Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21936 del 28/10/2015


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 21936 Anno 2015
Presidente: RUSSO LIBERTINO ALBERTO
Relatore: SESTINI DANILO

SENTENZA
sul ricorso 22671-2012 proposto da:
CORDISCO FRANCESCO CRDFNC55A10H467M, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA FLAMINIA 213, presso lo
studio dell’avvocato ROMOLO REBOA, che lo rappresenta
e difende unitamente all’avvocato GIANNI DELL’AIUTO
giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente contro

ANAS SPA , in persona del Direttore Centrale Avv.
GIAN CLAUDIO PICARDI, elettivamente domiciliata in
ROMA, V.MOZAMBANO 10 (DIR. GEN. ANAS SPA), presso lo

Data pubblicazione: 28/10/2015

studio dell’avvocato ANNA BOTTI, che la rappresenta e
difende giusta procura speciale notarile del Dott.
Notaio ADRIANO RIGANO in Roma del 20/04/2015 rep. n.
3552;
– controricorrente

D’APPELLO di ROMA, depositata il 27/03/2012 R.G.N.
6948/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 24/09/2015 dal Consigliere Dott. DANILO
SESTINI;
udito l’Avvocato SIMONE TRIVELLI per delega;
udito l’Avvocato ANNA BOTTI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARIO FRESA che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

2

avverso la sentenza n. 1650/2012 della CORTE

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Francesco Cordisco convenne in giudizio l’ANAS
s.p.a. per ottenere il risarcimento dei danni
patiti a seguito della caduta dalla bicicletta,
che era stata causata da un frammento di asfalto

Il Tribunale di Roma accolse la domanda,
liquidando all’attore un risarcimento di oltre
58.000,00 euro.
La Corte di Appello ha rigettato il gravame
proposto dal Cordisco, che aveva lamentato il
mancato riconoscimento del danno conseguente alla
perdita della capacità lavorativa specifica e la
mancata personalizzazione del pregiudizio non
patrimoniale.
Ricorre per cassazione il Cordisco, affidandosi
a quattro motivi; resiste l’Anas a mezzo di
controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.

La Corte di Appello ha affermato che “la

sentenza gravata non merita censure laddove ha
recepito le risultanze della C.T.U. … difettando
la prova in ordine al nesso di causalità tra
l’evento e la cessazione dell’attività
dell’appellante (prova non affidabile alla mera
certificazione della chiusura della società
esercente l’azienda)”; quanto alla doglianza circa
la mancata considerazione, ai fini della
personalizzazione del danno non patrimoniale,
della lamentata impotentia coeundi, la Corte ha
3

staccatosi dal manto stradale.

rilevato che il C.T.U. “ha considertato anche la
denunciata patologia, annotando come il
danneggiato avesse riferito di una impotentia
erigendi e riportando nell’esame obiettivo i
riferiti disturbi algici erettili”, e che “il

totalità i postumi invalidanti sotto
l’omnicomprensivo danno non patrimoniale”.
2.

Col primo motivo (“violazione e/o falsa

applicazione degli artt. 2697 c.c., 61 C.P.C.,
115, 116 e 345 C.P.C. in relazione all’art. 360 n.
3 C.P.C.”), il ricorrente si duole che la Corte
territoriale non abbia ammesso una nuova
consulenza tecnica d’ufficio per la valutazione
dell’aggravamento delle lesioni fisiche da esso
riportate e, comunque, abbia omesso di valutare
ovvero abbia “errato nella valutazione degli
elementi probatori a sua disposizione, dai quali
si ricavava e si ricava ancor oggi l’aggravamento
della condizione di salute del Cordisco in punto
di invalidità permanente e delle relative
incidenze sotto il profilo della incapacità
lavorativa”, tanto più alla luce della sentenza prodotta in sede di appello- con cui il giudice
del lavoro aveva riconosciuto al ricorrente
un’invalidità civile del 75%.
2.1. Il motivo -dedotto ex art. 360 n. 3
C.P.C.- va disatteso in quanto non deduce
effettivamente alcuna violazione di norme di
diritto, ma si limita a censurare la scelta della
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giudice di primo grado ha valutato nella …

Corte di non disporre un’ulteriore C.T.U. (scelta
che, peraltro, risulta adeguatamente motivata con
l’affermazione della esaustività della consulenza
già svolta e della mancanza di “specifiche
allegazioni o certificazioni attestanti il

con la precisazione che non poteva “considerarsi
ai fini auspicati la percentuale di invalidità
riconosciuta dal giudice del lavoro, perché
fondata su presupposti ed avente finalità diverse
da quella risarcitoria”).
3.

