Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21944 del 12/10/2020

Cassazione civile sez. II, 12/10/2020, (ud. 23/07/2020, dep. 12/10/2020), n.21944

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23526/2019 proposto da:

F.L., rappresentato e difeso dall’avvocato CLEMENTINA DI ROSA,

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2694/2019 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 17/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

23/07/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Ritenuto che la vicenda qui al vaglio può sintetizzarsi nei termini seguenti:

– la Corte d’appello di Napoli disattese l’impugnazione proposta da F.L. in contraddittorio con il Ministero dell’Interno e la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, avverso il provvedimento con il quale il Tribunale aveva rigettato l’opposizione avverso il provvedimento di diniego in sede amministrativa della domanda di protezione internazionale dal predetto avanzata;

ritenuto che il L. ricorre sulla base di quattro motivi avverso la statuizione d’appello e che il Ministero è rimasto intimato;

considerato che il primo motivo, con il quale il ricorrente denunzia violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 3,5,6,7,8 e 14, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere il Giudice d’appello negato il diritto allo status di rifugiato e alla protezione sussidiaria, è inammissibile:

– la sentenza impugnata (foglio secondo, terzo periodo) espressamente precisa che l’appello era rivolto a vedersi riconosciuto il diritto al permesso per motivi umanitari, ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6;

– il ricorrente non contesta e documenta una erronea perimetrazione dell’appello da parte della Corte locale e, pertanto, il motivo, poichè nuovo, non è scrutinabile in questa sede;

ritenuto che con il secondo motivo il F. prospetta violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per essere stato negato il diritto alla protezione umanitaria, evidenziando, in sintesi, che:

– interpretato l’istituto quale clausola di salvaguardia, sulla base della situazione socio-politica del Paese di provenienza (Gambia), sulla scorta delle COI (contry of origin information), caratterizzata da insicurezza, violazione dei diritti umani, tenuto conto della giovane età del richiedente, dei suoi attuali legami in Italia e degli abusi patiti per giungere nel territorio nazionale, la Corte d’appello non avrebbe potuto negare il riconoscimento del diritto, valorizzando le dichiarazioni rese dal F. davanti alla Commissione e il contenuto dell’atto d’appello, ricorrendo l’ipotesi di vulnerabilità riconosciuta in sede di legittimità con la pronunzia n. 4455, 23/2/2018;

considerato che il motivo non supera il vaglio d’ammissibilità per le ragioni che seguono:

– occorre premettere che la denunzia di violazioni di legge in genere non determina, per ciò stesso, nel giudizio di legittimità lo scrutinio della questione astrattamente evidenziata sul presupposto che l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito giustifichi il rivendicato inquadramento normativo, essendo, all’evidenza, occorrente che l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, sia tale da doversene inferire la sussunzione nel senso auspicato dal ricorrente;

– la Corte di Napoli, dopo aver tratteggiato l’attuale situazione socio-politica del Gambia, avviatosi verso sviluppi di democratizzazione, ha escluso che il richiedente versasse in una situazione di vulnerabilità, cagionata dal concreto rischio di veder svanire, in caso di rimpatrio, una consolidata posizione di positivo inserimento sociale in Italia (cfr. pag. 8, in fondo);

– la censura, al di là della ricostruzione astratta dell’istituto, non svolge una effettiva critica impugnatoria, il che avrebbe implicato la specifica sottoposizione a questa Corte di emergenze di causa tali da sconfessare sul punto la sentenza d’appello, dalla quale il ricorrente si limita a dissentire, senza neppure indicare il percorso argomentativo, sostenuto da elementi probatori specificamente evidenziati (cfr., da ultimo, Sez. 1, n. 6519, 6/3/2019);

ritenuto che con il terzo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e art. 27, comma 1-bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, dolendosi del mancato esercizio del potere istruttorio d’ufficio, in quanto la Corte locale, violando la legge, non aveva fatta luogo ad acconcia istruttoria, implicante l’accesso alle fonti di conoscenza (COI) utili a fotografare la situazione del Paese d’origine, con la conseguenza che la decisione impugnata doveva reputarsi frutto di asserti apodittici, che non avevano tenuto conto della forte instabilità e la tensione sociale registratasi in Gambia, ricavabile anche dal sito del Ministero degli Esteri, (OMISSIS) e dall’allarme sequestri di persona lanciato dal medesimo Ministero; dovendosi, inoltre, registrare una emergenza terrorismo e un’emergenza sanitaria;

