Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21951 del 24/10/2011

Cassazione civile sez. I, 24/10/2011, (ud. 20/06/2011, dep. 24/10/2011), n.21951

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –

Dott. FELICETTI Francesco – Consigliere –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso n. 19774 dell’anno 2005 proposto da:

A.F. cf. (OMISSIS) elettivamente domiciliato

in Roma, Via Cosseria, n. 5, nello studio dell’Avv. Laura Tricerri;

rappresentato e difeso dall’Avv. Tinaglia Ennio, giusta procura

speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

GESTIONE STRALCIO AZIENDA U.S.L. DI TRAPANI ASSESSORATO ALLA SANITA’

DELLA REGIONE SICILIA rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale

dello Stato, nei cui uffici in Roma, via dei Portoghesi, 12, sono per

legge domiciliati;

– controricorrenti –

avverso la sentenza della Corte d’Appello di Palermo, n. 1357,

depositata in data 20 dicembre 2004;

sentita la relazione all’udienza del 20 giugno 2011 del Consigliere

dott. Pietro Campanile;

udite le richieste del Procuratore Generale, in persona del Sostituto

dott. Maurizio Velardi, il quale ha concluso per l’inammissibilità

del primo motivo e per l’accoglimento del secondo, assorbiti gli

altri.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1 – La Corte di appello di Palermo, con la sentenza indicata in epigrafe, decidendo sull’impugnazione del lodo pronunciato il 19 giugno 2000 dal collegio arbitrale costituito per la decisione della controversia insorta fra l’Ing. A.F., già incaricato di redigere, insieme con altri professionisti, il progetto di un presidio ospedaliero nel Comune di Alcamo, e la Gestione Stralcio della AUSL n. (OMISSIS) di Trapani, dichiarava la nullità del lodo e rigettava le domande proposte dall’ A.. A tale conclusione la Corte territoriale perveniva in primo luogo mediante adesione alla tesi sostenuta dalla Gestione stralcio e dall’Assessorato alla Sanità della Regione Sicilia, secondo cui la clausola contenuta nell’art. 9 del disciplinare di incarico, valutata nella sua portata complessiva, andava interpretata nel senso che l’obbligo del pagamento del compenso al professionista era subordinato al verificarsi della duplice condizione dell’approvazione del progetto e del concreto ottenimento delle somme necessarie per la sua realizzazione.

Richiamata, quindi, la validità, in linea generale, della rinuncia al compenso da parte del prestatore d’opera intellettuale, effettuata mediante clausola che ne condizioni la percezione al conseguimento delle necessarie approvazioni del progetto e al suo concreto finanziamento, si affermava, quanto alla già avvenuta concessione di un finanziamento parziale, quale risultante della stessa delibera del Comitato di Gestione della USL che aveva autorizzato il disciplinare d’incarico, che tale circostanza, avuto riguardo all’inadeguatezza dell’importo rispetto a quello necessario per l’integrale realizzazione dell’opera, non solo non inficiava la validità della clausola suddetta, ma neppure consentiva di ritenere il pieno avveramento della condizione.

Neppure poteva condividersi il rilievo, fatto proprio dagli arbitri, secondo cui detta condizione doveva intendersi avverata in virtù del meccanismo previsto dall’art. 1359 cod. civ., in relazione al successivo comportamento dell’USL, che aveva chiesto di utilizzare per altri fini le somme già ricevute, rinunciando al finanziamento dell’intera opera. A tale riguardo si sosteneva che, pur dovendosi escludere il carattere meramente potestativo della condizione, dovendo la stessa comunque qualificarsi come “potestativa semplice”, era esclusa l’applicabilità della disposizione contenuta nell’art. 1359 cod. civ., concernente le sole ipotesi di condizione casuale o mista.

Per la cassazione di tale decisione ricorre l’ A., deducendo sei motivi, illustrati da memoria.

Resistono con controricorso, per il tramite dell’Avvocatura Generale dello Stato, la Gestione Stralcio e l’Assessorato regionale alla Sanità.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

2 – Con il primo motivo viene denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 829, 112 e 116 c.p.c. nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione, rispettivamente, all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e n. 5. Si sostiene che la Corte di appello avrebbe accolto il motivo proposto dalla Gestione Stralcio all’esito dell’interpretazione dell’art. 9, comma 1, del disciplinare, laddove l’amministrazione aveva soltanto dedotto che nella specie il finanziamento non fosse stato concesso, sussistendo, al riguardo, una mera previsione.

Si aggiunge che, al di là del vizio di extra-petizione, “l’interpretazione degli arbitri in ordine al contenuto di una clausola contrattuale non può essere contestata per la ricostruzione operata della volontà delle parti, nè sostituita con una interpretazione diversa”.

2.1 – Il motivo è in parte inammissibile, in parte infondato.

Va, rilevata, in primo luogo, la violazione del principio di autosufficienza, essendosi riportati soltanto alcuni brani dell’atto di impugnazione del lodo, che non consentono di apprezzare la totalità delle deduzioni della Gestione Stralcio, tanto più che – come si da atto nello stesso ricorso e come emerge chiaramente dalla stessa decisione impugnata – con l’impugnazione del lodo era stato effettuato un esplicito richiamo all’art. 1362 cod. civ., evidentemente con riferimento all’interpretazione della clausola n. 9 da parte del collegio arbitrale. Mette conto di richiamare, in proposito, il consolidato orientamento di questa Corte secondo cui l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un “error in procedendo”, presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di censura, onde il ricorrente non è dispensato dall’onere di specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando anche specificamente i fatti processuali alla base dell’errore denunciato, e tale specificazione deve essere contenuta nello stesso ricorso per cassazione, in virtù del principio di autosufficienza.

