Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21952 del 02/09/2019

Cassazione civile sez. II, 02/09/2019, (ud. 08/05/2019, dep. 02/09/2019), n.21952

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso (iscritto al N. R.G. 17329/15) proposto da:

R.G., (C.F.: (OMISSIS)), rappresentato e difeso, in forza

di procura speciale in calce al ricorso, dall’Avv. Antonio Porpora

ed elettivamente domiciliato presso il suo studio, in Roma, piazza

Adriana, n. 20;

– ricorrente –

contro

FISIA AMBIENTE S.P.A., (C.F: (OMISSIS)), già Fisia Italimpianti

s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale a margine del

controricorso, dagli Avv.ti Rodolfo Bozzo e Sergio Vacirca ed

elettivamente domiciliata presso lo studio del secondo, in Roma, v.

Flaminia, n. 195;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di appello di Genova n. 800/2014,

depositata il 13 giugno 2014 (non notificata);

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica dell’8

maggio 2019 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. PATRONE Ignazio, che ha concluso per il rigetto del

ricorso;

uditi l’Avv. Antonio Porpora, per il ricorrente, e l’Avv. Sergio

Vacirca, per la controricorrente.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza n. 2434/2009, il Tribunale di Genova, pronunciando sulla domanda di pagamento dell’importo di Euro 545.766,00, a titolo di compenso per attività professionale (asserita come consistita nella redazione del Piano di sicurezza e coordinamento del cantiere e nell’assunzione del ruolo di coordinatore per la progettazione ai fini della realizzazione di interventi di bonifica dell’ex stabilimento (OMISSIS) sud presso (OMISSIS)), formulata dall’ing. R.G. nei confronti della FISIA Italmpianti s.p.a. (quale committente, poi risultata aggiudicataria della gara di appalto), l’accoglieva per quanto di ragione e condannava la convenuta – a fronte di una richiesta di Euro 545.766,00 – a corrispondere all’attore la ridotta somma di Euro 49.000,00 per la ragione dedotta in giudizio.

Decidendo sull’appello formulato dal suddetto professionista e nella costituzione dell’appellata società (che, a sua volta, avanzava appello incidentale), la Corte di appello di Genova, con sentenza n. 800/2014 (depositata il 13 giugno 2014), respingeva il gravame principale e accoglieva parzialmente quello incidentale, rideterminando il compenso dovuto all’ing. R. nella minor somma di Euro 17.920,00, oltre iva ed interessi legali.

A fondamento dell’adottata decisione la Corte ligure rilevava che, sulla scorta dell’esperita istruzione probatoria, si era potuto evincere che l’ing. R. non aveva svolto propriamente – sul piano dell’adempimento delle necessarie funzioni, dei correlati adempimenti formali e, in particolare, dell’assunzione delle inerenti responsabilità – la funzione di coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione, ragion per cui, nel caso di specie, non avrebbe potuto trovare applicazione il D.M. 4 aprile 2001, che fissa i corrispettivi per le attività di progettazione e per le altre attività previste dalla L. 11 febbraio 1994, n. 109, art. 17, comma 14-bis e succ. modif. ed integr. (alla stregua delle relative tabelle allegate formanti parte integrante). Il giudice di appello ravvisava, invece, la fondatezza per quanto di ragione del gravame incidentale, riducendo il compenso spettante all’ing. R. nella misura prima indicata, sul presupposto che, alla stregua della derogabilità del parametro tariffario, al suddetto professionista era dovuto il compenso sulla base della tariffa oraria pattuita di Euro 35,00, da cui derivava la determinazione di detto compenso nell’ammontare complessivo di Euro 17.920,00 in rapporto al monte ore accertato di 512.

Avverso la richiamata sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione il R.G., riferito a cinque motivi, al quale ha resistito, con controricorso, la Fisia Ambiente s.p.a. (già Fisia Italimpianti s.p.a.).

In un primo momento il ricorso per cassazione veniva avviato per la trattazione con il rito previsto dall’art. 380-bis.1 c.p.c., ma, all’esito della relativa adunanza camerale del 12 febbraio 2019 (prima della quale entrambe le parti avevano depositato memorie), il collegio riteneva che sussistevano i presupposti per la trattazione e la discussione del ricorso in pubblica udienza.

La difesa del ricorrente ha anche depositato, in prossimità della stessa, memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente ha denunciato – con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e falsa applicazione degli artt. 2229 c.c. e segg., art. 1418 c.c., nonchè della L. n. 340 del 1976, avuto riguardo all’assunta inderogabilità convenzionale delle tariffe professionali per la determinazione del compenso di contratto di prestazione d’opera professionale.

1.2. Con la seconda censura il ricorrente ha dedotto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 c.c. e segg., con riferimento all’asserita erronea interpretazione dell’accordo sottoscritto tra le parti denominato “bozza di incarico professionale” del 4 ottobre 2002.