considerato che il motivo è inammissibile in quanto privo di specifico riferimento alla situazione personale del richiedente, il quale non può vantare il diritto alla protezione umanitaria sol perchè il proprio Paese d’origine soffre di una condizione di sottosviluppo, avendo l’onere di spiegare quali specifiche e personali ragioni umanitarie, che, quindi, lo riguardino direttamente, resterebbero pregiudicate dal suo rimpatrio;

ritenuto che con il quarto motivo il ricorrente denunzia l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, assumendo che la Corte di Napoli aveva inopinatamente giudicato lacunoso il racconto del F., non tenendo conto degli elementi di “vulnerabilità soggettiva ed oggettiva dell’appellante: giovanissima età, violenze subite, assenza di legami sociali col Paese d’origine”, messi in relazione con la “evoluzione in melius delle condizioni di vita”;

considerato che anche quest’ultima censura non supera il vaglio d’ammissibilità per una pluralità di convergenti ragioni:

– in primo luogo l’esponente non specifica dove le evidenziate circostanze abbiano formato oggetto di discussione fra le parti; nè, tantomeno specifica nel dettaglio, con puntuale riferimento agli atti processuali, in cosa siano consistite le violenze patite, in cosa consista il concreto rischio derivante dal rimpatrio, in cosa consista il radicamento in Italia, motivatamente escluso dalla decisione d’appello;

– per contro la sentenza, al contrario dell’assunto, ha motivatamente spiegato che il narrato del ricorrente non integrava situazione meritevole di tutela umanitaria;

– la Corte locale, a dispetto dell’assunto censuratorio, ha dato conto, con indicazione delle fonti, degli elementi univoci che facevano escludere che si fosse in presenza di una situazione di violenza indiscriminata, la quale, va precisato, non può identificarsi con situazioni d’instabilità, anche significative (peraltro diffuse in larga parte delle Nazioni), bensì in un diffuso e indistinto e violento disordine, costituente, appunto, indiscriminato pericolo per i residenti, non fronteggiato efficacemente dall’apparato statale;

– il ricorrente presuppone una situazione fattuale che il Giudice del merito non ha riscontrato, attingendo a plurimi e attendibili report, e contrappone ad essa un’alternativa ricostruzione del complesso informativo, il cui apprezzamento non è in questa sede predica bile;

considerato che, di conseguenza, siccome affermato dalle S.U. (sent. n. 7155, 21/3/2017, Rv. 643549), lo scrutinio ex art. 360-bis c.p.c., n. 1, da svolgersi relativamente ad ogni singolo motivo e con riferimento al momento della decisione, impone, come si desume in modo univoco dalla lettera della legge, una declaratoria d’inammissibilità, che può rilevare ai fini dell’art. 334 c.p.c., comma 2, sebbene sia fondata, alla stregua dell’art. 348-bis c.p.c. e dell’art. 606 c.p.p., su ragioni di merito, atteso che la funzione di filtro della disposizione consiste nell’esonerare la Suprema Corte dall’esprimere compiutamente la sua adesione al persistente orientamento di legittimità, così consentendo una più rapida delibazione dei ricorsi “inconsistenti”;

considerato che non deve farsi luogo a regolamento delle spese poichè il competente Ministero non ha svolto difese in questa sede;

considerato che sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto;

che di recente questa Corte a sezioni unite, dopo avere affermato la natura tributaria del debito gravante sulla parte in ordine al pagamento del cd. doppio contributo, ha, altresì chiarito che la competenza a provvedere sulla revoca del provvedimento di ammissione al patrocinio a spese dello Stato in relazione al giudizio di cassazione spetta al giudice del rinvio ovvero – per le ipotesi di definizione del giudizio diverse dalla cassazione con rinvio (come in questo caso) – al giudice che ha pronunciato il provvedimento impugnato; quest’ultimo, ricevuta copia della sentenza della Corte di cassazione ai sensi dell’art. 388 c.p.c., è tenuto a valutare la sussistenza delle condizioni previste dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136, per la revoca dell’ammissione (S.U. n. 4315, 20/2/2020).

P.Q.M.

dichiara il ricorso inammissibile.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 23 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2020

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