Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2195 del 25/01/2022

Cassazione civile sez. I, 25/01/2022, (ud. 04/06/2021, dep. 25/01/2022), n.2195

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 3976/2017 r.g. proposto da:

ASSOCIAZIONE MENEGHINA, (cod. fisc. (OMISSIS)), con sede in

(OMISSIS), in persona del Presidente P.L., rappresentata

e difesa, giusta procura speciale allegata al ricorso, dall’Avvocato

Prof. Giorgio Canesi, presso il cui studio elettivamente domicilia

in Milano, alla via Clusone n. 2;

– ricorrente –

contro

H.N., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso,

giusta procura speciale allegata al controricorso, dagli Avvocati

Domenico di Tullio, e Paolo Fumagalli, unitamente ai quali

elettivamente domicilia presso lo studio del primo in Roma, alla via

Del Giordano n. 30;

controricorrente –

e

R.B.A., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresenta e difesa,

giusta procura speciale allegata al controricorso, dall’Avvocato

Maria Cristina Bonicalzi, con cui elettivamente domicilia in Roma,

alla via Ugo Bartolomei, presso lo studio dell’Avvocato Enrico

Ivella;

– controricorrente –

avverso la sentenza della CORTE DI APPELLO DI MILANO depositata il

29/11/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

giorno 04/06/2021 dal Consigliere Dott. Eduardo Campese.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione per opposizione di terzo ex art. 404 c.p.c., notificato il 7/11 luglio 2014, H.N. impugnò, dinanzi alla Corte d’appello di Milano, il lodo emesso il 20 giugno 2012 (e reso esecutivo il 4 ottobre 2012), su iniziativa dell’Associazione Meneghina nei confronti di R.B.A., nella controversia insorta nell’ambito di un rapporto di locazione regolato da un contratto formalmente intercorso tra queste due parti, il cui art. 10 conteneva una clausola compromissoria con designazione in essa dell’arbitro unico nella persona dell’Avv. Giorgio Canesi.

1.1. Premettendo di essere stato il reale conduttore dell’immobile oggetto di quel contratto, chiaramente simulato laddove, invece, indicava come tale la R.B., l’impugnante dedusse di aver avuto notizia di quel lodo (che aveva condannato la R.B. al pagamento, in favore della menzionata Associazione, di Euro 3.575,00 per canoni, di Euro 1.492,55 per mancato pagamento delle spese per le utenze domestiche, di Euro 5.500,00 per risarcimento dei danni per manutenzione e rispristini, nonché di Euro 105,95 per spese di registrazione) solo il 12 giugno 2014, tramite la ricezione di una raccomandata dell’Avv. Manelli, per conto della R.B., che gli aveva intimato il pagamento di Euro 17.828,18, al fine di manlevare quest’ultima in relazione alle somme portate nel lodo e per le quali stava subendo una procedura di espropriazione immobiliare avente ad oggetto il proprio appartamento. Lamentò, dunque: i) di essere stato pretermesso, benché effettivo conduttore e malgrado avesse riconsegnato l’immobile in normali condizioni; ii) di non aver potuto esercitare alcuna difesa nel giudizio arbitrale, avviato per ottenere, a fronte di crediti inesistenti, un titolo nei confronti della R.B. (rimasta contumace perché a (OMISSIS)); iii) l’essere stato pronunciato quel lodo da un soggetto privo della necessaria terzietà, per avere lo stesso arbitro curato gli interessi di una parte (poi risultata vittoriosa).

2. Costituitesi l’Associazione Meneghina e la R.B., l’adita corte accolse la proposta opposizione e dichiarò nullo, ex art. 829 c.p.c., n. 9, il lodo predetto, altresì revocando l’avvenuta ammissione dell’Associazione Meneghina al beneficio del pagamento a spese dello Stato.

