Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21937 del 21/09/2017


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Cassazione civile, sez. III, 21/09/2017, (ud. 06/07/2017, dep.21/09/2017),  n. 21937

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

Dott. SPAZIANI Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26517/2014 proposto da:

R.G., domiciliato ex lege in ROMA, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato ALESSANDRO CHIAMENTI, giusta procura speciale a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

UNIPOL SAI ASSICURAZIONI già FONDIARIA SAI SPA in persona del legale

rappresentante pro tempore Procuratore Dr. G.R.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TACITO 23, presso lo studio

dell’avvocato FERNANDO CIAVARDINI, che la rappresenta e difende

giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

R.C., C.M., E.C.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2086/2013 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 17/09/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/07/2017 dal Consigliere Dott. FRANCO DE STEFANO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PEPE Alessandro, che ha concluso per il rigetto.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. R.G. convenne in giudizio C.M., E.C. e la SAI e la Fondiaria-SAI ass.ni, rispettivamente conducente, proprietario ed assicuratrici r.c.a. dell’autoveicolo che aveva investito il (OMISSIS) la bicicletta guidata dalla madre F.D., causandole lesioni esitate nella morte, per conseguirne solidale condanna al risarcimento dei danni conseguenti: ed il relativo giudizio, seguito a sentenza di applicazione di pena su richiesta nei confronti del C. in data 11/06/1999 ed alla citazione notificata il 30/09/03, dopo un atto di interruzione della prescrizione in data 8-12/10/1999, fu riunito ad altro, separatamente in precedenza intentato dal fratello dell’attore, R.C.N., solo nel quale si erano costituiti, oltre alla compagnia assicuratrice, pure gli altri due convenuti.

2. L’adita sezione distaccata di Legnago del tribunale di Verona respinse l’eccezione di prescrizione sollevata dalla Cattolica ass.ni e riconobbe l’integrale colpa del conducente del veicolo investitore e condannò così solidamente tutti i convenuti al risarcimento dei danni in favore dei due fratelli, quantificandoli in Euro 86.660,00 per R.C.N. ed in 123.476,35 in favore di R.G., oltre al pagamento delle spese di lite e di c.t.u.; ma a tale sentenza, pubblicata il 29/10/2007 col n. 200, interpose appello la Fondiaria-SAI: e, se R.G. dispiegò gravame incidentale, resistendo al gravame principale l’altro erede, rimasero contumaci, nonostante la notifica di atto di integrazione del contraddittorio ai sensi dell’art. 331 c.p.c., il C. e la E..

3. Per quel che qui ancora rileva, l’appello dell’assicuratrice fu accolto integralmente quanto alla domanda di R.G., riconosciuta fondata l’eccezione di prescrizione biennale del credito risarcitorio con decorrenza dalla sentenza di c.d. patteggiamento, con estensione dei relativi effetti anche a favore dei condannati solidali e conseguente integrale rigetto della domanda di quel danneggiato nei confronti di tutte le controparti.

4. Per la cassazione di tale sentenza di secondo grado, pubblicata il 17/09/2013 col n. 2086 e non notificata, ricorre oggi, affidandosi a tre motivi, R.G.; resiste con controricorso, deducendo la qualità di succeditrice di Fondiaria-SAI, la UnipoISAI assicurazioni, che deposita altresì memoria per la pubblica udienza di discussione del 06/07/2017.

Ragioni della decisione

1. Il ricorrente R.G. si duole, col primo motivo, di “art. 360, n. 3: violazione di norme di diritto (in particolare dell’art. 2947 c.c., comma 3, in relazione all’art. 444 c.p.p., nonchè in relazione agli artt. 12 e 14 preleggi), per non aver considerato il maggior termine di prescrizione quinquennale, equiparando la sentenza di patteggiamento ad una sentenza irrevocabile di condanna e/o di assoluzione”; addebitando alla corte di appello di avere “supinamente aderito” all’orientamento giurisprudenziale sull’irrilevanza della sentenza di c.d. patteggiamento ai fini dell’applicazione del maggior termine di prescrizione quinquennale, sul punto invocando la contraria precedente giurisprudenza di questa stessa Corte (Cass. 530/02) e sollecitando la rimessione alle Sezioni Unite, riconosciuta la legittimità del termine più breve solo in caso di sentenza che abbia comunque accertato la rilevanza penale del fatto (richiamata sul punto la giurisprudenza in tema di decreto di archiviazione, inidoneo a fare decorrere il termine biennale in luogo di quello quinquennale: Cass. 1346/09; Cass. 1206/07).

