Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21936 del 12/10/2020

Cassazione civile sez. II, 12/10/2020, (ud. 21/07/2020, dep. 12/10/2020), n.21936

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. MARRONE Luca – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23323/2019 proposto da:

P.L., elettivamente domiciliato in Milano, viale regina

Margherita n. 30, presso lo studio dell’avv.to LIVIO NERI, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE

INTERNAZIONALE MILANO;

– intimati –

e contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende;

– resistente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO, depositata il 03/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

21/07/2020 dal Consigliere Dott. LUCA MARRONE.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. Il Tribunale di Milano, con decreto pubblicato il 3 giugno 2019, respingeva il ricorso proposto da P.L., cittadino della (OMISSIS), avverso il provvedimento con il quale la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale aveva, a sua volta, rigettato la domanda proposta dall’interessato di riconoscimento dello status di rifugiato e di protezione internazionale, escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria).

2. Il Tribunale evidenziava che il richiedente aveva raccontato di essere espatriato per essere stato oggetto di persecuzione a causa del suo credo religioso e della sua appartenenza a una chiesa domestica protestante. Il colloquio dinanzi la commissione territoriale era stato particolarmente lungo e accurato e, dunque, non era necessario procedere ad una ulteriore audizione del richiedente, anche perchè nell’opposizione non erano stati allegati fatti nuovi da prendere in considerazione.

Il collegio giudicante rigettava la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato atteso che il racconto del richiedente non era credibile. La narrazione circa i motivi che lo avevano costretto all’espatrio era, infatti, del tutto implausibile e contraddittoria. Il racconto peraltro non era confermato dalle fonti internazionali sul trattamento riservato in Cina ai movimenti religiosi e alla perdita per volontà dello Stato del cosiddetto “hokou”, che sarebbe una sorta di registrazione anagrafica. Il racconto non era neanche confermato dalla documentazione prodotta che non era idonea a tal fine.

In ogni caso i fatti non integravano i presupposti per il riconoscimento della protezione nazionale nè con riferimento alla domanda di riconoscimento dello status di rifugiato e di protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b).

Del pari, doveva essere rigettata la domanda di protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c). Il richiedente non aveva allegato che in caso di rimpatrio poteva rischiare la vita o l’incolumità personale a causa di una situazione di generale e indiscriminata violenza derivante da un conflitto armato e, sulla base delle fonti internazionali la Cina non poteva ritenersi un paese soggetto ad una violenza generalizzata.

Infine, quanto alla richiesta concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari il tribunale evidenziava che non vi erano i presupposti per il suo accoglimento non essendo stata nè allegata nè dimostrata alcuna di quelle situazioni di vulnerabilità anche temporanea tale da legittimare la richiesta della protezione umanitaria.

3. P.L. ha proposto ricorso per cassazione avverso il suddetto decreto sulla base di due motivi di ricorso.

4. Il Ministero dell’interno si è costituito tardivamente al solo fine di partecipare all’eventuale discussione della causa.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., n. 3, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. e), art. 7, commi 1 e 2 e art. 9, par. 1, lett. a) e 2) lett. d) della direttiva 2011/95/UE, nonchè dell’art. 10 CDFUE.

Il ricorrente riporta quanto dichiarato dinanzi la commissione territoriale e ritiene che il giudizio di inattendibilità espresso dal Tribunale sia del tutto erroneo non essendovi alcuna lacuna o contraddizione su elementi decisivi. Peraltro, il Tribunale non mette in dubbio la professione della fede religiosa da parte del ricorrente e della moglie quanto piuttosto l’appartenenza ad una determinata chiesa. In ogni caso il timore di essere perseguitati per il proprio credo religioso rileva ai fini della concessione dello status di rifugiato come già stabilito dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti. Violazione falsa applicazione del combinato disposto del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19 e art. 10 Cost., comma 3 e art. 8 CEDU in relazione presupposti per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

La decisione del Tribunale non terrebbe conto della sussistenza della situazione di vulnerabilità soggettiva sia con riferimento alla grave instabilità del paese di provenienza sia con riferimento all’inserimento sociale e al livello di integrazione di radicamento raggiunto da richiedente nel nostro paese. Il Tribunale avrebbe omesso di valutare fatti decisivi oggetto di discussione documentati in corso di causa, in particolare la relazione del Comune di Milano della Caritas circa il fatto che il ricorrente e la moglie presentassero dei disagi psichici e fisici nonchè la loro attiva partecipazione a numerose attività sociale e di volontariato.

