Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21941 del 21/09/2017


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Cassazione civile, sez. III, 21/09/2017, (ud. 06/07/2017, dep.21/09/2017),  n. 21941

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

Dott. SPAZIANI Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 9358/2015 proposto da:

M.A., domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

OLINDO DI FRANCESCO giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

UNIPOLSAI ASSICURAZIONI SPA, M.S.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1229/2014 del TRIBUNALE di AGRIGENTO,

depositata il 06/08/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/07/2017 dal Consigliere Dott. PAOLO SPAZIANI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PEPE Alessandro, che ha concluso per il rigetto.

Fatto

FATTI DI CAUSA

M.A. convenne in giudizio l’Aurora Assicurazioni (oggi Unipolsai) s.p.a. e M.S. per ottenerne la condanna al risarcimento dei danni riportati in seguito all’incidente stradale del (OMISSIS), allorchè aveva subito lesioni personali (trauma alla spalla sinistra con frattura del terzo medio distale) dopo che l’autovettura di proprietà di M.S., da questi condotta, sulla quale egli viaggiava come trasportato, era uscita di strada urtando il guard-rail.

All’esito di CTU medico-legale, il Giudice di pace di Agrigento, ritenuto il concorso di colpa della vittima nella misura del 20 per cento per non avere indossato la cintura di sicurezza, condannò i convenuti, in solido tra loro, a risarcire all’attore il danno non patrimoniale (liquidato nella misura di Euro 3.695,37) e il danno patrimoniale per spese mediche (liquidato nella misura di Euro 258,16), oltre accessori.

Il Tribunale di Agrigento ha respinto l’appello di M.A., sulla base, per quel che ancora interessa, dei seguenti rilievi:

– nel ritenere il concorso di colpa del danneggiato il primo giudice non aveva commesso la denunciata violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, in quanto il fatto non costituiva oggetto di eccezione in senso stretto ma era rilevabile anche d’ufficio e la sua sussistenza, inoltre, doveva ritenersi accertata in base alle risultanze istruttorie;

– la ridotta liquidazione del danno morale (nella misura di 1/5 del danno biologico) era pienamente giustificata alla luce della modesta entità dei postumi dell’incidente, da cui era derivato un danno biologico valutabile nella misura del 3% e un’inabilità temporanea della durata di 60 giorni e non erano residuati postumi sulla capacità lavorativa generica e specifica;

– la perdita derivante dalle spese sostenute per l’attività stragiudiziale non era risarcibile, dovendosene escludere nella specie l’utilità in funzione della composizione in via transattiva della controversia, avuto riguardo all’entità del ristoro richiesto attraverso tale attività.

Propone ricorso per cassazione M.A. sulla base di cinque motivi, al quale non risponde alcuno dei due intimati.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo (“nullità della sentenza e/o del procedimento per errores in procedendo (art. 360 c.p.c., n. 4 – artt. 112 e 115 c.p.c., in relazione agli artt. 1227 e 2697 c.c.)”) il ricorrente si duole che il tribunale abbia confermato la statuizione con cui il primo giudice aveva ridotto del 20 per cento la misura del risarcimento spettantegli, sebbene i convenuti non avessero eccepito la sussistenza di un suo concorrente fatto colposo o di una sua condotta volta ad aggravare il danno nè avessero fornito la prova di tali fatti.

2. Con il secondo motivo (“Violazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, degli artt. 112 e 115 c.p.c. e dei principi di disponibilità della prova e di non contestazione”) la sentenza impugnata è censurata per aver ritenuto provato il concorso di colpa del danneggiato derivante dal mancato utilizzo della cintura di sicurezza sebbene tale circostanza non fosse mai stata dedotta, allegata e provata dalla società assicurativa, neppure attraverso la specifica contestazione della circostanza contraria.

3. Con il terzo motivo (“violazione e falsa applicazione degli artt. 112,115 e 116 c.p.c., in relazione agli artt. 1227,2727,2729 e 2697 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3)”) M.A. lamenta che il giudice del merito abbia ritenuto provata la circostanza del mancato uso, da parte sua, della cintura di sicurezza, sebbene la stessa non fosse stata riferita dal conducente in sede di interrogatorio formale e fosse stata, anzi, recisamente smentita, in sede di deposizione testimoniale, dall’altro passeggero che viaggiava nella stessa autovettura al momento dell’incidente.

Il ricorrente infine deduce che “la mera violazione di una norma che disciplina la circolazione di per sè non è fonte di responsabilità civile, ove tale violazione non si ponga quale elemento causale rispetto all’evento dannoso”.

3.1. Gli illustrati motivi, che vanno congiuntamente esaminati per evidenti ragione di connessione, sono in parte inammissibili e in parte infondati.

Sono inammissibili nella parte in cui censurano la sentenza impugnata per aver ritenuto provato che il danneggiato abbia concorso a cagionare il danno con il proprio fatto colposo consistente nel mancato utilizzo della cintura di sicurezza.

