Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21951 del 12/10/2020

Cassazione civile sez. II, 12/10/2020, (ud. 23/07/2020, dep. 12/10/2020), n.21951

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21408/2019 proposto da:

C.B., rappresentato e difeso dall’avvocato LUIGI NATALE,

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– resistente –

avverso il decreto di rigetto n. 5282/2019 del TRIBUNALE di NAPOLI,

depositato il 25/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

23/07/2020 dal Consigliere GIUSEPPE GRASSO.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

ritenuto che la vicenda qui al vaglio può sintetizzarsi nei termini seguenti:

– il Tribunale di Napoli disattese l’opposizione proposta da C.B., in contraddittorio con il Ministero dell’Interno e la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, avverso il provvedimento di diniego in sede amministrativa della domanda di protezione internazionale dal predetto avanzata;

ritenuto che il richiedente ricorre sulla base di tre motivi avverso la statuizione e che il Ministero risulta essersi costituito tardivamente al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione;

considerato che il primo motivo, con il quale il ricorrente denunzia “motivazione apparente e perplessa” in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, per avere il Tribunale negato la protezione internazionale sulla base delle dichiarazioni rese dall’interessato davanti alla Commissione amministrativa, senza tener conto del basso livello culturale del predetto e senza aver fatto luogo ad opportuna attività di verifica, al fine d’accertare credibilità e affidabilità del narrato, è inammissibile in quanto:

– piuttosto palesemente la censura in esame è diretta al controllo motivazionale, in spregio al contenuto dell’art. 360, c.p.c., vigente n. 5, invero, piuttosto che porre in rilievo l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo o l’assenza di giustificazione argomentativa della decisione, con la stessa il ricorrente, che nessuna allegazione puntuale, di cui il Tribunale non avrebbe tenuto conto, evidenzia, adduce mere congetture e astrazioni argomentative disancorate dal fatto, nel mentre è lo stesso richiedente, che ha ritenuto di non comparire davanti al Tribunale e ad avere affermato di non sapere riferire il motivo a cagione del quale non avrebbe potuto far rientro a casa;

ritenuto che con il secondo motivo viene denunziata violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. a) e art. 14, nonchè del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere la decisione impugnata negato la sussistenza del rischio di persecuzione, assumendo che il Tribunale non aveva acquisito le necessarie informazioni sulla situazione socio-politica in Gambia, approfondimento che, invece, sulla base dei report, il cui contenuto il ricorrente riporta, avrebbe reso palese, per la presenza di bande armate, per la diffusa violenza, per le limitazioni alla libertà d’espressione e di riunione, per la pratica della tortura, degli eccessi custodiali, per le sparizioni forzate e le detenzioni arbitrarie e per la violazione dei diritti dei minori, il concreto rischio personale in caso di rimpatrio;

considerato che anche questo motivo non supera il vaglio d’ammissibilità, in quanto:

– l’esponente contrapponendo all’istruttoria svolta dal Tribunale ulteriori e diverse informazioni, invoca un atipico riesame di merito da parte di questa Corte), nel mentre in uno alla dubbia credibilità del narrato del ricorrente, il Giudice del merito ha deciso applicando il principio enunciato da questa Corte, la quale ha avuto modo di chiarire che ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria; il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Sez. 6, n. 18306, 08/07/2019, Rv. 654719);

– il ricorrente neppure in questa sede correla la propria posizione individuale alla situazione generale del Paese, che, comunque, sulla base delle informative ricavate dal sito Easo Coi Portai, mostra segni di miglioramento in senso democratico;

considerato che il terzo motivo, con il quale si deduce violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. a) e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, nonchè “motivazione apparente e perplessa”, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, per avere il Tribunale negato il diritto alla protezione umanitaria, deve seguire il destino delle prime due censure, invero:

– il giudice del merito ha escluso la ricorrenza dell’invocato diritto in ragione delle condizioni del Gambia prima illustrate e, di conseguenza, la doglianza reitera la inammissibile pretesa di un riesame di merito;

– quanto alle condizioni di soggettiva vulnerabilità (nel ricorso si fa riferimento alla giovane età, alla condizione di orfano e all’integrazione in Italia), l’assenza di specifica allegazione di puntuali e serie evenienze, dalle quali inferire la qualificata debolezza del richiedente, il quale costretto al rimpatrio verrebbe a trovarsi in una situazione di significativa deprivazione dei diritti fondamentali, non consente lo scrutinio dell’asserto, congetturale e apodittico (lo status di orfano non assume, in sè, fatto dal quale poter dedurre serie ragioni per assicurare la protezione umanitaria, specie tenuto conto dell’età del richiedente, nato nel gennaio del 1992, nel mentre l’asserito inserimento in Italia, privo di ogni elemento probatorio di riscontro, resta insondabile);

considerato che, di conseguenza, siccome affermato dalle S.U. (sent. n. 7155, 21/3/2017, Rv. 643549), lo scrutinio ex art. 360-bis c.p.c., n. 1, da svolgersi relativamente ad ogni singolo motivo e con riferimento al momento della decisione, impone, come si desume in modo univoco dalla lettera della legge, una declaratoria d’inammissibilità, che può rilevare ai fini dell’art. 334 c.p.c., comma 2, sebbene sia fondata, alla stregua dell’art. 348-bis c.p.c. e dell’art. 606 c.p.p., su ragioni di merito, atteso che la funzione di filtro della disposizione consiste nell’esonerare la Suprema Corte dall’esprimere compiutamente la sua adesione al persistente orientamento di legittimità, così consentendo una più rapida delibazione dei ricorsi “inconsistenti”;

considerato che non deve farsi luogo a regolamento delle spese poichè il competente Ministero non ha svolto difese in questa sede;

considerato che sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto;

che di recente questa Corte a sezioni unite, dopo avere affermato la natura tributaria del debito gravante sulla parte in ordine al pagamento del cd. doppio contributo, ha, altresì chiarito che la competenza a provvedere sulla revoca del provvedimento di ammissione al patrocinio a spese dello Stato in relazione al giudizio di cassazione spetta al giudice del rinvio ovvero – per le ipotesi di definizione del giudizio diverse dalla cassazione con rinvio (come in questo caso) – al giudice che ha pronunciato il provvedimento impugnato; quest’ultimo, ricevuta copia della sentenza della Corte di cassazione ai sensi dell’art. 388 c.p.c., è tenuto a valutare la sussistenza delle condizioni previste dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136, per la revoca dell’ammissione (S.U. n. 4315, 20/2/2020).

PQM

dichiara il ricorso inammissibile.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 23 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2020

 

 

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