1.3. Con la terza doglianza il ricorrente ha prospettato – sempre in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione della L. n. 109 del 1994, art. 19, comma 1, lett. b), nonchè del D.P.R. n. 554 del 1999, art. 25, comma 3 e art. 36, comma 3.

1.4. Con il quarto motivo il ricorrente ha denunciato – sempre con riguardo all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e falsa applicazione delle disposizioni di sicurezza recate dal D.Lgs. n. 494 del 1996, con riferimento all’art. 3, commi 3, 4, 5 e 13, nonchè del D.P.R. n. 554 del 1999, con riguardo all’art. 31, comma 1-bis, lett. b).

1.5. Con la quinta ed ultima censura il ricorrente ha dedotto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e falsa applicazione di legge in ordine all’asserita erronea interpretazione e valutazione degli artt. 8 e 34 del contratto di appalto.

2. Rileva il collegio che il primo motivo – da considerarsi procedibile – è infondato e deve, perciò, essere rigettato.

Con esso il ricorrente contesta il decisum dell’impugnata sentenza nella parte in cui con la stessa (specificamente a pag. 20 della relativa motivazione) è stata ritenuta legittima la derogabilità dei minimi tariffari (di cui alla L. 5 maggio 1976, n. 340) per la determinazione dei compensi relativi alla specifica attività professionale espletata dal ricorrente ingegnere con riferimento alla complessiva vicenda fattuale dedotta in giudizio.

Tuttavia, il collegio ritiene che tale decisione risulta adeguatamente e logicamente esaminata dalla Corte territoriale (senza, quindi, che possa essere sindacata nella presente sede di legittimità) ed inquadrata nei suoi effettivi termini alla stregua della conferente valorizzazione di tutte le risultanze istruttorie.

La Corte genovese ha, infatti, congruamente motivato sulla determinante circostanza che l’incarico – dedotto in controversia – era intercorso direttamente tra la società Fisia e il R. (quale coordinatore per la progettazione) al fine della redazione del piano di sicurezza – ma (si noti, in senso decisivo) limitatamente alla sola fase di offerta – per la partecipazione alla gara di appalto indetta dalla Regione Calabria per la bonifica ed il ripristino ambientale dell’area “(OMISSIS)” (in provincia di (OMISSIS)).

Quindi, correttamente, la Corte ligure ha ritenuto che, in realtà, il rapporto di incarico professionale, pur essendo finalizzato a consentire alla committente di assolvere un determinato adempimento tecnico, fosse da inquadrare nell’ambito di un rapporto privatistico, con riferimento al quale – pur essendo prevista, in generale, la soggezione ad una disciplina inderogabile delle tariffe professionali – l’inderogabilità non opera in modo assoluto. E, nel caso di specie, la circostanza della concordata deroga a tali tariffe è stata idoneamente giustificata dall’evidenziazione del contenuto degli accordi contrattuali intercorsi tra le due parti, in base ai quali era stato pattuito il compenso di Euro 35 ad ora in rapporto alla 512 ore risultanti dal registro ritualmente prodotto ed acquisito agli atti del giudizio.

Decidendo in tal senso la Corte di appello si è uniformata al principio da ritenersi consolidato nella giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 1223/2003, Cass. n. 21253/2009, Cass. n. 17222/2011 e Cass. n. 1900/2017), rispetto al quale il collegio ritiene che non sussistano ragioni per discostarsene, secondo il quale il compenso per prestazioni professionali va determinato in base alla tariffa ed adeguato all’importanza dell’opera, solo nel caso in cui esso non sia stato liberamente pattuito, in quanto l’art. 2233 c.c., pone una garanzia di carattere preferenziale tra i vari criteri di determinazione del compenso, attribuendo rilevanza in primo luogo alla convenzione che sia intervenuta fra le parti e poi, solo in mancanza di quest’ultima, e in ordine successivo, alle tariffe e agli usi e, infine, alla determinazione del giudice, mentre non operano i criteri di cui all’art. 36 Cost., comma 1, applicabili solo ai rapporti di lavoro subordinato. Pertanto, la violazione dei precetti normativi che impongono l’inderogabilità dei minimi tariffari non importa, secondo il richiamato orientamento, la nullità, ex art. 1418 c.c., comma 1, del patto in deroga, in quanto trattasi di precetti non riferibili ad un interesse generale, cioè dell’intera collettività, ma solo ad un interesse della categoria professionale.