3. I due motivi di ricorso, che stante la loro evidente connessione possono essere trattati congiuntamente, sono infondati.

Quanto alla valutazione in ordine alla credibilità del racconto del richiedente, essa costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito. (Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549).

La critica formulata nei motivi costituisce, dunque, una mera contrapposizione alla valutazione che il Tribunale di Milano ha compiuto nel rispetto dei parametri legali e dandone adeguata motivazione, neppure censurata mediante allegazione di fatti decisivi emersi nel corso del giudizio che sarebbero stati ignorati dal giudice di merito. In particolare, con riferimento alla documentazione prodotta nel giudizio, da un lato deve osservarsi che il ricorrente non l’ha riprodotta nel ricorso per cassazione, e dall’altra che il Tribunale l’ha valutata, ritenendola insufficiente ai fini della prova della veridicità del racconto del ricorrente.

il Tribunale di Milano ha anche fatto esplicito riferimento alle fonti internazionali dalle quali ha tratto la convinzione che la Cina non sia una zona rientrante tra quelle di cui al D.Lgs. n. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c.

Il potere-dovere di cooperazione istruttoria, correlato all’attenuazione del principio dispositivo quanto alla dimostrazione, e non anche all’allegazione, dei fatti rilevanti, è stato dunque correttamente esercitato con riferimento all’indagine sulle condizioni generali del paese di provenienza del richiedente, benchè la vicenda personale narrata sia stata ritenuta non credibile dai giudici di merito (Cass. n. 14283/2019).

Deve ribadirsi che in tema di protezione sussidiaria, anche l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui alla norma citata, che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito. Il risultato di tale indagine può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. ord. 30105 del 2018). Il ricorrente si limita a dedurre genericamente la violazione di norme di legge, avuto riguardo al non aver tenuto conto della situazione generale del paese di origine.

Inoltre, con riferimento alle ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), deve evidenziarsi che il racconto del richiedente non è stato ritenuto credibile e che, in tal caso, non si impone l’esercizio dei poteri ufficiosi circa l’esposizione a rischio del richiedente in virtù della sua condizione soggettiva.

In ordine al riconoscimento della protezione umanitaria, il diniego è dipeso dall’accertamento dei fatti da parte del giudice di merito, che ha escluso con idonea motivazione, alla stregua di quanto considerato nei paragrafi che precedono l’esistenza di una situazione di sua particolare vulnerabilità. All’accertamento compiuto dai giudici di merito viene inammissibilmente contrapposta una diversa interpretazione delle risultanze di causa.

In relazione al disagio di natura fisica e psichica, il Tribunale non ha omesso di valutare la documentazione prodotta, come lamentato dal ricorrente, ma ha ritenuto che da tale documentazione non emergesse una situazione tale da integrare una condizione di vulnerabilità soggettiva, peraltro in un soggetto che non aveva compiuto alcun processo di integrazione. Infatti si legge nel provvedimento impugnato che nonostante la rilevata situazione di sofferenza legata alla paura di un eventuale rimpatrio, non era emersa alcuna effettiva condizione patologica tanto che non si era ritenuto sussistere gli estremi per una presa in carico da parte del consultorio.

Il racconto del ricorrente peraltro non è stato ritenuto credibile in relazione alle ragioni che hanno dato origine alla partenza e la situazione del paese non è stata ritenuta soggetta ad una violenza indiscriminata.

4. In conclusione il ricorso è infondato. Nulla sulle spese, non avendo svolto attività difensiva il Ministero dell’interno, costituitosi tardivamente.

5. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 21 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2020

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