Attraverso tale censura viene infatti proposta una rivalutazione delle risultanze istruttorie al fine di suscitare dalla Corte di legittimità un nuovo giudizio di merito in contrapposizione a quello motivatamente formulato dal tribunale.

Quest’ultimo, con valutazione insindacabile perchè riservata al giudice di merito, ha tratto l’accertamento della circostanza negativa del mancato utilizzo della cintura di sicurezza da parte del ricorrente da una serie di elementi istruttori, tra i quali le dichiarazioni rese dallo stesso danneggiato al CTU medico-legale in sede di anamnesi, nonchè la considerazione della dinamica e delle conseguenze del sinistro, all’esito del quale il conducente e il passeggero che viaggiava sul sedile anteriore non avevano riportato alcun danno, mentre la vittima, seduto sul sedile posteriore, aveva subìto un trauma alla spalla sinistra con frattura della clavicola. Avuto riguardo a tali elementi di prova, il tribunale, pur dandone atto, ha motivatamente ritenuto inattendibile la deposizione resa dall’unico testimone escusso ed ha deciso di conseguenza.

Nel contrapporre a questo apprezzamento la diversa lettura secondo la quale la testimonianza resa dal secondo passeggero e l’interrogatorio formale del conducente avrebbero invece dovuto indurre ad escludere la prova del concorrente fatto colposo del danneggiato, il ricorrente omette di considerare che la valutazione delle prove è attività riservata al giudice del merito cui compete anche la scelta, tra le prove stesse, di quelle ritenute più idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi (Cass. 13/06/2014, n. 13485; Cass. 15/07/2009, n. 16499).

La predetta valutazione non può dunque essere rimessa in discussione in sede di legittimità, con conseguente inammissibilità delle inerenti censure svolte con i motivi di ricorso in esame.

3.2. I motivi stessi sono inammissibili, ancora, nella parte in cui deducono che “la mera violazione di una norma che disciplina la circolazione di per sè non è fonte di responsabilità civile, ove tale violazione non si ponga quale elemento causale rispetto all’evento dannoso”.

La deduzione – che è ovvia in astratto ma difficilmente comprensibile in relazione alla concreta fattispecie in esame contrasta, infatti, con l’agevole rilievo che il giudice del merito non ha accertato la mera violazione di una norma sulla circolazione stradale ma ha accertato un comportamento colposo del danneggiato che ha concorso con l’illecito posto in essere dal danneggiante nella causazione del danno e che ha pertanto determinato la necessità di ridurre la misura del risarcimento per evitare che il secondo rispondesse anche della parte di pregiudizio causalmente imputabile al primo.

3.3. I motivi in esame, infine, sono infondati, nella parte in cui lamentano l’accertamento officioso, da parte dei giudici del merito, dei fatti posti a fondamento della diminuzione del risarcimento, in assenza di un’eccezione dei convenuti circa la sussistenza del concorrente fatto colposo della vittima o di una sua condotta volta ad aggravare il danno e senza che di tali fatti gli stessi convenuti avessero fornito l’allegazione e la prova.

Al riguardo occorre ribadire il consolidato principio secondo cui, posta la distinzione tra l’ipotesi in cui il fatto colposo del danneggiato abbia concorso a causare il danno (art. 1227 c.c., comma 1) e l’ipotesi in cui il suo comportamento contrario a correttezza non ne abbia evitato l’aggravamento senza contribuire alla sua causazione, determinata esclusivamente dall’illecito del danneggiante (art. 1227 c.c., comma 2), la prima fattispecie, a differenza della seconda, non costituisce oggetto di eccezione in senso proprio, ma può essere verificata dal giudice anche d’ufficio, attraverso le opportune indagini sull’eventuale sussistenza della colpa del danneggiato e sulla quantificazione dell’incidenza causale dell’accertata negligenza nella produzione dell’evento dannoso, indipendentemente dalle argomentazioni e richieste formulate dalla parte (Cass. 30/09/2014, n. 20619; Cass. 22/03/2011, n. 6529; Cass. 10/11/2009, n. 23734; Cass. 25/09/2008, n. 24080; v. anche Cass. SU 03/06/2013, n. 13902).

Nel caso di specie, il giudice del merito ha fatto debita applicazione di questo principio procedendo, alla luce delle risultanze istruttorie che ha inteso valorizzare, all’officiosa verifica della condotta colposa del danneggiato che aveva contribuito alla produzione dell’evento dannoso (omesso uso delle cinture di sicurezza) e provvedendo, coerentemente con tale verifica, a diminuire il risarcimento secondo la gravità della colpa e l’entità delle conseguenze che ha ritenuto fossero derivate da tale condotta.

Ne discende l’infondatezza delle censure avanzate con i motivi in esame.

