Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21953 del 24/10/2011

Cassazione civile sez. I, 24/10/2011, (ud. 27/06/2011, dep. 24/10/2011), n.21953

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – rel. Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 18701-2005 proposto da:

A.G. (C.F. (OMISSIS)), A.D.,

P.A., D.C., S.M.A.,

A.M., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA PANAMA

95, presso l’avvocato PICCIAREDDA FRANCO, che li rappresenta e

difende unitamente all’avvocato FILIGHEDDU ARRIGO, giusta procura a

margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

COMUNE DI OLBIA (C.F. (OMISSIS)), in persona del Sindaco pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE G. MAZZINI 14 0,

presso l’avvocato LUCATTONI PIERLUIGI, rappresentato e difeso

dall’avvocato PALITTA PAOLA, giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

contro

PI.AL., P.F., P.M.I.,

P.S., A.U.S.L. N. (OMISSIS);

– intimati –

avverso la sentenza n. 319/2004 della SEZIONE DISTACCATA DI SASSARI –

CORTE D’APPELLO di CAGLIARI, depositata il 26/05/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/06/2011 dal Consigliere Dott. MAGDA CRISTIANO;

uditi, per i ricorrenti, gli Avvocati FILIGHEDDU e PICCIAREDDA che

hanno chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito, per il controricorrente, l’Avvocato PALITTA che ha chiesto il

rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni che ha concluso per l’accoglimento del primo

motivo con assorbimento del secondo motivo del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

G., D. e A.M. (eredi A.) e Sa. ed P.E., con citazione del marzo 96, convennero in giudizio dinanzi al Tribunale di Tempio Pausania il Comune di Olbia e la USL n. (OMISSIS) di Olbia per sentirli condannare, in via fra loro alternativa o solidale, al risarcimento dei danni subiti per la perdita di un fondo di loro comune proprietà – occupato per la realizzazione della nuova sede della USL ed irreversibilmente trasformato, senza che la procedura fosse stata portata a termine con l’emissione del decreto di esproprio – oltre che per la diminuzione di valore di un contiguo appezzamento di terreno, divenuto inutilizzabile a seguito della costruzione dell’edificio.

Costituitisi i convenuti, la causa fu istruita mediante produzioni documentali e ctu e fu definita in primo grado con sentenza del Tribunale adito del 6.4.2000, che respinse la domanda nei confronti della USL e condannò il Comune di Olbia a pagare agli attori la somma di L. 544.013.364, maggiorata degli interessi legali e della rivalutazione monetaria, nonchè le spese di lite. La decisione fu appellata dall’ente territoriale dinanzi alla Corte d’Appello di Cagliari – sezione distaccata di Sassari.

La causa, nella quale si costituirono gli originari attori e la USL, dopo essere stata trattenuta in decisione all’udienza del 27.9.2000, fu rimessa sul ruolo con ordinanza del 20.12.2000, con la quale la Corte di merito dispose l’acquisizione di una copia integrale della sentenza del Tribunale di Tempio Pausania, in quanto quella prodotta dall’appellante era monca ed inidonea al necessario controllo della pronuncia impugnata; successivamente, il processo fu interrotto e riassunto, una prima volta a seguito della morte di Pi.

S., in luogo del quale si costituirono gli eredi S.M. A., P.A. e D.C., ed una seconda volta per la morte di P.E., i cui eredi rimasero contumaci.

