Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21946 del 24/10/2011
Cassazione civile sez. I, 24/10/2011, (ud. 17/06/2011, dep. 24/10/2011), n.21946
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CARNEVALE Corrado – Presidente –
Dott. FIORETTI Francesco Maria – rel. Consigliere –
Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –
Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –
Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 18502-2005 proposto da:
COMUNE DI ROMA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA DEL TEMPIO DI GIOVE 21, presso l’Avvocatura
Comunale, rappresentato e difeso dagli avvocati AVENATI FABRIZIO,
CECCARELLI AMERICO, giusta procura a margine del ricorso e procura
speciale per Notaio dott. GENNARO MARICONDA di ROMA – Rep. n. 49818
del 31.5.2011;
– ricorrente –
contro
A.P. ITALIA S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE REGINA MARGHERITA 46, presso
l’avvocato FRASCAROLI ANDREA, che la rappresenta e difende, giusta
procura a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1144/2005 della CORTE D’APPELLO di ROMA,
depositata il 14/03/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
17/06/2011 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA FIORETTI;
udito, per il ricorrente, l’Avvocato CECCARELLI (con procura notarile
già depositata) che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito, per la controricorrente, l’Avvocato FRASCAROLI che ha chiesto
il rigetto del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
SORRENTINO Federico che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La soc. A.P. Italia a r.l. conveniva in giudizio dinanzi alla Corte d’Appello di Roma il Comune di Roma per sentir quantificare l’indennità di espropriazione di un terreno, con annessi due fabbricati, della estensione di mq. 1.610, sito in Roma, espropriato per la realizzazione del Sistema Direzionale Orientale (S.D.O. ambitolo Pietralata) con ordinanza sindacale n. 203 del 10.07.2001, con la quale era stata determinata la indennità di esproprio, da ritenersi inadeguata, nella misura di lire 122.149.320, per i fabbricati, e nella misura di lire 83.114.484 per il terreno.
Costituitosi in giudizio, il Comune contestava le avverse pretese chiedendone il rigetto. La Corte adita, esperita una C.T.U, liquidava a favore della società summenzionata la somma di Euro 180.863,85 per l’espropriazione del terreno, con gli interessi legali sulla somma residua rispetto a quella già depositata presso la Cassa Depositi e Prestiti e di Euro 207.151,46 per l’espropriazione dei due fabbricati, con gli interessi legali dalla data della domanda al saldo.
Avverso tale sentenza il Comune di Roma ha proposto ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo. La Soc. A.P. Italia a r.l.
ha resistito con controricorso.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto in tema di determinazione dell’indennità di esproprio. Omessa ed insufficiente motivazione su alcuni punti decisivi della controversia – contraddittorietà ed illogicità della motivazione.
Deduce il ricorrente che la sentenza impugnata non avrebbe preso in considerazione le osservazioni presentate al C.T.U., con le quali si sarebbe fatto rilevare che, per quanto riguarda il Comprensorio S.D.O. di Pietralata non poteva applicarsi l’indice di fabbricabilità di 1,6 mc./mq. previsto dalle norme tecniche del P.R.G. del 1965, ma bisognava tener conto dell’edificabilità già realizzata con una riduzione dell’indice di fabbricabilità a meno di 1 mc./mq.. Pertanto la stima del valore di mercato del terreno, per cui è causa, avrebbe dovuto essere effettuata con riferimento a tale ultimo indice medio.
Nell’effettuare la stima non si sarebbe considerato, inoltre, che buona parte della potenziale edificabilità del terreno era stata esaurita, dato che sullo stesso insistono due fabbricati abusivi e condonati.
Lamenta, infine, il ricorrente che la stima sarebbe stata eseguita con il metodo del valore di trasformazione, che, in estimo, ipotizza la costruzione del terreno e determina il valore di mercato della stessa come differenza tra il valore commerciale del prodotto finale (la costruzione realizzata) e gli oneri gravanti sull’operatore economico sommati al profitto riconoscibile allo stesso. In questo tipo di stima se si sottovalutano gli oneri si finisce per sopravvalutare il terreno ed è ciò che avrebbe fatto il C.T.U..
Il ricorso è infondato.
La Corte di merito è pervenuta alla decisione impugnata basandosi su quanto accertato ed affermato dal Consulente Tecnico d’Ufficio, ritenendo di poter condividere le sua conclusioni “in quanto sorrette da congrua motivazione ed ispirate ai principi tecnici della materia”.
Il giudice a quo non si è avvalso pedissequamente dell’elaborato del C.T.U., ma ne ha condiviso le conclusioni dopo aver preso in considerazione le osservazioni fatte da entrambe le parti e, quindi, anche dal ricorrente, alla consulenza d’ufficio ed averle ritenute non condivisibili.
In particolare con riferimento alle osservazioni mosse dall’attuale ricorrente si legge nella sentenza impugnatali contestazioni del Comune convenuto, sia con riferimento all’indice di fabbricabilità che al costo di costruzione relativi alle potenzialità edificatorie del terreno, non possono condividersi in quanto il consulente d’Ufficio ha operato il proprio calcolo mediando tra i vari criteri di valutazione degli immobili (procedimento analitico indiretto, procedimento analitico diretto e metodo riferito alla volumetria costruibile per l’incidenza in lire dell’area), per cui i suddetti indici particolari sonno rimasti assorbiti dalla ponderazione media della valutazione stessa”. La sentenza della Corte di merito appare, pertanto, adeguatamente e logicamente motivata; nè è consentito reiterare in sede di legittimità osservazioni già proposte dal ricorrente in sede di merito, prese in considerazione dal giudice di merito e da questo ritenute non condivisibili con una adeguata e plausibile motivazione. Pertanto il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente condannato al pagamento a favore della resistente delle spese del giudizio di legittimità, che, tenuto conto del valore della controversia, appare giusto liquidare in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per spese vive, oltre spese generali ed accessori di legge.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso a favore di A.P. Italia a r.l. delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 5.200,00 (cinquemiladuecento), di cui Euro 200,00 per spese vive, oltre spese generali ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 17 giugno 2011.
Depositato in Cancelleria il 24 ottobre 2011