4. Con il quarto motivo (“violazione e falsa applicazione degli artt. 1226,2043,2056,2059 c.c., degli artt. 112,115,116 e 132c.p.c. e dell’art. 111 Cost.”), il ricorrente si duole del rigetto del capo di domanda relativo al risarcimento del danno morale. Deduce che il giudice del merito avrebbe del tutto omesso di valutare le sofferenze da lui patite in seguito all’incidente e che non avrebbe considerato le circostanze del caso concreto in funzione della adeguata personalizzazione del danno non patrimoniale. Evidenzia, in particolare, l’erroneità della statuizione volta a respingere la richiesta di risarcimento del pregiudizio morale sul presupposto dell’entità limitata dei postumi, attesa l’ontologica autonomia del danno morale rispetto al danno biologico.

4.1. Questo motivo è inammissibile.

Anzitutto, la censura difetta di specificità in relazione al tenore della decisione impugnata, nella quale si dà atto della liquidazione del danno morale nella misura di un quinto di quello biologico. Diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, in altre parole, il capo di domanda relativo al danno morale non sarebbe stato respinto, poichè il giudice del merito, nella liquidazione del danno non patrimoniale, dopo aver quantificato il pregiudizio alla salute, avrebbe provveduto a quantificare, in una frazione di quest’ultimo, anche la sofferenza morale. Il ricorrente avrebbe quindi dovuto censurare specificamente questa statuizione spiegando perchè, a suo avviso, non si sarebbe trattato di erronea liquidazione di un pregiudizio ritenuto sussistente ma di un vero e proprio rigetto della relativa domanda.

4.2. Ove invece il ricorrente avesse voluto censurare l’erroneità della liquidazione, denunciando l’indebita utilizzazione di criteri diversi da quelli applicabili, avrebbe dovuto indicare i parametri a cui il giudice del merito avrebbe dovuto attenersi (ad es., quelli risultanti dalle tabelle elaborate dal Tribunale di Milano) chiarendo in che misura se ne fosse in concreto discostato, semprechè la questione fosse già stata posta nel giudizio di merito, mediante deposito in atti delle predette tabelle (Cass. 16/06/2016, n. 12397; Cass. 13 novembre 2014, n. 24205).

Il ricorrente si è invece limitato ad invocare, del tutto genericamente, l’ontologica autonomia del danno morale rispetto a quello biologico, nonchè l’esigenza di un’adeguata personalizzazione del danno non patrimoniale, del tutto sganciata sia dal collegamento con i parametri tabellari sia dall’eventuale riferimento a circostanze eccezionali che nel caso concreto imponessero di superare tali parametri (cfr. Cass. 20/04/2017, n. 9950; Cass. 23/02/2016, n. 3505.

Ne discende l’inammissibilità del motivo di ricorso in esame.

5. Con il quinto motivo (“Nullità della sentenza e/o del procedimento per errores in procedendo (art. 360 c.p.c., n. 4 – artt. 112 e 115 c.p.c., in relazione all’art. 1223 c.c. e/o art. 1227 c.c., comma 2)”) la sentenza impugnata è censurata per non essersi uniformata ai principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità che includono nel danno risarcibile le spese per l’assistenza stragiudiziale, nell’ipotesi in cui la pretesa risarcitoria sia sfociata in un giudizio nel quale il danneggiato sia risultato vittorioso.

5.1. Il motivo è infondato.

E’ ben vero che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, nel giudizio instaurato per il risarcimento del danno conseguente ad incidente stradale, le spese precedentemente sostenute dal danneggiato per l’attività stragiudiziale hanno natura di danno emergente e deve dunque tenersene conto nella liquidazione del risarcimento ove il danneggiato risulti vittorioso. E’ però altrettanto vero che la risarcibilità di tale perdita patrimoniale è subordinata al giudizio di utilità delle stesse spese ai fini della concreta possibilità di evitare il giudizio o di ottenere una più pronta definizione della controversia o una tutela più rapida del diritto in contestazione, utilità che deve essere valutata ex ante, avuto riguardo a quello che poteva ragionevolmente presumersi essere l’esito del futuro giudizio (Cass. 13/04/2017, n. 9548; Cass. 13/03/2017, n. 6422).

Appare allora pienamente conforme a diritto la sentenza impugnata, la quale ha escluso la risarcibilità delle spese sostenute in sede stragiudiziale sul rilievo che il danneggiato aveva richiesto un ristoro superiore di circa il 150 per cento rispetto a quello spettante sicchè esse non avevano avuto alcuna utilità in funzione della possibilità di raggiungere un ragionevole accordo transattivo.

Anche l’ultimo motivo appare dunque infondato.

6. In definitiva, il ricorso deve essere rigettato.

7. La mancata difesa degli intimati esime la Corte dal provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.

8. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13,comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 6 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 21 settembre 2017

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