comma 2, secondo il quale il consulente tecnico non può ricevere scritti defensionali oltre quelli contenenti le osservazioni e le istanze di parte consentite dall’art. 194 c.p.c..

In ogni caso doveva essere comunicata una copia di tali scritti, il difensore non aveva mai prestato il consenso alla produzione di documenti e aveva subito eccepito la nullità della consulenza. Pertanto, poichè la sentenza si basava esclusivamente sulla consulenza tecnica d’ufficio, la sua nullità dovrebbe inficiare l’intera pronuncia.

3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia, violazione art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Il giudice di appello avrebbe omesso di decidere in ordine al motivo fondamentale di appello in ordine alla prova dei fatti dedotti dagli opponenti e sul nesso causale tra le attività della STAS srl e il danno. Il giudice di appello avrebbe completamente omesso di decidere sul punto riguardante il difetto di motivazione della sentenza di primo grado sulla prova del nesso causale.

3.1 Il collegio ritiene debba preliminarmente esaminarsi il terzo motivo di ricorso che è infondato e determina l’inammissibilità dei restanti primi due motivi.

Il ricorrente lamenta l’omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Al di là della formulazione della rubrica del terzo motivo che erroneamente richiama la precedente formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, il ricorrente si duole dell’omesso esame di un fatto storico dedotto con il motivo di appello e relativo alla mancanza di prova del danno e del nesso causale.

La Corte d’Appello ha ampiamente motivato sul punto, affermando che, a prescindere dalla consulenza tecnica, l’utilizzo di una fiamma ossidrica e la tipologia del danno, tubo bruciato con conseguenze perforazione – circostanze allegate dagli opponenti sin dall’atto introduttivo del giudizio e mai contestate dalla controparte opposta, che si era limitata ad affermare di non aver procurato il lamentato foro – erano elementi sufficienti, anche senza l’ausilio della consulenza tecnica a fondare la responsabilità della STAS srl per i danni oggetto della causa, sussistendo il nesso causale tra l’utilizzo della fiamma ossidrica e la perforazione del tubo bruciato. In base a tale argomentazione la Corte d’Appello riteneva infondato il motivo di appello relativo alla mancata prova del nesso causale e irrilevante quello relativo alla violazione del contraddittorio nell’espletamento della consulenza tecnica.

Da quanto riportato risulta evidente che non vi è stata alcuna omessa pronuncia o omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti e che il ricorrente, con il motivo in esame, inammissibilmente richiede una nuova e diversa valutazione di elementi istruttori. Tale censura non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, in quanto il fatto storico, rilevante in causa, è stato preso in considerazione dal giudice.

Giova ribadire che questa Corte ha ripetutamente chiarito che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Costituisce, pertanto, un “fatto”, agli effetti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non una “questione” o un “punto”, ma un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza naturalistica, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante (Cass. Sez. 1, 04/04/2014, n. 7983; Cass. Sez. 1, 08/09/2016, n. 17761; Cass. Sez. 5, 13/12/2017, n. 29883; Cass. Sez. 5, 08/10/2014, n. 21152; Cass. Sez. U., 23/03/2015, n. 5745; Cass. Sez. 1, 05/03/2014, n. 5133). Non costituiscono, viceversa, “fatti”, il cui omesso esame possa cagionare il vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5: le argomentazioni o deduzioni difensive (Cass. Sez. 2, 14/06/2017, n. 14802: Cass. Sez. 5, 08/10/2014, n. 21152); gli elementi istruttori; una moltitudine di fatti e circostanze, o il “vario insieme dei materiali di causa”.

4. In relazione ai restanti due motivi gli stessi sono inammissibili. Tali motivi attengono alla presunta nullità della consulenza tecnica espletata nel giudizio di primo grado.

La sentenza impugnata, come si è detto, ha affermato che la prova del danno e del nesso causale emergeva da circostanze pacifiche e non contestate quali l’utilizzo della fiamma ossidrica e la tipologia del danno e che non era necessario, a tal fine, l’utilizzo della consulenza tecnica e che, pertanto, era irrilevante il motivo di appello relativo alla violazione del contraddittorio.

Ne consegue che a seguito del rigetto del terzo motivo inerente la mancanza di prova del nesso causale, i primi due motivi relativi alla violazione del contraddittorio nell’espletamento della consulenza tecnica sono inammissibili in quanto la sentenza si fonda su un’autonoma ratio decidendi.

Infatti, secondo l’orientamento consolidato di questa Corte: “Il giudice di merito che, dopo avere aderito ad una prima “ratio decidendi”, esamini ed accolga anche una seconda “ratio”, al fine di sostenere la propria decisione, non si spoglia della “potestas iudicandi”, atteso che l’art. 276 c.p.c., distingue le questioni pregiudiziali di rito dal merito, ma non stabilisce, all’interno di quest’ultimo, un preciso ordine di esame delle questioni; in tale ipotesi, pertanto, la sentenza risulta sorretta da due diverse “rationes decidendi”, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, sicchè l’inammissibilità – o il rigetto – del motivo di ricorso attinente ad una di esse rende irrilevante l’esame dei motivi riferiti all’altra, i quali non risulterebbero in nessun caso idonei a determinare l’annullamento della sentenza impugnata, risultando comunque consolidata l’autonoma motivazione oggetto della censura dichiarata inammissibile o infondata (Sez. 3, Ord. n. 15399 del 2018).

5. Il ricorso è rigettato.

7. Si dà atto sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 10 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 2 settembre 2019

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