Con sentenza del 26.5.04, la Corte territoriale adita, per ciò che nella presente sede interessa, respinse l’eccezione svolta in rito dagli eredi A. – P., di inammissibilità del gravame per tardiva ed irrituale produzione della sentenza di primo grado, ed, in parziale accoglimento dell’appello, ridusse la somma dovuta dal Comune di Olbia agli appellati ad Euro 110.850. A sostegno della decisione, il giudice dell’appello osservò preliminarmente che l’ordinanza del 27.12.2000 era stata inutilmente emessa, sia perchè una copia integrale della sentenza, anche se non autenticata dal cancelliere, era stata inserita all’interno del fascicolo d’ufficio del giudizio di primo grado, tempestivamente acquisito, sia perchè una decisione nel merito sarebbe stata in ogni caso possibile, in quanto l’analitico atto d’appello consentiva la compiuta comprensione del contenuto del provvedimento impugnato. Nel merito, la Corte territoriale affermò di doversi discostare dalle conclusioni del ctu, il quale, anzichè determinare; il valore del terreno irreversibilmente trasformato tenendo conto della sua destinazione urbanistica alla data di consumazione dell’illecito che, secondo quanto emergeva dal certificato prodotto dal Comune, era quella di “zona per servizi generali per l’istruzione medio-superiore”, avente indice di utilizzazione fondiaria di 0,60 mc/mq, aveva erroneamente fatto riferimento, ai fini della stima, ad una “proposta di programma integrato di riqualificazione urbana ed edilizia”, fra l’altro irritualmente fornitagli dal difensore degli A. al di fuori del contraddittorio, prevedente un indice fondiario di 2,88 mc/mq.. Tanto premesso, la Corte ricalcolò il valore del bene secondo operazioni matematiche illustrate in motivazione.

Gli eredi A. e gli eredi di Pi.Sa. hanno proposto ricorso per la cassazione della sentenza, affidato a due motivi.

Il Comune di Olbia ha resistito con controricorso.

La USL n. (OMISSIS) di Olbia e gli eredi di P.E. non hanno svolto difese.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1) Con il primo motivo di ricorso, gli eredi A. e gli eredi di Pi.Sa., denunciando violazione dell’art. 347 c.p.c., lamentano che la Corte di merito abbia respinto l’eccezione, peraltro rilevabile d’ufficio, di inammissibilità dell’appello per omessa produzione da parte dell’appellante di una copia completa della sentenza impugnata.

Riportano il contenuto dell’ordinanza 20.12.2000, nella quale era stato rilevato che: “la causa non può essere decisa. L’appellante ha infatti prodotto una copia monca della sentenza impugnata …” e che “… non può procedersi al controllo della decisione di primo grado, al fine di valutare la fondatezza del gravame …” ed osservano che, alla luce di tali premesse, il collegio ha palesemente errato nel rimettere la causa in istruttoria per acquisire copia integrale della sentenza, posto che, per un verso, la produzione di una copia incompleta della stessa, la cui parte mancante riguardi punti ed argomenti dalla cui conoscenza il giudice d’appello non possa prescindere per il riesame della decisione, deve essere equiparata alla mancata produzione, e, per l’altro, non è consentito a detto giudice di sanare d’ufficio la manchevolezza della parte, concedendole un nuovo termine per l’esercizio di un’attività che non può essere compiuta dopo l’udienza di precisazione delle conclusioni. Deducono, inoltre, sulla base di una serie di circostanze di fatto e di argomentazioni logiche, che la Corte di merito ha erroneamente ritenuto che il fascicolo d’ufficio di primo grado comprendesse, ab origine, anche copia della sentenza impugnata.

Il motivo va dichiarato inammissibile.

I ricorrenti, infatti, non hanno censurato, nè sotto il profilo della violazione di legge nè sotto quello del vizio di motivazione, l’affermazione della Corte territoriale, costituente autonoma ratio decidendi della statuizione di rigetto dell’eccezione, secondo cui la decisione nel merito del gravame avrebbe potuto (e dovuto) essere assunta anche in mancanza di una copia della sentenza di primo grado, atteso l’analitico contenuto dell’atto d’appello, contenente l’esauriente narrazione del processo di prime cure e la specifica puntualizzazione dei capi della pronuncia oggetto di impugnazione.

Inoltre, a prescindere da tale di per sè già assorbente considerazione, va rilevato che l’eventuale errore compiuto dal giudice d’appello nell’ accertare che una copia integrale della sentenza impugnata era contenuta nel fascicolo d’ufficio di primo grado sin dalla data in cui la causa fu rimessa per la prima volta in decisione, non attinendo ad un inesatto apprezzamento delle prove o delle allegazioni delle parti, ma ricadendo su di un fatto materiale (erroneamente) supposto esistente, costituirebbe tipico vizio revocatorio, denunciabile solo ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4.

2) Con il secondo motivo, i ricorrenti, lamentando vizi di omessa o insufficiente motivazione su punti decisivi della controversia, si dolgono, sotto tre distinti profili, della ridotta liquidazione del danno.