2. Tale motivo non può trovare accoglimento: il tenore letterale della disposizione di legge, vale a dire dell’art. 2947 c.c., comma 3, non lascia margini ad interpretazioni diverse, là dove dopo avere il secondo comma stabilito che “per il risarcimento del danno prodotto dalla circolazione dei veicoli di ogni specie il diritto si prescrive in due anni” – prevede, da un lato, che, “in ogni caso, se il fatto è considerato dalla legge come reato e per il reato è stabilita una prescrizione più lunga, questa si applica anche all’azione civile” e, dall’altro lato, che “tuttavia, se il reato è estinto per causa diversa dalla prescrizione o è intervenuta sentenza irrevocabile nel giudizio penale, il diritto al risarcimento del danno si prescrive nei termini indicati dai primi due commi, con decorrenza dalla data di estinzione del reato o dalla data in cui la sentenza è divenuta irrevocabile”; essendo evidente che la sentenza di applicazione della pena su richiesta si debba definire sentenza irrevocabile intervenuta nel giudizio penale, a prescindere da una sua qualificazione come di condanna o di assoluzione, quest’ultima non essendo richiesta dalla lettera della norma.

3. L’indirizzo ermeneutico di questa Corte di legittimità, richiamato dalla corte territoriale (che si rifà espressamente a Cass. 19/02/2007, n. 3762, nonchè a Cass. 26/07/2012, n. 13218) è sul punto a dir poco consolidato, essendo successivamente confermato da Cass. 07/11/2013, n. 25042 (che precisa come ad una sentenza irrevocabile nel procedimento penale si riconduca anche la sentenza emessa ai sensi degli artt. 444 e 445 c.p.p. – c.d. patteggiamento – perchè essa non ha, nel giudizio civile, l’efficacia di una sentenza di condanna, alla quale è invece applicabile, ex art. 2953 c.c., un termine prescrizionale maggiore), ma soprattutto, per quanto con un obiter dictum, da Cass. Sez. U. 17/03/2017, n. 6959: la quale (al punto 5 della motivazione in diritto), riconosce in modo inequivocabile la correttezza della riconduzione della sentenza di patteggiamento ai sensi dell’art. 444 c.p.p., alla nozione di “sentenza irrevocabile” rilevante ai fini dell’operatività della prescrizione biennale.

4. Se la ratio della norma è comunemente individuata nell’esigenza di evitare che un soggetto, condannato in sede penale a causa di un fatto produttivo anche di conseguenze risarcitorie civili, possa sottrarsi all’obbligo di risarcire il danneggiato lucrando il più breve termine imposto dalla norma del codice civile, il secondo periodo del terzo comma dello stesso art. 2947 c.c., riconduce ad armonia la disciplina escludendo l’effetto, più favorevole per il danneggiato, dell’applicazione del termine prescrizionale maggiore previsto per il reato nei casi in cui il procedimento penale non ha avuto un esito fausto per il danneggiato medesimo.

5. Ne consegue che quest’ultimo potrà fruire, ai fini dell’avvio o della prosecuzione dell’azione civile risarcitoria, del termine prescrizionale più ampio in caso, ovviamente, di condanna di controparte, nonchè di estinzione del reato, ma solo per prescrizione, in nessun’altra ipotesi producendosi a favore del danneggiato effetti favorevoli in dipendenza della pendenza prima e della conclusione, poi, del procedimento penale per gli stessi fatti causativi di responsabilità civile.

6. In sostanza, ratio giustificatrice del maggior termine, pari a quello per il reato, è la conclusione del procedimento penale con un esito almeno in parte favorevole o fausto per il danneggiato, il quale possa quindi invocare un accertamento – anche solo sommario e non idoneo a fondare la condanna, normalmente sotteso anche alla declaratoria di estinzione per prescrizione, la quale appunto non potrebbe adottarsi dinanzi alla manifesta insussistenza di quegli elementi – quale quello sulla sussistenza degli elementi soggettivo ed oggettivo del fatto-reato: e, poichè, sia pure con una linea di tendenza in continua evoluzione verso la limitazione della lettera della norma codicistica, la sentenza di c.d. patteggiamento non può ancora in alcun caso equipararsi ad una sentenza di accertamento della penale responsabilità dell’imputato, non può il danneggiato fruire degli effetti favorevoli normalmente riconducibili al primo periodo dell’art. 2947 c.c., comma 3.

7. La conclusione, avallata dal recentissimo dictum delle Sezioni Unite di questa Corte già ricordato sopra al punto 3, esclude con ogni evidenza l’esistenza non solo di un eventuale persistente contrasto (che, per la verità, a partire dal 2007 non pare riscontrabile in modo chiaro nella giurisprudenza delle sezioni semplici, sostanzialmente allineate su tale conclusione), ma anche la stessa opportunità di una ulteriore rimessione della questione alle medesime Sezioni Unite a pochi mesi di distanza dalla sua sostanziale qualificazione di infondatezza.

