Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2195 del 30/01/2020

Cassazione civile sez. II, 30/01/2020, (ud. 21/03/2019, dep. 30/01/2020), n.2195

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – rel. Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6579-2017 proposto da:

M.L., + ALTRI OMESSI, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

TORTONA 4, presso lo studio dell’avvocato STEFANO LATELLA,

rappresentati e difesi dall’avvocato MATTEO DE POLI;

– ricorrenti –

contro

BANCA D’ITALIA, in persona del legale rappresentante pro tempore

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA NAZIONALE, 91 C/O BANCA

D’ITALIA, presso lo studio dell’avvocato DONATO MESSINEO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIUSEPPE GIOVANNI

NAPOLETANO;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositato il

06/09/2016; (Rg. 52250/14);

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/03/2019 dal Consigliere ROSSANA GIANNACCARI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale CELESTE

ALBERTO che ha concluso per rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato LATELLA Stefano con delega orale, difensore dei

ricorrenti che si riporta agli atti depositati;

udito l’Avvocato MESSINEO Donato difensore della resistente che si

riporta agli atti depositati.

Fatto

FATTI DI CAUSA

A seguito di ispezione della Banca d’Italia nei confronti di Veneto Banca s.p.a., nel periodo compreso tra il 15.4.2013 ed il 9.8.2013, venivano contestate ad A.F. ed agli altri soggetti indicati in epigrafe, in qualità di componenti del consiglio di amministrazione non muniti di deleghe, alcune violazioni del Testo Unico Bancario inerenti la carenza di organizzazione e di controlli interni, l’inosservanza delle disposizioni in materia di politiche di remunerazione dei componenti ed ex componenti del consiglio di amministrazione, le carenze nel processo del credito e l’omessa segnalazione all’Organo di Vigilanza di posizioni anomale.

Con Delib. n. 424 del 2014, la Banca d’Italia irrogava sanzioni amministrative, avverso la quale i ricorrenti proponevano opposizione innanzi alla Corte d’Appello di Roma.

Con decreto del 6.9.2016, la corte romana rigettava l’opposizione.

Per quel che ancora rileva nel giudizio di legittimità, il giudice dell’opposizione riteneva che fosse stato rispettato il termine di novanta giorni previsto dalla L. n. 689 del 1991, art. 14 per l’avvio del procedimento sanzionatorio, avuto riguardo al momento della contestazione delle irregolarità, avvenuta al termine della seconda ispezione, conclusa il 9.8.2013 e non della precedente ispezione in data 12.4.2013. Detta ispezione si era conclusa con il rilievo di alcune criticità per quanto riguardava le modalità di rettifica del valore dei crediti in sofferenza, dei crediti incagliati e ristrutturati, dei criteri di valutazione degli immobili e delle politiche di affidamento; a seguito dell’ispezione, l’Autorità di Vigilanza aveva formulato raccomandazioni, alle quali la Veneto Banca s.p.a. non si era adeguata, sicchè, secondo la corte di merito, l’accertamento delle irregolarità era avvenuto solo con la seconda ispezione.

Riteneva insussistenti le dedotte violazioni del contraddittorio, relative alla circostanza che gli incolpati non avessero cognizione, nel procedimento amministrativo, del parere della Commissione per l’esame delle irregolarità e della proposta sanzionatoria, nè all’omessa separazione tra la fase istruttoria e la fase decisoria del procedimento, in quanto nella fase giurisdizionale era stata garantita la piena esplicazione del loro diritto di difesa innanzi ad un giudice terzo.

Per la cassazione di detto decreto, hanno proposto opposizione A.F. e gli altri ricorrenti indicati in epigrafe, sulla base di tre motivi, illustrati con memorie difensive depositate in prossimità dell’udienza.

Ha resistito con controricorso la Banca d’Italia.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, deducendo la violazione della L. n. 689 del 1991, art. 14 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e l’omesso esame del verbale ispettivo del 14.4.2013, i ricorrenti lamentano l’inosservanza del termine di giorni novanta per l’avvio del procedimento sanzionatorio, sostenendo che esso decorra non dalla contestazione delle irregolarità, avvenuta al termine della seconda ispezione ma dall’accertamento dei fatti già accertati nel corso della predente ispezione. Osservano i ricorrenti che, poichè la precedente ispezione si era conclusa il 12.4.2013, il termine per l’avvio del procedimento, avvenuto con la contestazione degli addebiti in data 6.11.2013, sarebbe già decorso.

Il motivo non è fondato.

Ha affermato questa Corte, con orientamento consolidato al quale il collegio intende dare continuità, che, in tema di sanzioni amministrative, il giudice dell’opposizione, dinanzi al quale sia stata eccepita la tardività della notificazione degli estremi della violazione, deve valutare il complesso degli accertamenti compiuti dalla amministrazione procedente e la congruità del tempo complessivamente impiegato in relazione alla complessità degli accertamenti compiuti, anche in vista, in caso di più violazioni tra loro connesse, dell’emissione di un’unica ordinanza di ingiunzione, ma non può sostituirsi alla stessa amministrazione nel valutare l’opportunità di atti istruttori collegati ad altri e compiuti senza apprezzabile intervallo temporale (Cassazione civile sez. lav., 02/04/2014, n. 7681; Cassazione civile sez. II, 13/12/2011, n. 26734; Cass. n. 16642 del 2005).

Il termine prescritto per la contestazione della violazione non decorre, pertanto, nè dalla data di consumazione della violazione (che, segna, invece, il dies a quo della prescrizione del credito sanzionatorio ai sensi dell’art. 28 della stessa legge), nè dalla mera percezione del fatto, ma dal compimento di tutte le indagini volte ad acquisire la piena conoscenza dei fatti e della determinazione della sanzione, che siano ritenute necessarie da parte degli organi addetti al controllo sull’osservanza delle disposizioni – per la cui violazione è prevista la sanzione amministrativa – oppure degli ufficiali e degli agenti di polizia giudiziaria (Cass. 7.8.2012 n. 14210).