In altri e più compiuti termini, occorre porre in risalto che, nella disciplina delle professioni intellettuali, il contratto costituisce la fonte principale per la determinazione del compenso, mentre la relativa tariffa rappresenta una fonte sussidiaria e suppletiva, alla quale è dato ricorrere, ai sensi dell’art. 2233 c.c., soltanto in assenza di pattuizioni al riguardo e pertanto le limitazioni al potere di autonomia delle parti e la prevalenza della liquidazione in base a tariffa possono derivare soltanto da leggi formali o da altri atti aventi forza di legge riguardanti gli ordinamenti professionali. Il primato della fonte contrattuale impone di ritenere che il compenso spettante al professionista, ancorchè elemento naturale del contratto di prestazione d’opera intellettuale, sia liberamente determinabile dalle parti e possa anche formare oggetto di rinuncia da parte del professionista, salva l’esistenza di specifiche norme proibitive che, limitando il potere di autonomia delle parti, rendano indisponibile il diritto al compenso per la prestazione professionale e vincolante la determinazione del compenso stesso in base alle tariffe. Nella normativa concernente le professioni di ingegnere ed architetto manca una disposizione espressa diretta a sanzionare con la nullità eventuali clausole in deroga alle tariffe e, sul piano logico, le norme sull’inderogabilità dei minimi tariffari sono contemplate – come già evidenziato – non a tutela di un interesse generale della collettività ma di un interesse di categoria, onde una clausola che si discosti da tale principio non può incorrere – in difetto di un’espressa previsione normativa in tal senso – nella sanzione della nullità, dettata per tutelare la violazione di interessi generali. Il principio d’inderogabilità è diretto ad evitare che il professionista possa essere indotto a prestare la propria opera a condizioni lesive della dignità della professione, ma non si traduce in una norma imperativa idonea a rendere invalida qualsiasi pattuizione in deroga, allorchè questa sia stata valutata dalle parti nel quadro di una libera ponderazione dei rispettivi interessi.

3. Anche la seconda censura non coglie nel segno e va ritenuta in parte inammissibile e in parte infondata.

Con questo motivo il ricorrente contesta l’interpretazione data dal giudice di appello all’accordo sottoscritto dalle parti, intendendo – ma inammissibilmente – confutare il risultato dell’attività ermeneutica compiuta dalla Corte di appello e non piuttosto l’applicazione operata, in concreto, dalla stessa del criterio previsto dall’art. 1362 c.c..

In effetti, per quanto già puntualizzato in risposta al primo motivo, il compenso a titolo di corrispettivo delle prestazioni professionali del R. era stato stabilito in misura oraria, nel mentre ulteriori compensi avrebbero potuto essere aggiunti per la realizzazione di ulteriori specifiche prestazioni che dovevano trovare il loro presupposto in attività (quale quella di coordinatore della progettazione con l’assunzione delle inerenti responsabilità e di espletamento dei conseguenti compiti nel momento esecutivo) riconducibili alla fase successiva alla conclusione della procedura di appalto e solo nell’evenienza di un esito vittorioso della stessa in favore della società Fisia, evento, quest’ultimo, che, peraltro, ebbe a verificarsi ma senza che l’ing. R. fosse stato effettivamente investito – dalla committente – delle inerenti funzioni di coordinatore della progettazione (per il cui svolgimento avrebbe dovuto trovare applicazione la tariffa di cui al D.M. 4 aprile 2001) ed avesse espletato attività propriamente riferibili alla fase esecutiva.

Infatti, l’esecuzione di tali prestazioni da parte del R. è stata esclusa dalla Corte di appello – oltre che in virtù dell’adozione di un corretto percorso ermeneutico tracciato con riferimento ai termini dell’accordo contrattuale anche sulla base di una conferente valutazione di merito delle risultanze processuali e probatorie compiuta con motivazione logica ed adeguata, i cui esiti non sono, perciò, sindacabili in sede di legittimità.

Va qualificata, invece, come una questione nuova (non risultandone alcun riscontro nell’impugnata sentenza) – e, quindi, inammissibile – quella dedotta con il motivo in discorso riferita al riconoscimento del possibile risarcimento del danno derivante dall’asserita lesione del diritto di esso R. dipendente dalla mancata nomina (spettante univocamente al committente) per le attività tecniche nell’interesse della società Fisia successivamente all’aggiudicazione dell’appalto da parte della stessa.

In ogni caso si deve, comunque, ribadire che dalla sentenza di appello si desume che l’oggetto della causa era solo quello della determinazione dei compensi professionali dovuti al R. per l’esecuzione delle attività propedeutiche alla partecipazione alla gara della società Fisia mentre il riconoscimento degli eventuali compensi aggiuntivi era subordinato – come già messo in luce – all’espletamento di attività successive all’aggiudicazione della gara, attività, tuttavia, accertate come non eseguite dal R..

4. Anche il terzo motivo è destituito di fondamento e va rigettato.

Con tale censura il ricorrente contesta l’accertamento – come operato dalla Corte di appello ligure – della natura dell’attività dallo stesso eseguita per conto della società Fisia e l’individuazione dei tempi di esecuzione in rapporto all’inquadramento dell’appalto come “appalto integrato”.