8. Correttamente, pertanto, è stato applicato alla specie il termine prescrizionale biennale ed il motivo di ricorso va disatteso.

9. Vanno allora esaminate le censure ulteriori, dispiegate dal ricorrente per il caso in cui il primo motivo non fosse accolto, con le quali si addebitano, almeno quanto ai rapporti processuali con gli altri originari convenuti, alla gravata sentenza i vizi (entrambi ricondotti dell’art. 360 c.p.c., n. 3) di “violazione di norme di diritto (in particolare dell’art. 112 c.p.c.) per aver pronunciato extra petita o ultra petita”, nonchè di “violazione di norme di diritto (in particolare dell’art. 1294 c.c., art. 1306 c.c. e art. 1310 c.c., comma 3, art. 2909 c.c. anche con riferimento agli artt. 2937 e 2938 c.c. e art. 167 c.p.c.) per aver considerato prescritta l’azione risarcitoria nei confronti dei signori E. e C., pur in assenza di formale eccezione mai sollevata dagli stessi e pur non avendo gli stessi impugnato la sentenza di primo grado”.

10. Pure tali censure sono però infondate, perchè non scalfiscono la ratio decidendi – se non esplicitata, almeno – presupposta dalla corte territoriale e riconducibile ad un vero e proprio effetto espansivo, alla domanda proposta contro il garantito, dell’eccezione di prescrizione sollevata dalla coobbligata solidale in garanzia anche ai responsabili o debitori diretti, il cui debito si estingue nei confronti dei danneggiati: principio enunciato in modo chiaro nel precedente espressamente richiamato (di cui a Cass. 22/03/2007, n. 6934), ma risultante anche nell’altro ivi presupposto (Cass. 12/09/2011, n. 18648) e, per la verità, rilevato pure dalla successiva Cass. 09/06/2014, n. 12911, come rimarcato da Cass. ord. 23/12/2015, n. 25967, che, rilevando un contrasto su questione strettamente connessa, ha rimesso la questione alle Sezioni Unite (le quali tuttavia non lo hanno rilevato o comunque non lo hanno composto, per l’inammissibilità del ricorso: Cass. Sez. U. 17/03/2017, n. 6959).

11. Al riguardo, l’indirizzo più recente ed ormai affermatosi come prevalente sul punto si articola sui seguenti passaggi argomentativi:

– l’art. 2939 c.c., non stabilisce alcuna invalicabile linea di confine tra l’ipotesi in cui l’eccezione di prescrizione sia sollevata dal creditor debitoris, e quella in cui sollevata dagli altri terzi, sicchè non se ne può trarre la conclusione che solo nel primo caso l’eccezione giovi anche al debitore renitente a sollevarla;

– i terzi interessati di cui è menzione nell’art. 2939 c.c., costituiscono una categoria composita e non omogenea;

– è dunque compito dell’interprete indagare, caso per caso, le ipotesi in cui la prescrizione eccepita dal terzo interessato giovi anche al debitore, da quella in cui produca effetto solo nei rapporti interni tra debitore ed eccipiente;

– per stabilire quali siano i terzi la cui eccezione di prescrizione giova anche al debitore principale occorre avere riguardo al loro interesse; e tale effetto estensivo dell’eccezione di prescrizione da essi sollevata sussiste tutte le volte in cui una loro situazione di vantaggio possa essere pregiudicata se la prescrizione non venga eccepita anche da altri;

– all’esito di questa ricostruzione, superata la tradizionale e consolidata più restrittiva interpretazione dell’art. 1310 c.c., si afferma che l’eccezione di prescrizione sollevata da un condebitore solidale giova anche agli altri, se dalla sopravvivenza del rapporto obbligatorio in capo ad altro condebitore possano derivare conseguenze pregiudizievoli all’eccipiente.

12. Tale indirizzo ermeneutico va raccordato con l’altro, per il quale, nella materia in esame non è concepibile una condanna dell’assicuratore ma non del danneggiante, o viceversa; infatti, in tema di assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore o dei natanti, ove il danneggiato, esercitando l’azione diretta nei confronti dell’assicuratore, evochi in giudizio quest’ultimo ed il responsabile assicurato (ai sensi dei previgenti della L. 24 dicembre 1969, n. 990, artt. 18 e 23), le domande si trovano in rapporto di connessione e reciproca dipendenza, trovando presupposti comuni nell’accertamento della responsabilità risarcitoria dell’assicurato, con la conseguenza che l’impugnazione della sentenza per un capo attinente a detti presupposti comuni, da qualunque parte ed in confronto di qualsiasi parte proposta, impedisce il passaggio in giudicato dell’intera pronuncia con riguardo a tutte le parti (Cass. Sez. U 05/05/2006, n. 10311, seguita, tra le altre, da: Cass. 10/03/2009, n. 5737; Cass. 03/07/2014, n. 15226).