2.1) Eccepiscono, in primo luogo, che il certificato di destinazione urbanistica sul quale la Corte di merito ha fondato la propria decisione è stato prodotto dal Comune di Olbia ben oltre il maturare delle preclusioni istruttorie e rilevano che, ciò nonostante, il giudice d’appello non ha motivato in ordine all’ammissibilità del nuovo documento.

2.2) Deducono, inoltre, che al contrario di quanto affermato in sentenza, la documentazione utilizzata dal ctu per determinare il valore del suolo era nella disponibilità del Comune di Olbia e faceva riferimento ad un’area confinante con quella di loro proprietà, che, al pari di quest’ultima, era classificata nello strumento urbanistico generale come “zona per servizi di interesse generale”, ma che doveva in realtà ritenersi inclusa, a seguito della “sostanziale” approvazione, da parte dell’ente territoriale, del “programma integrato di riqualificazione urbana edilizia ed ambientale”, in una zona con indice di edificabilità assai più elevato di quello preso in considerazione dal giudice d’appello;

osservano, ancora, che il valore a mq. dell’area stimato dalla Corte di merito risulta inferiore di oltre quattro volte a quello di mercato praticato per le aree limitrofe, come documentato in atti di trasferimento pubblici.

2.3) Assumono, infine, che la Corte ha omesso di liquidare il danno per il deprezzamento della porzione di terreno rimasta inutilizzabile a seguito della realizzazione dell’opera pubblica.

2.4) Le prime due censure illustrate nel motivo sono infondate e devono essere respinte.

Sia il ctu che la Corte di merito hanno adottato, ai fini dell’individuazione del valore del terreno, il criterio analitico – deduttivo, fondato sull’indice di edificabilità del bene.

Gli eredi A. – P. contestano implicitamente la correttezza di tale criterio e la mancata adozione del metodo sintetico – comparativo, laddove rilevano che il valore in tal modo stimato è nettamente inferiore a quello di mercato praticato per aree limitrofe, come ricavabile da atti di trasferimento pubblici.

Sotto tale aspetto, tuttavia, la doglianza, inerente ad una questione che non risulta essere stata oggetto di contraddittorio fra le parti nelle precedenti fasi di merito e che dovrebbe trovare soluzione in base all’esame di documenti che i ricorrenti richiamano genericamente, senza precisare se e quando siano stati acquisiti agli atti, va dichiarata inammissibile.

Non potendo più essere posta in discussione la correttezza del criterio di stima, non v’è dubbio che, sulla scorta di tale criterio, la Corte territoriale dovesse procedere alla valutazione tenendo conto delle possibilità legali ed effettive di edificazione del suolo secondo la sua destinazione urbanistica alla data di consumazione dell’illecito, e non già sulla scorta di una sua futura, (ed ipotetica) diversa classificazione, derivante da una “proposta” di riqualificazione delle zone limitrofe, non ancora approvata dagli organi deliberativi del Comune di Olbia.

I ricorrenti non possono, d’altro canto, ritenersi pregiudicati dalla tardiva allegazione da parte dell’ente territoriale di un certificato che era loro onere produrre in giudizio e che, in ogni caso, costituendo presupposto imprescindibile per la determinazione del valore del suolo, il ctu avrebbe dovuto acquisire d’ufficio.

2.5) La terza censura è invece fondata.

La Corte territoriale ha infatti liquidato il danno limitatamente alla superficie di mq. 4.299 effettivamente occupata dal Comune di Olbia, mentre non ha tenuto conto dell’ulteriore superficie di mq.

849 di proprietà dei ricorrenti che, come precisato in sentenza, è divenuta inedificabile a seguito dell’occupazione.

Ricorrendo sul punto il denunciato vizio di omessa motivazione, la sentenza impugnata deve essere cassata. La causa va pertanto rimessa per un nuovo esame alla Corte d’Appello di Cagliari, in diversa composizione, la quale, nel provvedere all’integrale liquidazione del danno, terrà anche conto dell’intervenuta dichiarazione di illegittimità costituzionale della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 7 bis.

La Corte territoriale regolerà anche le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

LA CORTE accoglie, nei sensi di cui in motivazione, il seconde motivo di ricorso; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rimette la causa, per un nuovo esame, alla Corte d’Appello di Cagliari in diversa composizione, che deciderà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 27 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 24 ottobre 2011

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