Tuttavia, al riguardo, deve ritenersi che il giudice di appello – con motivazione logica ed adeguata (perciò, ancora una volta, insindacabile nella presente sede giudiziale) fondata sulla conferente ricostruzione della normativa di riferimento e sulla congrua valutazione delle risultanze processuali – ha escluso che, nel caso di specie, l’elaborato del R. funzionale alla presentazione di un’offerta per la gara da parte della società Fisia potesse essere qualificato alla stregua di un PSC (Piano di sicurezza e coordinamento) ai sensi del D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 12, la cui esecuzione può, peraltro, avvenire in un momento successivo all’aggiudicazione e presuppone che sia stato, in ogni caso, predisposto il progetto esecutivo dell’opera incombente sull’impresa aggiudicataria, nel quale deve intendersi compreso anche il suddetto piano di sicurezza e coordinamento.

Sulla base di questi presupposto e tenuto conto della procedura seguita nella gara di appalto dedotta in causa, la Corte territoriale ha rilevato che, essendo stato aggiudicato l’appalto sulla base del progetto definitivo, il passaggio alla successiva fase di realizzazione dell’opera implicava necessariamente che si procedesse alla redazione del progetto esecutivo, in conformità allo stesso progetto definitivo. Tuttavia, il giudice di secondo grado ha correttamente posto in evidenza come fosse da considerarsi solo il progetto esecutivo il documento idoneo a determinate in ogni dettaglio i lavori da realizzare, con la conseguenza che, considerando l’attività professionale in concreto espletata dall’ing. R. (nella sola fase preliminare della gara di appalto e funzionalmente preordinata alla presentazione dell’offerta per partecipare ad essa), si doveva evincere che l’elaborato del suddetto professionista – siccome redatto con riferimento al progetto definitivo e non al progetto di sicurezza non poteva possedere i contenuti minimi normativamente previsti per i piani di sicurezza, donde l’insussistenza delle condizioni per l’applicazione, ai fini della determinazione del compenso, dei parametri contemplati dal D.M. 4 aprile 2001.

5. Pure il quarto motivo non è meritevole di accoglimento per le ragioni, già illustrate nell’esaminare i due precedenti motivi, circa l’interpretazione da dare al D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 4, in relazione alla specifica attività espletata dal R.; a tal proposito, come già evidenziato, la Corte di appello di Genova ha ampiamente giustificato e motivato in ordine alla raggiunta conclusione di escludere che nella predetta attività fosse da ritenersi ricompresa anche la realizzazione del compito di coordinatore per la progettazione in fase di gara. Nè la Corte ligure ha inteso sostenere che un appalto di esecuzione e progettazione possa essere realizzato in difetto del piano di sicurezza e coordinamento, avendo, invece, correttamente messo in luce che il PSC deve essere predisposto in un momento successivo alla redazione della progettazione definitiva e alla designazione del coordinatore per l’approntamento della progettazione esecutiva (a cui si correla, per l’appunto, il piano di sicurezza che costituisce parte integrante del contratto di appalto, come stabilisce il D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 12, comma 2, “ratione temporis” applicabile) da parte del committente, funzione che – sulla base dei congrui accertamenti fattuali operati – l’ing. R. non aveva svolto.

6. Anche il quinto ed ultimo motivo è privo di pregio perchè esso si risolve nella inammissibile confutazione del risultato raggiunto dalla Corte di appello con riferimento alla interpretazione del contenuto degli artt. 8 e 34 del contratto di appalto. Sul punto, la Corte territoriale ha ribadito e spiegato adeguatamente che – anche sulla base delle disposizioni previste in detti articoli ed in rapporto alle definizioni normative di “progetto definitivo” e “progetto esecutivo” di cui alla L. n. 109 del 1994, art. 16 – il PSC avrebbe potuto essere redatto solo in presenza di un progetto esecutivo. Il dubbio che poteva insorgere sulla base del capitolato è stato superato dalla Corte territoriale – in relazione anche agli acquisiti riscontri fattuali – nel senso che l’elaborato dell’ing. R., in quanto predisposto con riferimento non ad un progetto esecutivo, ma ad un progetto definitivo, non avrebbe potuto realizzare le finalità assegnata ad un PSC e non poteva averne i requisiti, indipendentemente dalla denominazione ad esso attribuita.

7. In definitiva, alla stregua delle ragioni complessivamente esposte, il ricorso deve essere integralmente respinto.

A tale pronuncia consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella misura di cui in dispositivo.

Ricorrono, infine, le condizioni per dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, del raddoppio del contributo unificato ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 10.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario nella misura del 15% ed accessori (Iva e Cpa) come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 8 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 2 settembre 2019

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