Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21938 del 21/09/2017


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Cassazione civile, sez. III, 21/09/2017, (ud. 06/07/2017, dep.21/09/2017),  n. 21938

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

Dott. SPAZIANI Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15236/2014 proposto da:

B.J., R.N., B.M.,

B.C., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA COSSERIA 5, presso

lo studio dell’avvocato MARIA GRAZIA LOBINA PAUDICE, rappresentati e

difesi dall’avvocato SABINA AMBROGETTI giusta procura speciale in

calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

UNIPOLSAI ASSICURAZIONI SPA già MILANO ASSICURAZIONI SPA, in persona

del suo procuratore Dott. G.R., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA FEDERICO CESI, 72, presso lo studio

dell’avvocato BERNARDO DE STASIO, che la rappresenta e difende

giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 285/2014 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 04/03/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/07/2017 dal Consigliere Dott. MARCO DELL’UTRI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PEPE Alessandro, che ha concluso per il rigetto;

udito l’Avvocato SABINA AMBROGETTI;

udito l’Avvocato BERNARDO DE STASIO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza resa in data 4/3/2014, la Corte d’appello di Genova, in parziale accoglimento dell’appello principale proposto da B.M., R.N., B.C. e B.J., per quel che ancora rileva in questa sede, ha parzialmente riformato la decisione con la quale il giudice di primo grado ha accolto la domanda in quella sede proposta dagli appellanti per la condanna di I.S., della Ligure Asfalti s.r.l. e della Sasa Assicurazioni s.p.a., al risarcimento dei danni subiti dagli attori ad esito del sinistro stradale (attribuito all’esclusiva responsabilità di I.S., conducente di un veicolo di proprietà della Ligure Asfalti s.r.l. assicurato dalla Sasa Assicurazioni s.p.a.) in occasione del quale il minore, B.J., trasportato sull’autovettura condotta dalla madre, R.N., aveva subito gravissimi danni alla salute.

2. Con la decisione assunta, la corte territoriale ha disposto l’aumento dell’importo risarcitorio liquidato dal primo giudice in favore di B.J. a titolo di danno non patrimoniale, contestualmente disattendendo la domanda dello stesso B.J. alla liquidazione di ulteriori importi a titolo di personalizzazione di detto danno, nonchè degli altri attori (congiunti del primo) per il riconoscimento del danno alla salute dagli stessi sofferto per effetto del sinistro.

3. Avverso la sentenza d’appello, B.M., R.N., B.C. e B.J. hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi d’impugnazione.

4. La Unipolsai Assicurazioni s.p.a. (già Milano assicurazioni S.p.A.) resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione dell’art. 2059 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente escluso il ricorso di circostanze di fatto idonee a giustificare la personalizzazione in aumento della liquidazione del danno non patrimoniale subito da B.J., tenuto conto del carattere certo e incontestabile della perdita, da parte del danneggiato, di concrete chances di svolgimento, possibile o anche solo ottimale, di qualsivoglia attività lavorativa, in ragione dell’amputazione dell’avambraccio destro derivata dal sinistro oggetto d’esame.

2. Con il secondo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione dell’art. 2059 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente escluso il ricorso di un effettivo e concreto danno alla salute subito dai congiunti di B.J. a seguito del sinistro stradale, quale conseguenza riflessa dei gravi pregiudizi subiti da quest’ultimo.

3. Entrambe le censure sono inammissibili.

Osserva il collegio come, al di là dell’irriducibile equivocità delle argomentazioni illustrate dai ricorrenti con il primo motivo (tra la prospettata invocazione di una personalizzazione del danno non patrimoniale e il riconoscimento del danno patrimoniale da perdita della capacità lavorativa), sia appena il caso di evidenziare come, con entrambe le doglianze in esame, gli odierni ricorrenti pretendano una riconsiderazione valutativa degli elementi probatori complessivamente acquisiti al giudizio in relazione all’avvenuta dimostrazione della sussistenza di elementi di fatto giustificativi della personalizzazione del danno non patrimoniale subito dall’infortunato (o, in alternativa, dell’effettiva sussistenza di un’obiettiva lesione della relativa capacità lavorativa), ovvero il ricorso di un effettivo e concreto danno alla salute subito dai congiunti di B.J. a seguito del sinistro stradale, quale conseguenza riflessa dei gravi pregiudizi subiti da quest’ultimo.

Nei termini indicati, i ricorrenti – lungi dal denunciare l’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, delle fattispecie astratte recate dalle norme di legge richiamate – allegano un’erronea ricognizione, da parte del giudice a quo, della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa: operazione che non attiene all’esatta interpretazione della norma di legge, inerendo bensì alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, unicamente sotto l’aspetto del vizio di motivazione (cfr., ex plurimis, Sez. L, Sentenza n. 7394 del 26/03/2010, Rv. 612745; Sez. 5, Sentenza n. 26110 del 30/12/2015, Rv. 638171), neppure coinvolgendo, le prospettazioni critiche dei ricorrenti, l’eventuale falsa applicazione delle norme richiamate sotto il profilo dell’erronea sussunzione giuridica di fatti in sè incontroversi, insistendo propriamente gli stessi nella prospettazione di una diversa ricostruzione dei fatti di causa, rispetto a quanto operato dal giudice a quo.