2.1. Per quanto qui di residuo interesse, quel giudice: i) condivise la corrispondente eccezione dell’opponente circa la carenza di adeguata dimostrazione del potere di P.L., qualificatosi Presidente dell’Associazione Meneghina, a rappresentare quest’ultima ed a conferire, in tale veste, la procura ad litem all’Avv. Ferrante; rilevò che “copia del lodo oggetto dell’opposizione risulta versato in atti e, come tale, puntualmente indicato nell’atto di opposizione (ancorché senza alcun numero, poiché menzionato prima dell’elenco dei documenti numerati…)”; iii) riconobbe la legittimazione dell’ H. a proporre l’opposizione ex art. 404 c.p.c.; iv) ritenne il lodo impugnato “nullo per vizio del contraddittorio, in quanto emesso in una procedura arbitrale instaurata con pretermissione della controparte effettiva conduttrice, come tale nota a tutti gli interessati e allo stesso arbitro, nei confronti di altra parte solo formalmente interessata (la B.), la cui rituale convocazione dovrebbe pure ragionevolmente essere esclusa (la B., all’epoca, si trovava – pacificamente e notoriamente – all’estero, in altro continente, e dunque non si è costituita in arbitrato e non ha svolto alcuna difesa)”; v) considerò la procedura arbitrale avviata “senza una vera e propria domanda di arbitrato (ossia senza l’atto che una parte notifica all’altra, nel quale dichiara la propria intenzione di promuovere il procedimento arbitrale, propone la domanda e, per quanto le spetta, procede alla nomina degli arbitri), domanda che, invece, risulta assolutamente necessaria, come precisato da autorevole e condivisibile giurisprudenza…” e “tramite un arbitro unico la cui terzietà deve pure ragionevolmente escludersi, considerando le circostanze tutte elencate (cfr. note 7, 8, 9 e 10) e in sintesi riconducibili alle peculiari caratteristiche del contratto di locazione ed alle modalità della sua stipulazione, alla particolare vicinanza dell’Avv. Canesi alla proprietà e alla parte locatrice, all’invio a cura dell’arbitro non soltanto della prima, ma anche di tutte le successive comunicazioni, comprese quelle apparentemente formate e provenienti da AM”.

3. Per la cassazione di questa sentenza ricorre l’Associazione Meneghina, affidandosi a nove motivi, ulteriormente illustrati da memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c.. Resistono, con distinti controricorsi, R.B.A. e H.N..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Rileva preliminarmente il Collegio che la memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c. della parte ricorrente risulta depositata tardivamente (il 26 maggio 2021) rispetto alla data (4 giugno 2021) della fissata adunanza camerale. Di essa, pertanto, non si terrà conto ai fini della decisione.

2. Il nono motivo di ricorso, da scrutinarsi in via prioritaria e rubricato “violazione e falsa applicazione dell’art. 325 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, ascrive alla corte milanese di avere “omesso di dichiarare preliminarmente la decadenza del terzo opponente H. “per non essere stata proposta l’opposizione nel termine perentorio di trenta giorni stabilito dall’art. 325 c.p.c.”, termine “insanabile e rilevabile di ufficio”..” (cfr. pag. 23 del ricorso).

2.1. La corrispondente doglianza è infondata perché mostra chiaramente di non tenere in alcun conto che il termine ivi invocato riguarda l’opposizione ex art. 404 c.p.c., comma 2, laddove quella intrapresa dall’ H., ai sensi del comma 1 del medesimo articolo (ritenuta tale anche dalla corte d’appello), nella specie in combinato disposto con l’art. 831 c.p.c., comma 3, non è soggetta a termini decadenziali per la sua proposizione, trovando il suo unico limite nell’estinzione del diritto del terzo pregiudicato dalla decisione pronunciata inter alios (cfr. Cass. n. 466 del 2014; Cass. n. 24721 del 2009). Nessuna rilevanza, quindi, hanno le argomentazioni (peraltro implicanti accertamenti fattuali non consentiti a questa Corte Suprema) circa la data in cui l’opponente avrebbe avuto effettiva conoscenza del lodo così impugnato.

3. Il primo motivo di ricorso prospetta “violazione e falsa applicazione dell’art. 347 c.p.c., comma 2, e dell’art. 74 disp. att. c.p.c.”, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “per non avere l’opponente depositato, alla costituzione in giudizio, copia del lodo esecutivo impugnato propedeutico alla ammissibilità e procedibilità dell’opposizione, come confermato dall’assenza di tale essenziale indicazione anche nella copertina del fascicolo di parte opponente…”, nonché in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, “per essere stata disattesa la richiesta delle testimonianze sul punto, trattandosi di fatto decisivo per la procedibilità, in via preliminare, del giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti” (cfr. pag. 5 del ricorso).

