Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21950 del 02/09/2019

Cassazione civile sez. II, 02/09/2019, (ud. 29/04/2019, dep. 02/09/2019), n.21950

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23337/2015 proposto da:

P.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA

BUFALOTTA n. 174, presso lo studio dell’avvocato PATRIZIA

BARLETTELLI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

LUISA RUSCONI;

– ricorrente –

contro

BANCA POPOLARE SONDRIO SOC COOP AZIONI, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

GIUSEPPE FERRARI n. 11, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO

PACIFICO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2872/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 01/07/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

29/04/2019 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Banca Popolare di Sondrio S.c.p.a., essendo venuta a conoscenza – all’esito degli accertamenti tecnici disposti nell’ambito delle procedure esecutive immobiliare R.G.E. 219/2009, 221/2009 e 179/2009, tutte pendenti innanzi il Tribunale di Lecco e relative a crediti vantati dall’istituto nei confronti di P.D., P.G. e P.M.G. – che questi ultimi non avevano trascritto l’accettazione dell’eredità della loro madre R.S., loro dante causa relativamente alla quota indivisa pari ad 1/3 del totale della proprietà dei cespiti esecutati, evocava in giudizio i predetti soggetti, nelle forme di cui agli artt. 702-bis c.p.c. e segg., innanzi il medesimo Tribunale di Lecco invocando l’accertamento della tacita accettazione, da parte loro, dell’eredità materna, con ordine al Conservatore dei RR.II. territorialmente competente di eseguire la trascrizione dell’emanando provvedimento al fine di assicurare la continuità delle trascrizioni e – di conseguenza – la possibilità di procedere alla vendita coattiva dei beni esecutati.

A sostegno della propria domanda la banca esponeva che i coeredi avevano compiuto atti di gestione del patrimonio relitto dalla de cuius, in particolare sottoscrivendo un contratto di locazione avente ad oggetto alcuni degli immobili esecutati, come accertato dal custode giudiziario nominato nell’ambito delle procedure esecutive immobiliari richiamate in apertura.

Con ordinanza n. 1902/2014 il Tribunale di Lecco rigettava la domanda sul presupposto che la relazione del custode non dimostrasse l’esistenza del contratto di locazione in essa menzionato, in difetto della produzione in atti della copia di detto contratto.

Interponeva appello la banca depositando in seconde cure la copia del contratto di locazione, nel frattempo acquisita. L’appellato P.D., costituitosi in seconde cure, disconosceva l’autenticità della sottoscrizione apposta, apparentemente a suo nome, sul documento di cui anzidetto, della quale l’istituto di credito non chiedeva la verificazione.

Con la sentenza oggi impugnata, n. 2872/2015, la Corte di Appello di Milano accoglieva l’appello dichiarando che l’appellato P.D. aveva provveduto ad accettare tacitamente l’eredità della sua dante causa ed ordinando la trascrizione del provvedimento.

Propone ricorso per la cassazione di detta decisione P.D. affidandosi a quattro motivi.

Resiste con controricorso Banca Popolare di Sondrio Scpa ambo le parti hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 2700 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè la Corte di Appello avrebbe errato nel ritenere che la relazione del custode, alla luce della fede privilegiata che deriva dalla peculiare funzione svolta dall’ausiliario, facesse piena prova della veridicità dell’avvenuta stipulazione del contatto di locazione. Ad avviso del ricorrente, la predetta fede privilegiata andrebbe circoscritta agli atti che il custode ha compiuto, tra i quali non rientrerebbe la sottoscrizione del contratto di locazione di cui si discute.

La censura è inammissibile perchè non coglie la ratio della decisione impugnata: la Corte di Appello non ha infatti in alcun modo attribuito una fede privilegiata alla relazione del custode, ma si è limitata ad affermare che essa “… è pienamente idonea a fornire la prova dei fatti ivi attestati come veri – nel caso di specie, la locazione ad un terzo di un bene dell’eredità della sig.ra R.S. da parte dei tre chiamati alla stessa – in difetto di qualsiasi prova della non rispondenza a vero delle circostanze riportate come vere nella relazione” (cfr. pag. 2 della decisione impugnata). La Corte ambrosiana ha quindi compiuto una valutazione in punto di fatto, fondata su un apprezzamento delle risultanze istruttorie; detto sindacato non risulta neppure scalfito dalla prospettazione del ricorrente, il quale nel motivo in esame non ha dedotto, nè dimostrato, di aver fornito nel corso del giudizio di merito prova contraria a quanto emergente dalla richiamata relazione del custode. Il ricorrente invero si limita a sostenere di aver disconosciuto la sottoscrizione del contratto di locazione di cui è causa “non appena ne ha avuto cognizione”, ovverosia in appello, ma non allega di aver sollevato alcuna eccezione, in merito all’esistenza di detto contratto o alla sua paternità dello stesso, nel corso del giudizio di prima istanza.

