Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21954 del 24/10/2011

Cassazione civile sez. I, 24/10/2011, (ud. 01/07/2011, dep. 24/10/2011), n.21954

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Grazia – Presidente –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso n. 16260 dell’anno 2007 proposto da:

P.V. rappresentato e difeso, giusta procura speciale in

calce al ricorso, dall’Avv. Passaro Amedeo;

– ricorrente –

contro

N.I. elettivamente domiciliata in Roma, Via F. Cesi, n.

21, nello studio dell’Avv. Antonietta D’Angelo, rappresentata e

difesa, giusta procura speciale in calce al controricorso, dall’Avv.

Grassi Paolo.

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di Appello di Napoli n. 1073,

depositata in data 11 aprile 2007;

sentita la relazione all’udienza del 1 luglio 2011 del consigliere

Dott. Pietro Campanile;

Udite le richieste del Proc. Gen., in persona del Sost. Dott.ssa

Antonietta Carestia, la quale ha concluso per l’inammissibilità del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1 – Con ricorso depositato in data 10 gennaio 2005 N.I. adiva il Tribunale di Napoli per ottenere, nei confronti del coniuge P.V., la pronuncia di cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto in (OMISSIS), essendo intervenuta separazione consensuale omologata in data (OMISSIS). Il P., dopo essersi inizialmente opposto alla domanda, deducendo che la ricorrente non aveva rispettato le condizioni della separazione consensuale, successivamente aderiva alla domanda di divorzio, che, su concorde richiesta delle parti, veniva pronunciato con sentenza parziale del 26 maggio/13 giugno 2006, disponendosi la prosecuzione del giudizio in relazione alle questioni di natura patrimoniale.

1.1 – Con ricorso depositato in data 10 novembre 2006 il P. proponeva appello avverso tale pronuncia, deducendo che la prestazione del proprio consenso alla separazione consensuale era viziata, essendo subordinato alla promessa della N., non adempiuta, di destinare parte del denaro proveniente dalla vendita della casa coniugale all’acquisto di un immobile per la figlia.

1.2 – La Corte di appello dichiarava inammissibile il gravame sotto due profili, sia per l’assenza di uno specifico interesse ad impugnare, essendo la sentenza impugnata scaturita da una concorde richiesta delle parti, sia per la novità della questione, dedotta per la prima volta in appello.

1.3 – Per la cassazione di tale decisione il P. propone ricorso, affidato a un motivo.

La N. resiste con controricorso, illustrato con memoria, chiedendo altresì la condanna del ricorrente ai sensi dell’art. 96 c.p.c..

Il Collegio ha disposto la motivazione in forma semplificata della sentenza.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

2. – Con unico motivo il ricorrente denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sostenendo che la sottoscrizione del verbale di separazione era condizionata all’adempimento dell’obbligo, da parte della N., di alienare un appartamento, destinando parte del ricavato all’acquisto di un bene immobile in capo alla figlia. L’inosservanza di tale obbligazione avrebbe determinato il vizio del consenso.

2.1 – Il ricorso è inammissibile.

La corte territoriale ha enucleato due distinte ragioni dell’inammissibilità del gravame, sia per difetto di interesse ad impugnare, essendo la pronuncia relativa, alla cessazione degli effetti civili del matrimonio intervenuta dietro concorde richiesta di entrambe le parti, sia per la novità dell’allegazione del vizio relativo alla separazione consensuale.

2.2 – Il ricorrente non ha in alcun modo censurato le affermazioni relative alla prima ratio decidendi, ragion per cui deve applicarsi il principio secondo cui, ove la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza (Cass., 11 febbraio 2011, n. 3386; Cass., 20 novembre 2009, n. 24540;

Cass., 5 giugno 2007, n. 13070; Cass. Sez.Un., 8 agosto 16602).

Pertanto, essendosi formato il giudicato per omessa impugnazione della declaratoria di inammissibilità dell’appello, per altro ineccepibilmente fondata sul rilievo della carenza di interesse ad impugnare (Cass., 10 dicembre 2009, n. 25821), il ricorso, per l’indicata ragione, deve essere dichiarato inammissibile.

3. – La declaratoria di inammissibilità comporta la condanna della ricorrente al pagamento delle spese relative al presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.

3.1 – La domanda della N. relativa al risarcimento dei danni ex art. 96 c.p.c., ancorchè validamente proposta con controricorso (Cass., 27 novembre 2007, n. 24645; Cass. 13 dicembre 1990, n. 11831), non è confortata da alcuna deduzione in relazione all’elemento soggettivo facente capo alla controparte, nè, soprattutto, alla sussistenza del danno di cui si chiede la liquidazione in via equitativa. Ben vero, la facoltà, concessa dall’art. 96 c.p.c., nella formulazione anteriore alle modifiche introdotte dalla L. n. 69 del 2009 (inapplicabili, ratione temporis, nel presente giudizio), di liquidare d’ufficio il danno da responsabilità aggravata risponde al criterio generale di cui agli art. 1226 e 2056 c.c., senza alcuna deroga all’onere di allegazione degli elementi di fatto idonei a dimostrarne l’effettività: tale facoltà, invero, non trasforma il risarcimento in una piena pecuniaria, nè in un danno punitivo disancorato da qualsiasi esigenza probatoria, restando esso connotato dalla natura riparatoria di un pregiudizio effettivamente sofferto senza assumere, invece, carattere sanzionatorio od afflittivo. Tale interpretazione è, altresì, avvalorata dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 45, comma 12, il quale ha aggiunto un all’art. 96 c.p.c., comma 3 introducendo una vera e propria pena pecuniaria, indipendente sia dalla domanda di parte, sia dalla prova del danno causalmente derivato traila condotta processuale dell’avversario (Cass., 30 luglio 2010, n. 17902).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controparte, delle spese processuali relative al presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 1.700,00, di cui Euro 1.500,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge, da distrarsi a favore del procuratore Avv. Paolo Grassi, dichiaratosi antistatario.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della prima sezione civile, il 1 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 24 ottobre 2011

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