3.1. Una siffatta doglianza si rivela in parte infondata ed in parte inammissibile.

3.2. Da un lato, infatti, è sufficiente ricordare che il deposito della sentenza impugnata non è più richiesto a pena di inammissibilità o di improcedibilità dell’appello, in seguito alla modifica dell’art. 347 c.p.c., comma 2, disposta dalla L. n. 353 del 1990, che non lo considera come adempimento formale indispensabile alla rituale costituzione in giudizio (cfr. Cass. n. 24461 del 2020). Quindi, quand’anche il lodo non fosse stato prodotto, la conseguenza divisata dal ricorrente non si sarebbe comunque prodotta. Il tutto non senza evidenziare, peraltro, che la corte distrettuale ha espressamente dato atto (cfr. pag. 9 della sentenza impugnata) che “copia del lodo oggetto dell’opposizione risulta versato in atti e, come tale, puntualmente indicato nell’atto di opposizione (ancorché senza alcun numero, poiché menzionato prima dell’elenco dei documenti numerati…)” ed il relativo accertamento fattuale non è ulteriormente sindacabile in questa sede (peraltro, ove frutto di una svista del giudicante, avrebbe potuto essere censurato solo con la revocazione, costituendo un errore ex art. 395 c.p.c., n. 4).

3.2.1. Dall’altro, va rimarcato che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (formalmente invocato dall’Associazione Meneghina con la doglianza in esame), nel testo introdotto dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012 (qui applicabile ratione temporis risultando impugnata una sentenza pubblicata il 29 novembre 2016), riguarda un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, da intendersi riferito ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni (cfr. Cass. n. 395 del 2021, in motivazione; Cass., SU, n. 16303 del 2018, in motivazione; Cass. n. 14802 del 2017; Cass. n. 21152 del 2015), sicché sono inammissibili le censure che, come nella specie, irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo (cfr., ex aliis, Cass. n. 4477 del 2021, in motivazione; Cass. n. 395 del 2021, in motivazione, Cass. n. 22397 del 2019; Cass. n. 26305 del 2018; Cass. n. 14802 del 2017).

4. Il sesto motivo di ricorso, il cui esame deve logicamente anteporsi a quello degli altri, deduce la “violazione e falsa applicazione degli artt. 404 e 405 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 2 e 3”, per avere la corte distrettuale “omesso di dichiararsi ex art. 405 c.p.c., in via preliminare, funzionalmente ed inderogabilmente incompetente a conoscere dell’opposizione di terzo, nonché improcedibile l’opposizione perché non proposta davanti allo stesso giudice che ha reso la pronuncia opposta”. Assume, in particolare, la ricorrente che l’opposizione promossa dall’ H. avrebbe dovuto essere conosciuta dallo stesso giudice che aveva reso il provvedimento opposto, sicché, vertendo la stessa su di un lodo arbitrale, detta impugnazione doveva essere sottoposta al medesimo arbitro che aveva pronunciato quel lodo.

4.1. Una siffatta doglianza è destituita di fondamento posto che l’art. 831 c.p.c., nel sancire che il lodo è soggetto a revocazione e ad opposizione di terzo nei casi indicati, rispettivamente, dall’art. 395 c.p.c., nn. 1, 2, 3 e 6, e dall’art. 404 codice di rito, stabilisce espressamente, al comma 3, che “le impugnazioni per revocazione e per opposizione di terzo si propongono davanti alla corte di appello nel cui distretto è la sede dell’arbitrato, osservati i termini e le forme stabilite nel libro secondo”.

5. Il secondo ed il terzo motivo di ricorso, rubricati, rispettivamente, “violazione e falsa applicazione dell’art. 182 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3” e “violazione e falsa applicazione dell’art. 75 c.p.c., comma 4, e art. 36 c.c.”, ascrivono alla corte milanese, una volta preso atto dell’eccezione di difetto di rappresentanza ivi formulata dall’opponente, di non aver assegnato all’Associazione Meneghina il termine di cui all’art. 182 c.p.c. per i relativi adempimenti e di aver considerato l’Associazione predetta non ritualmente rappresentata in giudizio da P.L., qualificatosi come suo Presidente, ignorando, così, la documentazione prodotta sul punto.