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3, in quanto la Corte lombarda avrebbe dovuto ritenere inammissibile la produzione del contratto di locazione del quale si discute, operata solo in grado di appello dalla banca. Ad avviso del ricorrente, infatti, detta produzione violerebbe il divieto dei nova in appello e non avrebbe dovuto essere consentita, anche perchè la banca avrebbe potuto acquisire a tempo debito la copia del contratto e depositarla in prime cure unitamente alla relazione del custode del cespite esecutato.

Con il quarto motivo, da trattare per motivi di connessione unitamente al secondo, il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè la Corte ambrosiana avrebbe dovuto impedire l’ingresso del contratto di locazione in appello, trattandosi di documento già potenzialmente disponibile per la banca nel corso del giudizio di prima istanza.

Le due doglianze, che come detto sono da trattare congiuntamente, sono infondate posto che la Corte di Appello, nell’autorizzare il deposito della copia del contratto di locazione nel corso del giudizio di seconde cure, lo ha evidentemente ritenuto indispensabile ai fini della decisione. In proposito, occorre ribadire che la produzione di nuovi documenti in appello, ammessa dall’art. 345 c.p.c., comma 3, a condizione che il giudice ne verifichi l’indispensabilità, è consentita anche in difetto di un apposito provvedimento motivato di ammissione, essendo sufficiente che la giustificazione di quest’ultima sia desumibile dalla motivazione della sentenza, dalla quale deve risultare, anche per implicito, la ragione per la quale tale prova sia stata ritenuta decisiva ai fini del giudizio (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 23963 del 15/11/2011, Rv. 619795; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 8877 del 01/06/2012, Rv. 622744).

Nel caso di specie dalla pur essenziale motivazione della Corte di Appello si evince che il giudice di seconde cure, nel valutare ai fini della decisione della controversia la copia del contratto di locazione prodotta solo in seconde cure dalla banca appellante la ha evidentemente ritenuta indispensabile, con conseguente ammissibilità della produzione, ancorchè tardiva.

A tanto consegue il rigetto del secondo e quarto motivo del ricorso.

Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 216 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè la Corte territoriale avrebbe posto a fondamento della propria decisione un documento – il contratto di locazione di parte dei beni ereditari di cui si discute – la cui firma era stata disconosciuta dall’odierno ricorrente, senza che la banca avesse formulato alcuna istanza di verificazione della predetta sottoscrizione. Ad avviso del ricorrente, così facendo la Corte milanese avrebbe deciso la controversia sulla scorta di un documento privo di qualsiasi efficacia probatoria.

La censura è fondata. Nel proprio controricorso (cfr. pag. 8 dello stesso) Banca Popolare di Sondrio S.c.p.a. conferma la mancata proposizione dell’istanza di verificazione della sottoscrizione apposta sul contratto di cui si discute a seguito del disconoscimento dell’autenticità della stessa, sostenendo che la Corte ambrosiana non avrebbe, in effetti, tenuto conto di detto documento, avendolo utilizzato soltanto a conferma della veridicità di quanto risultante dalla relazione del custode giudiziario, già prodotta in prima istanza. L’argomento è tratto dalla sentenza impugnata, nella quale la Corte di seconde cure afferma che la produzione in appello del contratto di locazione “… non costituirebbe una prova nuova, ma unicamente un riscontro della rispondenza al vero di quanto attestato nella relazione del custode giudiziario…” (cfr. pag. 2 della decisione impugnata).

La tesi, oltre a risultare affetta da irriducibile contraddittorietà logica – posto che l’uso di un documento a confutazione o conferma di quanto risultante da altra fonte di prova rappresenta comunque una considerazione dello stesso nell’ambito dell’apprezzamento delle risultanze istruttorie acquisite agli atti del giudizio – è in ogni caso in sè stessa errata, poichè l’ammissione di un documento in appello ne postula l’indispensabilità ai fini della decisione, il che conferma l’utilizzazione del documento medesimo.

Trattandosi tuttavia, nella fattispecie, di documento la cui firma era stata ritualmente disconosciuta dall’odierno ricorrente, era onere della banca, ov’essa avesse votuto avvalersi della scrittura in esame, invocarne la verificazione nelle forme di cui all’art. 216 c.p.c.. Per converso, “La mancata proposizione dell’istanza di verificazione di una scrittura privata disconosciuta equivale, secondo la presunzione legale, ad una dichiarazione di non volersi avvalere della scrittura stessa come mezzo di prova, con la conseguenza che il giudice non deve tenerne conto e che la parte che ha disconosciuto la scrittura non può trarre dalla mancata proposizione dell’istanza di verificazione elementi di prova a sè favorevoli” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2220 del 16/02/2012, Rv. 621456 e Cass. Sez. 1, Sentenza n. 27506 del 20/11/2017, Rv. 646187).

Da quanto precede consegue l’accoglimento della censura in esame, con conseguente cassazione della decisione impugnata nei limiti del motivo accolto e rinvio della causa, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, ad altra sezione della Corte di Appello di Milano.

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il primo motivo, rigetta il secondo e il quarto e accoglie il terzo. Cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, ad altra sezione della Corte di Appello di Milano.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 29 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 2 settembre 2019

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