13. In adesione a tale orientamento, al quale stima il Collegio con convinzione necessario assicurare continuità, vanno tenute in decisiva considerazione la peculiare funzione della responsabilità civile autoveicoli e natanti e la particolare struttura del processo relativo, con la conseguente necessità di ricostruzione dell’assicurato e dell’assicuratrice convenuti come unico centro sostanziale di interessi, alla stregua precipuamente non solo e non tanto alla facoltà di azione diretta del danneggiato contro l’assicuratore, quanto soprattutto al litisconsorzio necessario con questo del danneggiante ed alla pratica conseguenza della gestione della lite ad opera dell’uno anche per conto dell’altro, la quale si svolge di necessità unitariamente nei confronti di tutti costoro.

14. Deve concludersi che l’accoglimento dell’eccezione della coobbligata solidale garante della responsabilità civile autoveicoli e natanti, riproposta o fatta oggetto di appello avverso la condanna pronunciata in primo grado, non solo impedisce, nonostante la mancata impugnazione da parte dei condannati in via principale ed anzi pure nella contumacia di costoro, il passaggio in giudicato della sentenza nei confronti di questi, ma comporta anche, al fine di rendere concreto ed effettivo il vantaggio derivante all’assicuratore dal riconoscimento a lui della facoltà di giovarsi dell’eccezione di prescrizione, il rigetto della domanda di condanna dispiegata anche nei confronti dei responsabili o danneggianti in proprio.

15. Infatti, se non altro – per quel che interessa – in tema di responsabilità civile autoveicoli, per l’inammissibilità di una condanna del danneggiante disgiunta da quella del suo garante, ove i presupposti di fondatezza dell’una e dell’altra siano appunto – come nel caso dell’estinzione del diritto del danneggiato al risarcimento per maturata prescrizione – i medesimi: la condanna disgiunta nei confronti del solo danneggiante risulterebbe inconciliabile con la riconosciuta operatività dell’estinzione per prescrizione del diritto del danneggiato di una condanna dei soli danneggianti, la quale, in virtù del rapporto di garanzia interno tra questi e l’assicuratrice, finirebbe con il mantenere quest’ultima vincolata a tenerli indenni e quindi con il trasferire comunque su di essa il peso effettivo della responsabilità di costoro, nonostante l’assoluzione da ogni pretesa diretta fatta valere contro di essa dal danneggiato nel medesimo ed unitario processo e con efficacia di giudicato direttamente nei confronti di tutte tali parti, costituendo il danneggiante e l’assicuratrice un unico centro di interessi a garanzia principalmente del danneggiato e per renderne effettiva la tutela.

16. Ne consegue che l’unico strumento per garantire effettiva operatività all’esenzione dell’assicuratrice dalle negative conseguenze patrimoniali per l’unico fatto generatore di responsabilità commesso dagli assicurati, ma – ripetesi – in dipendenza della peculiare funzione e struttura dell’azione avente ad oggetto la responsabilità civile autoveicoli e della predicabilità di una considerazione unitaria di assicuratrice ed assicurato quale unico centro di interessi, è il rigetto in toto, cioè anche nei confronti dei danneggianti in proprio, della domanda del danneggiato, al quale sia stata vittoriosamente opposta la prescrizione da almeno uno dei litisconsorti necessari e benchè questi sia obbligato solo quale garante, come è avvenuto appunto nella fattispecie.

17. A tanto, beninteso, ben dovrà farsi eccezione in caso di domanda espressa in senso contrario da parte di uno dei soggetti in cui tale centro di interessi si articola e sulla quale il giudice del merito esplicitamente motivi; ma, in difetto di tale esplicita domanda, la mera richiesta dell’assicuratrice di rigettare ogni pretesa avanzata dal danneggiato, in dipendenza del riconoscimento della fondatezza della eccezione di prescrizione, deve intendersi necessariamente – e, per quanto detto, legittimamente – rivolta al rigetto integrale dell’avversa domanda, cioè nei confronti anche dei danneggianti.

18. Non vi è quindi violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, in quanto il rigetto integrale della domanda è conseguenza inevitabile, al fine di garantire la tenuta del sistema fondato sul riconoscimento a lui della facoltà di utilmente eccepire la prescrizione pure nell’inerzia del debitore principale, dell’accoglimento dell’eccezione di prescrizione sollevata dal solo garante.

19. Anche gli ultimi due motivi di ricorso vanno disattesi ed il ricorso dev’essere, nel suo complesso, rigettato, con condanna del soccombente ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore della controricorrente.

20. Infine, va dato atto – mancando ogni discrezionalità al riguardo (tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra molte altre: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) – della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1,comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione e per il caso di reiezione integrale, in rito o nel merito.

PQM

 

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 6 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 21 settembre 2017

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