5.1. Tali censure, scrutinabili congiuntamente perché chiaramente connesse, non meritano accoglimento posto che: i) dalla stessa sentenza impugnata, emerge che quella corte, di fatto, ha concesso il termine per la produzione della documentazione concernente la legittimazione processuale del legale rappresentante della Associazione Meneghina, esaminando comunque la documentazione che la menzionata Associazione aveva prodotto, in sede di precisazione delle conclusioni e, successivamente, con la memoria di replica, onde giustificare il dedotto potere rappresentativo del P.. Nessun concreto pregiudizio al diritto di difesa della odierna ricorrente, dunque, sarebbe ravvisabile ove pure fosse configurabile, in thesi, il denunciato errore di attività del giudice a quo; ii) quella stessa documentazione, peraltro, è stata compiutamente valutata e giudicata inidonea a comprovare la invocata qualità del P., sicché la corrispondente doglianza della odierna ricorrente oblitera completamente che la denuncia di violazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ivi formalmente proposta, non può essere mediata dalla riconsiderazione delle risultanze istruttorie (cfr. Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2015; Cass. n. 8315 del 2013; Cass. n. 16698 del 2010; Cass. n. 7394 del 2010; Cass., SU. n. 10313 del 2006), non potendosi surrettiziamente trasformare il giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (cfr. Cass., SU, n. 34476 del 2019; Cass. n. 21381 del 2006, nonché la più recente Cass. n. 8758 del 2017).

6. Il quarto motivo di ricorso denuncia “violazione e falsa applicazione dell’art. 404 c.p.c., commi 1 e 2 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”: i) per mancanza del presupposto essenziale di ammissibilità della proposta opposizione, non pregiudicando il lodo impugnato diritti dell’ H.; ii) per l’impossibilità, in un siffatta impugnazione, di deduzioni ed istanze tendenti a dimostrare la erroneità della decisione opposta e la sua necessità di riforma, dovendo, per contro, accertarsi solo il pregiudizio che al terzo deriverebbe dalla decisione stessa; iii) perché l’opponente non rivestiva la qualità di avente causa o creditore di una delle parti processuali in un lodo che sia “effetto di dolo o collusione” concordato tra la R.B. e l’Associazione Meneghina ai suoi danni; iv) perché quello rivendicato dall’ H. era un mero diritto di credito nei confronti della R.B.; v) perché l’opponente aveva chiesto “solo la declaratoria di “insussistenza o nullità” del lodo ex art. 404 c.p.c., e, quindi, la corte distrettuale avrebbe dovuto dichiarare la domanda inammissibile” atteso che il rimedio di cui alla citata norma è esperibile quando il titolo pregiudica i diritti dell’opponente o quando è l’effetto del dolo o collusione delle due parti processuali a danno di un avente causa o di un creditore di una di esse, e non per richiedere la nullità del titolo esecutivo.