La valutazione circa la tempestività della notifica degli estremi della violazione – in relazione all'”accertamento” dell’organo addetto al controllo – è riservata al giudice di merito (Cassazione civile sez. un., 07/04/2014, n. 8053)e, come tale, può essere sindacata, in sede di legittimità, soltanto per vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5).

Orbene, nel caso di specie, la Corte d’appello ha adeguatamente dato conto delle ragioni che l’hanno indotta a ritenere tempestiva la contestazione dell’illecito, evidenziando come il termine di novanta giorni non decorresse dalla data di conclusione del primo rapporto ispettivo, nel quale erano state rilevate alcune criticità (in relazione al valore dei crediti in sofferenza e dei crediti incagliati e ristrutturati, in ordine ai criteri di valutazione degli immobili ed alle politiche di affidamento), cui erano seguite delle raccomandazioni, prescritte dall’organo di vigilanza, alle quali l’istituto bancario non si era adeguato. L’accertamento delle irregolarità era, invece, avvenuto con la seconda ispezione, all’esito del compimento di tutte le indagini volte ad acquisire piena conoscenza dei fatti, in relazione alla complessità della fattispecie; nè, come già rilevato, è ipotizzatile un sindacato di legittimità in ordine alla opportunità o meno dello svolgimento di accertamenti integrativi.

Non vi è stato, pertanto, l’omesso esame del verbale ispettivo emesso a conclusione della prima ispezione, che è stato, invece, valutato dalla corte territoriale e ritenuto inidoneo all’accertamento delle violazioni, constatate, invece, all’esito della seconda ispezione.

Con il secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, della L. n. 262 del 2005, art. 24 e dell’art. 145 TUB, con conseguente violazione del principio del contraddittorio, previsto dall’art. 111 Cost., per mancanza di distinzione tra funzioni istruttorie all’interno dell’organo di vigilanza, che aveva irrogato la sanzione; lamentano i ricorrenti di non aver avuto conoscenza di alcuni atti del procedimento sanzionatorio amministrativo, e segnatamente degli atti della Commissione delle irregolarità, del suo parere e del quantum della sanzione, sì che non era loro consentita una difesa piena in tale sede. Osservano i ricorrenti che il Regolamento della Banca d’Italia del 19.12.2012, ratione temporis applicabile, non consentirebbe la partecipazione al contraddittorio in sede amministrativa, tanto che il successivo regolamento avrebbe previsto la tutela del contraddittorio anche alla fase amministrativa, attraverso la trasmissione di una proposta sanzionatoria, con facoltà degli interessati di presentare osservazioni innanzi al Direttorio.

Il motivo non è fondato.

Questa Corte ha, in più occasioni, affermato che il diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost. e quello del giusto processo di cui all’art. 111 Cost. concernono il giudizio e non il procedimento amministrativo, e che il procedimento sanzionatorio previsto dall’art. 145 del Testo Unico Bancario è conforme alla giurisprudenza sovranazionale, con particolare riferimento all’art. 6, par. 1 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (Cass. N. 4725 del 2016, Cass. 16313/2016 e 463/2017).

La corte territoriale, con articolata motivazione, ha escluso la violazione del diritto di difesa e del diritto al contraddittorio, perchè, anche laddove il procedimento amministrativo sanzionatorio non avesse offerto garanzie equiparabili a quelle del processo giurisdizionale, i ricorrenti avevano potuto sottoporre le loro ragioni innanzi ad un organo indipendente e imparziale, dotato di piena giurisdizione, come la disciplina nazionale gli consente di fare tramite l’opposizione alla corte d’appello, tanto più che, nel caso di specie, non si trattava di sanzioni amministrative sostanzialmente “penali” (Corte Europea dei diritti dell’uomo, 4 marzo 2014, Grande Stevens e altri c. Italia; Cass. Civ. Sez. II, 14/12/2015 N. 25141).

Con il terzo motivo di ricorso si deduce l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per non avere il giudice dell’opposizione considerato che i ricorrenti si erano adoperati per eliminare o attenuare le conseguenze della violazione, intraprendendo iniziative per rimediare alle criticità segnalate con il primo rapporto ispettivo, attraverso un c.d. remeditation plan, sottoposto all’Autorità di Vigilanza e regolarmente depositato in sede di opposizione, di cui la Corte d’appello non avrebbe tenuto conto.

Il motivo non è fondato.

Nel procedimento d’opposizione a sanzione amministrativa pecuniaria la motivazione dell’ordinanza-ingiunzione in ordine alla concreta determinazione della sanzione, ove la norma indichi un massimo ed un minimo, si risolve semplicemente nell’esposizione dei criteri seguiti dall’autorità ingiungente per pervenire alla liquidazione della somma pretesa, secondo un potere discrezionale insindacabile in sede di legittimità (Cassazione civile sez. II, 19/03/2007, n. 6417; Cass. Civ., Sez II, 21952/2014).

Nella specie, la corte territoriale non ha omesso di valutare il c.d. remeditation plan, al fine della determinazione della sanzione, ma ha ritenuto inadeguati i rimedi adottati dopo la prima ispezione, e, quindi, implicitamente anche le misure previste nel remeditation plan, commisurando la sanzione secondo il ruolo svolto da ciascuno degli opponenti in relazione alle irregolarità riscontrate.

Il ricorso va, pertanto, rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate in dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione Civile della Corte di cassazione, il 21 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 gennaio 2020

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