Nel caso di specie, al di là del formale richiamo, contenuto nell’epigrafe dei motivi d’impugnazione in esame, al vizio di violazione e falsa applicazione di legge, l’ubi consistam delle censure sollevate dagli odierni ricorrenti deve piuttosto individuarsi nella negata congruità dell’interpretazione fornita dalla corte territoriale del contenuto rappresentativo degli elementi di prova complessivamente acquisiti o dei fatti di causa ritenuti rilevanti, con particolare riguardo alla valutazione dei fatti integranti la dimostrazione della sussistenza di elementi giustificativi della personalizzazione del danno non patrimoniale subito da B.J. (o, in alternativa, dell’effettiva sussistenza di un’obiettiva lesione della relativa capacità lavorativa), o del ricorso di un effettivo e concreto danno alla salute subito dai congiunti.

Si tratta, come appare manifesto, di argomentazioni critiche con evidenza dirette a censurare una (tipica) erronea ricognizione della fattispecie concreta, di necessità mediata dalla contestata valutazione delle risultanze probatorie di causa; e pertanto di una tipica censura diretta a denunciare il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il provvedimento impugnato.

Ciò posto, i motivi d’impugnazione così formulati devono ritenersi inammissibili, non potendo ritenersi soddisfatti i requisiti minimi previsti dall’art. 360 c.p.c., n. 5, ai fini del controllo della legittimità della motivazione nella prospettiva dell’omesso esame di fatti decisivi controversi tra le parti (nella specie neppure correttamente dedotti) o del mancato ricorso degli estremi del c.d. minimo costituzionale della motivazione (viceversa concretamente sussistente).

4. Con il terzo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per omessa pronuncia in relazione al risarcimento del danno morale ed esistenziale in favore di B.J., avendo la corte territoriale trascurato di considerare in modo analitico tutte le voci del danno non patrimoniale estese alla considerazione del danno biologico, di quello morale e di quello esistenziale.

5. La censura è inammissibile.

Occorre premettere come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, poichè il danno biologico ha natura non patrimoniale, e dal momento che il danno non patrimoniale ha natura unitaria, è corretto l’operato del giudice di merito che liquidi il risarcimento del danno biologico in una somma omnicomprensiva, posto che le varie voci di danno non patrimoniale elaborate dalla dottrina e dalla giurisprudenza (danno estetico, danno esistenziale, danno alla vita di relazione, ecc.) non costituiscono pregiudizi autonomamente risarcibili, ma possono venire in considerazione solo in sede di adeguamento del risarcimento al caso specifico, e sempre che il danneggiato abbia allegato e dimostrato che il danno biologico o morale presenti aspetti molteplici e riflessi ulteriori rispetto a quelli tipici (cfr., ex plurimis, Sez. 3, Sentenza n. 24864 del 09/12/2010, Rv. 614875-01).

Nella specie, con riguardo alla ridetta necessaria allegazione argomentativi e probatoria delle circostanze di fatto idonee a dar conto dell’integralità del risarcimento invocato, i ricorrenti non risultano aver fornito alcuna specificazione di eventuali fatti decisivi la cui considerazione sarebbe stata omessa dalla considerazione del giudice d’appello.

Sul punto, osserva il collegio come al caso di specie (relativo all’impugnazione di una sentenza pubblicata dopo la data del 11/9/12) trovi applicazione il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (quale risultante dalla formulazione del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b), conv., con modif., con la L. n. 134 del 2012), ai sensi del quale la sentenza è impugnabile con ricorso per cassazione “per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”.

Secondo l’interpretazione consolidatasi nella giurisprudenza di legittimità, tale norma, se da un lato ha definitivamente limitato il sindacato del giudice di legittimità ai soli casi d’inesistenza della motivazione in sè (ossia alla mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, alla motivazione apparente, al contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili o alla motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile), dall’altro chiama la corte di cassazione a verificare l’eventuale omesso esame, da parte del giudice a quo, di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (cioè che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), rimanendo escluso che l’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, integri la fattispecie prevista dalla norma, là dove il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (cfr. Cass. Sez. Un., 22/9/2014, n. 19881; Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830).

Dovendo dunque ritenersi definitivamente confermato il principio, già del tutto consolidato, secondo cui non è consentito richiamare la corte di legittimità al riesame del merito della causa, l’odierna doglianza dei ricorrenti deve ritenersi inammissibile, siccome diretta a censurare, non già l’omissione rilevante ai fini dell’art. 360, n. 5 cit., bensì la congruità del complessivo risultato della valutazione operata nella sentenza impugnata con riguardo all’intero materiale probatorio, che, viceversa, il giudice a quo risulta aver elaborato in modo completo ed esauriente, sulla scorta di un discorso giustificativo dotato di adeguata coerenza logica e linearità argomentativa, senza incorrere in alcuno dei gravi vizi d’indole logico-giuridica unicamente rilevanti in questa sede.

6. Sulla base delle argomentazioni che precedono, dev’essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso, con la conseguente condanna dei ricorrenti al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, secondo la liquidazione di cui al dispositivo.

PQM

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 7.200,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 6 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 21 settembre 2017

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