6.1. Trattasi di argomentazioni tutte insuscettibili di condivisione attese le seguenti, dirimenti considerazioni: i) costituisce principio pacifico e consolidato che sono legittimati a proporre opposizione di terzo ordinaria coloro che, terzi rispetto al giudizio nel quale è stata emessa la decisione e non soggetti all’effetto del giudicato, vantino in relazione al bene oggetto della controversia un proprio diritto autonomo ed incompatibile con il rapporto giuridico accertato o costituito dalla sentenza o lo vedano dalla medesima pregiudicato (cfr., ex aliis, Cass. n. 5244 del 2019; Cass. n. 8888 del 2010; Cass. n. 6179 del 2009; Cass. n. 8545 del 2003; Cass. n. 8258 del 1990); ii) l’effettivo titolare di un rapporto sostanziale, che non sia stato parte del giudizio in cui sia stata pronunciata la decisione incidente sul rapporto stesso, può far valere il suo diritto con l’opposizione di cui all’art. 404 c.p.c. (cfr. Cass. n. 8545 del 2003; Cass. n. 6886 del 1994; Cass. n. 6376 del 1986; Cass. n. 1863 del 1975. In senso sostanzialmente conforme, si veda anche Cass., SU, n. 1238 del 2015, nonché Cass. n. 17974 del 2015, a tenore della quale la legittimazione all’impugnazione in genere spetta, fatta eccezione per l’opposizione di terzo, solo a chi abbia formalmente assunto la qualità di parte – non rileva se presente o contumace, originaria o intervenuta – nel precedente giudizio conclusosi con la decisione impugnata, indipendentemente dall’effettiva titolarità del rapporto giuridico sostanziale dedotto in giudizio, poiché con l’impugnazione non si esercita un’azione ma un potere processuale che può essere riconosciuto solo a chi abbia partecipato al precedente giudizio); iii) legittimato a proporre l’impugnazione per nullità del lodo arbitrale è soltanto colui il quale sia stato formalmente parte del giudizio arbitrale in cui è stato pronunciato il lodo da impugnare e non colui che a tale giudizio sia rimasto estraneo, anche se sia l’effettivo titolare del rapporto sostanziale oggetto della controversia decisa dagli arbitri, trattandosi, rispetto al lodo, pur sempre di un terzo il quale può far valere il suo diritto con l’opposizione di cui all’art. 404 c.p.c., comma 1, richiamato dall’art. 831 cit. codice; iv) il giudizio relativo alla sussistenza del pregiudizio ai fini dell’accoglibilità dell’opposizione di terzo ex art. 404 c.p.c., costituisce un apprezzamento di fatto che, se sorretto da motivazione idonea a rivelare la ratio decidendi, non è censurabile in sede di legittimità (cfr. Cass. n. 28827 del 2017). E, nella specie, la corte di appello ha correttamente evidenziato che il terzo era stato illecitamente pretermesso, con pregiudizio “del suo diritto di intervenire, interloquire e difendersi (si pensi alla pronuncia sui danni ed al non trascurabile importo con essa liquidato)”. In definitiva, il diritto autonomo fatto valere dall’ H., incompatibile con quello della R.B. su cui si era pronunciato il lodo impugnato, era evidentemente quello di vedere riconosciuta la propria qualità di effettivo conduttore, in luogo di quest’ultima, dell’immobile oggetto del contratto di locazione formalmente sottoscritto da lei e dalla Associazione Meneghina, così da potersi difendere dalle pretese economiche che l’Associazione locatrice aveva rivendicato verso la R.B. e di cui la stessa, condannata nel lodo poi impugnato ex artt. 404 e 831 c.p.c. dall’ H., aveva chiesto a quest’ultimo di essere manlevata; v) del tutto irrilevanti si rivelano le argomentazione della odierna ricorrente circa i presupposti di ammissibilità dell’opposizione di terzo cd. revocatoria, di cui all’art. 404 c.p.c., comma 2, perché, come si è già detto in precedenza, l’opposizione concretamente esperita dall’Hernandez, giusta l’art. 831 c.p.c., comma 3, era quella di cui al medesimo art. 404, comma 1.

7. Il quinto motivo di ricorso, rubricato “violazione e falsa applicazione dell’art. 404 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, critica la corte distrettuale, innanzitutto, per avere “omesso in via preliminare ed assorbente di dichiarare inammissibili le istanze avverso il lodo opposto “dovendo il giudizio (di opposizione di terzo) limitarsi all’accertamento del pregiudizio che al terzo può derivare dalla sentenza” (…) e tantomeno poteva accogliere la domanda di annullamento del lodo, esorbitando la stessa dai due casi ammessi dall’art. 404″ (cfr. pag. 16 del ricorso).

7.1. In parte qua, la censura è infondata per le medesime ragioni appena esposte rigettandosi il precedente quarto motivo.

7.2. La doglianza, poi, contesta gli assunti della sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto il lodo viziato per essere stata la procedura arbitrale avviata senza una vera e propria domanda di arbitrato, assolutamente necessaria. In questa parte, però, la stessa si rivela inammissibile.

7.2.1. Invero, la corte milanese ha accertato che, nella specie, era mancato un atto di una parte, notificato all’altra, recante la propria intenzione di promuovere il procedimento arbitrale e la proposizione della domanda.

