Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21947 del 21/09/2017
Cassazione civile, sez. VI, 21/09/2017, (ud. 11/05/2017, dep.21/09/2017), n. 21947
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ARMANO Uliana – Presidente –
Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –
Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –
Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –
Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 17778/2016 proposto da:
P.M., P.E., PA.EL., eredi di
G.S. elettivamente domiciliati in ROMA, VIA ANGELO BELLANI
45, presso lo studio dell’avvocato DAVIDE ACHILLE, rappresentati e
difesi dall’avvocato FABRIZIO BELFIORE;
– ricorrente –
contro
COMUNE DI SAN COSTANZO, in persona del Sindaco, elettivamente
domiciliato in ROMA VIA ANAPO N. 20, presso lo studio dell’avvocato
CARLA RIZZO, rappresentato e difeso dagli avvocati CHIARA FUCILI,
CARLA RIZZO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 323/2016 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,
depositata il 10/03/2016;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio
dell’11/05/2017 dal Consigliere Dott. MARCO DELL’UTRI.
Fatto
RILEVATO IN FATTO
che, con sentenza resa in data 10/3/2016, la Corte d’appello di Ancona, in accoglimento dell’appello proposto dal Comune di San Costanzo e in riforma della sentenza di primo grado, ha rigettato la domanda proposta da G.S. per la condanna del Comune convenuto al risarcimento dei danni verificatisi a seguito della caduta della G. da una scala all’interno del cimitero comunale;
che, a sostegno della decisione assunta, la corte territoriale ha evidenziato il mancato raggiungimento di alcuna prova idonea in ordine alla sussistenza del nesso di causalità tra l’uso della scala all’interno del cimitero, da parte della G. e la relativa caduta, nè, in generale, di alcuna prova circa la concreta dinamica dei fatti ch’ebbero a determinare il danno originariamente denunciato;
che, avverso la sentenza d’appello, hanno proposto ricorso per cassazione P.M., P.E. ed Pa.El., quali eredi di Simonetta G., deceduta in corso di causa, sulla base di due motivi d’impugnazione;
che il Comune di San Costanzo resiste con controricorso;
che, a seguito della fissazione della Camera di consiglio, sulla proposta di definizione del relatore emessa ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., le parti non hanno presentato memoria;
considerato che, con il primo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione dell’art. 2051 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte d’appello erroneamente escluso l’avvenuta dimostrazione, da parte dell’attrice, della dinamica del fatto dannoso e dei presupposti della responsabilità del Comune convenuto, avuto riguardo al contenuto complessivo delle risultanze processuali;
che, con il secondo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per omesso esame di un fatto decisivo controverso (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5), per avere la corte territoriale omesso di considerare il contenuto degli elementi istruttori acquisiti al giudizio (ricapitolati in ricorso), nel loro complesso idonei ad attestare la responsabilità dell’amministrazione convenuta in relazione ai danni sofferti dall’originaria attrice;
che entrambi i motivi sono inammissibili;
che, al riguardo, è appena il caso di evidenziare come, attraverso le censure indicate (sotto entrambi i profili di cui all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), i ricorrenti si siano sostanzialmente spinti a sollecitare la corte di legittimità a procedere a una rilettura nel merito degli elementi di prova acquisiti nel corso del processo, in contrasto con i limiti del giudizio di cassazione e con gli stessi limiti previsti dall’art. 360 c.p.c., n. 5 (nuovo testo) sul piano dei vizi rilevanti della motivazione;
che, in particolare, sotto il profilo della violazione di legge, i ricorrenti risultano aver prospettato le proprie doglianze attraverso la denuncia di un’errata ricognizione della fattispecie concreta, e non già della fattispecie astratta prevista dalle norme di legge richiamate (operazione come tale estranea al paradigma del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3), neppure coinvolgendo, la prospettazione critica dei ricorrenti, l’eventuale falsa applicazione delle norme richiamate sotto il profilo dell’erronea sussunzione giuridica di un fatto in sè incontroverso, insistendo propriamente i ricorrenti nella prospettazione di una diversa ricostruzione dei fatti di causa, rispetto a quanto operato dal giudice a quo;
che, sotto il profilo del denunciato preteso omesso esame di fatti decisivi controversi, i ricorrenti si sono spinti a delineare i tratti di un vaglio di legittimità esteso al riscontro di pretesi difetti o insufficienze motivazionali (nella prospettiva dell’errata interpretazione o configurazione del valore rappresentativo degli elementi di prova esaminati) del tutto inidonei a soddisfare i requisiti imposti dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5;
che, sulla base delle argomentazioni che precedono, dev’essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso, con la condanna dei ricorrenti al rimborso, in favore del Comune controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, secondo la liquidazione di cui al dispositivo.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al rimborso, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 5.600,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 3, il 11 maggio 2017.
Depositato in Cancelleria il 21 settembre 2017