Il secondo motivo prospetta ogni possibile

vizio motivazionale in ordine al mancato
riconoscimento della perdita della capacità di
lavoro specifica, sottolineando che lo stesso
C.T.U. di prime cure aveva accertato una
limitazione funzionale del tronco del 50% ed
evidenziando come l’accertamento dell’invalidità
compiuto dal giudice del lavoro non potesse non
rilevare sul piano della capacità lavorativa.
3.1. Il motivo è infondato: la valutazione
della Corte -che si basa su una C.T.U. svolta a
quattro anni di distanza dal fatto e con postumi
ampiamente stabilizzati- è congruamente motivata e
non presenta contraddizioni interne; la stessa non
merita dunque censure, seppure pervenga a
risultati difformi da quelli auspicati dal
ricorrente.

5

dedotto aggravamento delle accertate patologie” e

4.

Il terzo motivo deduce anch’esso ogni

possibile vizio motivazionale, ma con specifico
riferimento all’entità del danno alla persona: il
Cordisco lamenta che la Corte ha tenuto conto del
mero dato

della percentuale

di

invalidità

procedere a personalizzazione a fronte della
“ingiuria alla capacità erettile” e del “danno
all’integrità fisiognomica per la presenza di una
cicatrice chirurgica”; assume, infatti, che tali
profili di danno non erano stati valutati dal
C.T.U., che ne aveva dato atto nella relazione, ma
“soltanto dopo aver già individuato per altre
causali (le fratture all’apparato vertebrale)
un’invalidità permanente del 24%”.
4.1. Anche questo motivo va rigettato atteso
che la sentenza impugnata ha congruamente motivato
circa il fatto che il C.T.U. aveva considerato
ogni profilo del danno biologico e sul fatto che
il primo giudice aveva valutato -nel loro
complesso- tutti i postumi invalidanti,
riconoscendo un risarcimento onnicomprensivo del
danno non patrimoniale.
5.

(“violazione o falsa

L’ultimo motivo

applicazione degli artt. 1223, 1226, 1227 e 2056
c.c. in relazione all’art. 360 n. 3 C.P.C.”)
censura la sentenza per avere applicato le tabelle
elaborate dal Tribunale di Roma, anziché quelle
del Tribunale di Milano (comportanti un importo
risarcitorio maggiore), individuate da questa
6

permanente stimata dal C.T.U. (24%), senza

Corte come parametri di valutazione uniformi
idonei ad assicurare un’effettiva parità di
trattamento in ambito nazionale (ex Cass. n.
12408/2011).
5.1. La censura è inammissibile in quanto il

questione dell’applicabilità delle tabelle
milanesi nel giudizio di merito (Cass. n.
12408/2011: “l’applicazione di diverse tabelle,
ancorché comportante liquidazione di entità
inferiore a quella che sarebbe risultata sulla
base dell’applicazione delle tabelle di Milano,
può essere fatta valere, in sede di legittimità,
come vizio di violazione di legge, solo in quanto
la questione sia stata già posta nel giudizio di
merito”; cfr. anche Cass. n. 23778/2014 e Cass. n.
24205/2014).
6.

Le spese di lite seguono la soccombenza.
P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna il
ricorrente al pagamento delle spese di lite in
favore della controricorrente, liquidandole in
euro 8.200,00 (di cui euro 200,00 per esborsi),
oltre rimborso spese forfettarie ed accessori di
legge.
Roma, 24.9.2015

ricorrente non ha provato di avere posto la

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