7.2.2. E’ noto, poi, che il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 deve essere dedotto, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con la indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in quale modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendosi alla Corte regolatrice di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione (cfr. Cass. n. 16700 del 2020). Risulta, quindi, inidoneamente formulata la deduzione di errori di diritto individuati per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme pretesamente violate, ma non dimostrati attraverso una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata mediante specifiche e puntuali contestazioni nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non tramite la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata (cfr. Cass. n. 24298 del 2016; Cass. n. 5353 del 2007).

7.2.3. Nella specie, invece, la ricorrente, proponendo una diversa ricostruzione fattuale delle modalità con cui era stato, a suo dire, regolarmente avviato e si era poi svolto il giudizio arbitrale conclusosi con il lodo successivamente impugnato dall’ H., nuovamente non considera che la denuncia di violazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, formalmente proposta con il motivo in esame, non può essere mediata dalla riconsiderazione delle risultanze istruttorie (cfr. Cass. n. 195 dei 2016; Cass. n. 26110 del 2015; Cass. n. 8315 del 2013; Cass. n. 16698 del 2010; Cass. n. 7394 del 2010; Cass., SU. n. 10313 del 2006), non essendo consentito, in sede di legittimità, ridiscutere degli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (cfr. Cass., SU, n. 34476 del 2019; Cass. n. 21381 del 2006, nonché la più recente Cass. n. 8758 del 2017).

8. Il settimo motivo di ricorso, rubricato “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 119 e 136 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, contesta alla corte territoriale di aver revocato l’avvenuta ammissione dell’Associazione Meneghina al patrocinio a spese dello Stato malgrado non ne ricorressero i presupposti di legge.

8.1. Tale censura è inammissibile ex art. 360-bis c.p.c., alla luce del principio, ripetutamente espresso da questa Corte (cfr., ex multis, Cass. n. 2959 del 2021; Cass. n. 25622 del 2020; Cass. n. 7785 del 2020; Cass., SU, n. 4315 del 2020; Cass., n. 1987 del 2020; Cass. n. 29877 del 2018; Cass. n. 3028 del 2018), secondo cui la revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato adottata con il provvedimento che definisce il giudizio, anziché con separato decreto, come previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136 non comporta mutamenti nel regime impugnatorio che resta quello, ordinario e generale, dell’opposizione ex art. 170 stesso D.P.R., dovendosi escludere che la pronuncia sulla revoca, in quanta adottata con la decisione che definisca il giudizio, sia, per ciò solo, impugnabile immediatamente con il ricorso per cassazione, rimedio previsto solo per l’ipotesi contemplata dall’art. 113 D.P.R. citato.

9. Identica sorte merita, infine, l’ottavo motivo, recante “violazione e falsa applicazione dell’art. 404 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, per avere la corte distrettuale “omesso di dichiarare inammissibili le prove prodotte in contrasto con quanto stabilito dall’art. 9 del contratto di locazione 22.7.2011 (…) in base al quale “Qualsiasi modifica al presente contratto dovrà risultare da atto scritto. Non sarà ammessa alcuna prova in contrasto con quanto stabilito dal presente contratto”. Poiché quanto inventato dall’opponente contrasta con quanto stabilito nel contratto, in particolare sulla persona del conduttore, senza “risultare da atto scritto”, in via assorbente consegue la cassazione”.

9.1. A tacer d’altro, invero, la censura difetta di autosufficienza nella misura in cui nemmeno indica le “prove prodotte” che detta corte, piuttosto che dichiarare inammissibili, avrebbe posto a fondamento del proprio convincimento.

10. In definitiva, l’odierno ricorso va respinto, restando le spese di questo giudizio di legittimità regolate dal principio di soccombenza, altresì dandosi atto – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 – che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte dell’associazione ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto, mentre “spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento”.

11. Da ultimo, va disattesa la domanda ex art. 96 c.p.c. proposta dall’ H. (cfr. pag. 15 del suo controricorso), atteso che il tenore letterale della sua formulazione, assolutamente generico, nemmeno consente di stabilire, con la necessaria certezza, se trattasi di istanza riconducibile alla fattispecie di cui al comma 1 della citata norma oppure a quella (affatto diversa per tipologia e presupposti) di cui al comma 3 medesima disposizione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna l’Associazione Meneghina al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità, che si liquidano, per ciascuna parte controricorrente, in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dell’associazione ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Prima civile della Corte Suprema di cassazione, il 4 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 25 gennaio 2022

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