2.2 – Non è condivisibile, per altro, l’assunto secondo cui l’interpretazione di un atto negoziale resa in sede arbitrale non sia sindacabile; al contrario, ancorchè non valutabile nel merito, nel senso che non è consentito opporle una diversa risultanza sul piano ermeneutico, essa è tuttavia impugnabile ai sensi dell’art. 829 c.p.c., comma 1, n. 5 e art. 823 c.p.c., n. 3, nel caso in cui la motivazione sia radicalmente inidonea, nonchè ai sensi dell’art. 829 c.p.c., comma 2, per violazione e falsa applicazione delle regole codicistiche (Cass., 9 gennaio 2008, n. 178; Cass., 2 maggio 2006, n. 10131).

2.3 – Quanto al profilo inerente alla omessa motivazione in merito alla somma già assegnata alla USL n. (OMISSIS) di Alcamo, pari a L. 14.962.000, destinata all’esecuzione del primo stralcio esecutivo, deve rilevare che la Corte territoriale ha esaminato la questione, affermando che fosse necessaria la “concreta disponibilità di tutte le somme necessarie per la realizzazione de progetto” (pag. 9), ed escludendo che “la mera assegnazione di una finanziamento (L. 14.962.000), assolutamente insufficiente alla realizzazione dell’opera progettata, potesse rappresentare quell’evento (niente affatto futuro ed incerto) cui, invece, era subordinato il pagamento del compenso” (pag. 10).

3 – Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 829 c.p.c. e dell’art. 1359 c.c., nonchè contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione, rispettivamente, all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e n. 5. Si sostiene che la qualificazione come “potestativa semplice” della condizione apposta per il pagamento del compenso al professionista (approvazione e finanziamento dell’opera), laddove, trattandosi di evento in parte dipendente dalla volontà di un terzo, sarebbe stata più corretta la riconduzione della condizione nella figura della cd. “potestativa mista”, avrebbe determinato l’erronea esclusione della finzione di avveramento prevista dall’art. 1359 cod. civ..

3.1 – Il motivo è fondato e deve essere accolto. Questa Corte, esaminando fattispecie del tutto analoghe, ha già affermato il principio, al quale il Collegio intende dare continuità, secondo cui la clausola contrattuale di subordinazione del pagamento del compenso al professionista incaricato del progetto di un’opera pubblica al finanziamento dell’opera stessa non è meramente potestativa, ma è potestativa mista, nel senso che il comportamento dell’ente pubblico non dipende da una mera volontà di ottenere il realizzarsi della condizione, essendo al contrario subordinato al rispetto delle regole della buona amministrazione, da un lato, e dall’altro, del principio di buona fede nell’esecuzione del contratto (Cass,, 21 luglio 2000, n. 9587; Cass., 28 luglio 2004, n. 14198; Cass. 22 febbraio 2005, n. 3579; Cass., Sez.Un., 19 settembre 2005, n. 18450).

Non si dubita, per altro, della legittimità della clausola in esame, essendosi anzi affermato che essa, oltre ad essere valida, in quanto non si pone in contrasto col principio di inderogabilità dei minimi tariffar, non viola i principi di imparzialità e buon andamento della P.A. (art. 97 Cost.) perchè subordinare il compenso del professionista all’effettivo finanziamento dell’opera è garanzia di un accorto uso del denaro pubblico (Cass., 27 settembre 2007, n. 20319).

Nell’ambito di tale orientamento si è ribadita la piena applicabilità alla condizione in esame della finzione di avveramento prevista dall’art. 1359 cod. civ. (cfr. Cass., 8 marzo 2010, n. 5492, con perspìcue specificazioni in tema di onere della prova), ponendosi in evidenza come l’amministrazione stipulante non possa tenere – salvo il sopravvenire di particolari ragioni ostative un comportamento che, impedendo il verificarsi del finanziamento, renda inoperante il suo obbligo di pagamento del compenso. Il giudice di merito, in caso di mancato avveramento della condizione suddetta, deve accertare se l’amministrazione contraente, in base ai doveri gravanti su di essa in forza dell’art. 1358 cod. civ., si sia attivata per ottenere il finanziamento e se le iniziative prese a tal fine corrispondessero ad uno standard esigibile di buona fede. In caso contrario, dalla violazione del suddetto dovere comportamentale conseguono il diritto della controparte di chiedere sia la risoluzione del contratto e il risarcimento del danno, ai sensi dell’art. 1358 cod. civ., sia, in alternativa, il diritto di chiedere l’adempimento del contratto e, quindi, il pagamento del compenso pattuito, in base alla “fictio” di avveramento della condizione di cui all’art. 1359 cod. civ. (Cass., 3 giugno 2010, n. 13469).

3.2 – Appare quindi evidente come, non avendo la Corte di appello in alcun modo esaminato, in forza della ritenuta inapplicabilità dell’art. 1359 cod. civ. nei confronti della condizione in esame, le ragioni della sua mancata integrale realizzazione (che, per altro, l’ A. attribuisce a un esplicita decisione del Comune di non utilizzare il finanziamento già concesso e resosi disponibile, onde destinarlo ad altre finalità), il motivo debba essere accolto, con rinvio alla medesima Corte territoriale, che, in diversa composizione, applicherà i principi testè indicati, provvedendo altresì al regolamento delle spese processuali relative al presente giudizio di legittimità.

4 – Rimangono assorbiti gli ulteriori motivi di ricorso, in quanto relativi alla fase rescissoria.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo di ricorso ed accoglie il secondo, assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Palermo, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di Consiglio della prima sezione civile, il 20 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 24 ottobre 2011

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