Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21934 del 30/07/2021

Cassazione civile sez. II, 30/07/2021, (ud. 09/04/2021, dep. 30/07/2021), n.21934

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28836-2016 proposto da:

L.D.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PADOVA 82,

presso lo studio dell’avvocato BRUNO AGUGLIA, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato ROBERTO MARINELLI;

– ricorrente –

contro

P.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CELIMONTANA

38, presso lo studio dell’avvocato PAOLO PANARITI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato CARLO DEL TORRE;

– controricorrente –

nonché contro

B.D.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 585/2016 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,

depositata il 22/09/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

09/04/2021 dal Consigliere Dott. VARRONE LUCA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Gorizia rigettava la domanda proposta da L.D.D. nei confronti di P.A., A.R., V.M. con chiamata in causa di B.D., tendente ad ottenere l’accertamento di usucapione del diritto di proprietà di un pianerottolo con annessa parete divisoria collegante gli enti numeri 3 e 4 di sua proprietà. Il Tribunale accertava anche la proprietà condominiale dei vani del sottotetto sovrastanti gli enti al primo piano dell’edificio condominiale sito in (OMISSIS).

2. L.D.D. proponeva appello avverso la suddetta sentenza.

3. Si costituiva P.A., proponendo altresì appello incidentale relativamente alla domanda riconvenzionale svolta in primo grado sulla quale vi sarebbe stata omessa pronuncia da parte del Tribunale avente ad oggetto la richiesta di condanna dell’attore al rilascio e sgombero di ogni parte condominiale e segnatamente della particella numero (OMISSIS) in c.c. contado p.c. (OMISSIS), identificata quale ente O con riduzione in pristino. Disposta l’integrazione del contraddittorio nei confronti della terza chiamata la Corte d’Appello accoglieva l’appello principale limitatamente alla rifusione delle spese di lite di primo grado e accoglieva integralmente l’appello incidentale.

La Corte d’Appello, pertanto, riduceva le spese al minimo dello scaglione di riferimento e ordinava il rilascio e lo sgombero di ogni parte condominiale e la riduzione in pristino.

4. L.D.D. ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di quattro motivi di ricorso.

5. P.A. ha resistito con controricorso e ha presentato memoria in prossimità dell’udienza.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione o falsa applicazione di norme di diritto art. 15 c.p.c., con riferimento all’individuazione del valore della causa e omessa valutazione delle emergenze di causa illogicità erroneità della motivazione.

La Corte d’Appello accoglieva l’impugnazione del ricorrente rispetto al capo di sentenza che lo aveva condannato al pagamento delle spese di lite per un importo pari ad Euro 8500 oltre accessori di legge nonostante il valore della causa fosse di Euro 1000, come documentalmente dimostrato a mezzo di apposita perizia. A parere del ricorrente, pertanto, la causa non poteva ritenersi di valore indeterminato e tenuto conto dei parametri medi di cui al D.M. n. 55 del 2014 le somme riconoscibili a titolo di spese legali risultavano pari ad Euro 630 complessivamente determinate e al massimo potevano essere aumentate fino ad Euro 11041 mentre la Corte d’Appello ha solo ridotto l’importo ad Euro 3972.

1.2 Il primo motivo è inammissibile.

Il ricorrente indica che il valore della causa è di Euro 1000 ma non offre alcun elemento concreto per supportare tale affermazione. Nel ricorso, infatti, si richiamano le argomentazioni già svolte in sede di appello da intendersi riprodotte (pag. 7 del ricorso) e, tuttavia, nel ricorso per cassazione non possono richiamarsi per relationem i motivi di appello a pena di inammissibilità della censura.

In proposito deve richiamarsi il seguente principio di diritto cui il collegio intende dare continuità: L’onere della indicazione specifica dei motivi di impugnazione, imposto a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, qualunque sia il tipo di errore (“in procedendo” o “in iudicando”) per cui è proposto, non può essere assolto “per relationem” con il generico rinvio ad atti del giudizio di appello, senza la esplicazione del loro contenuto, essendovi il preciso onere di indicare, in modo puntuale, gli atti processuali ed i documenti sui quali il ricorso si fonda, nonché le circostanze di fatto che potevano condurre, se adeguatamente considerate, ad una diversa decisione e dovendo il ricorso medesimo contenere, in sé, tutti gli elementi che diano al giudice di legittimità la possibilità di provvedere al diretto controllo della decisività dei punti controversi e della correttezza e sufficienza della motivazione della decisione impugnata (Sez. 5, Ord. n. 342 del 2021). Peraltro, come rilevato dalla controparte, il valore della causa doveva essere considerato complessivamente, tenendo conto anche della domanda riconvenzionale dei convenuti di determinazione delle zone comuni e di accertamento della proprietà condominiale.

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: omessa valutazione delle emergenze di causa, illogicità ed erroneità della motivazione con riferimento all’accoglimento dell’appello incidentale svolto da P.A. in punto di rilascio dell’ente O particella (OMISSIS) nel catasto di contado p.c. (OMISSIS) con condanna alla riduzione in pristino.

A parere del ricorrente non sarebbe comprensibile il collegamento effettuato tra l’accertamento sulla proprietà condominiale non esclusiva dei vani sottotetto e la condanna al rilascio e allo sgombero dell’ente O rappresentato dal pianerottolo. I due beni sarebbero completamente distinti e non sarebbe comprensibile l’ordine di remissione in pristino, essendo stati gli stessi acquistati dal ricorrente nello stato in cui si trovavano. Peraltro, l’uso esclusivo delle soffitte era stato riconosciuto con atto firmato da P.A. e dagli altri comproprietari come da scrittura privata del 21 luglio 2006. Il ricorrente, peraltro, sarebbe stato autorizzato all’esecuzione di lavori di ristrutturazione e di riorganizzazione dei locali sottotetto con l’impegno a dare corso all’intavolazione.

2.1 Il secondo motivo è inammissibile.

Il giudice di primo grado ha accolto la domanda riconvenzionale di accertamento della proprietà condominiale, omettendo di esaminare quella conseguente di sgombero dell’area da parte del ricorrente.

Il ricorrente asserisce di avere titolo contrattuale per l’uso esclusivo delle soffitte e deduce di aver allegato nel giudizio una scrittura privata. Di tale questione non vi è alcun riferimento nella sentenza impugnata e, dunque, il ricorrente avrebbe dovuto indicare in quale atto processuale aveva dedotto tale titolo contrattuale.

Secondo l’indirizzo consolidato di questa Corte, infatti, “In tema di ricorso per cassazione, qualora siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito ma, in virtù del principio di specificità, anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente ciò sia avvenuto, giacché i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel “thema decidendum” del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito né rilevabili di ufficio” (ex plurimis Sez. 2, Sent. n. 20694 del 2018, Sez. 6-1, Ord n. 15430 del 2018).

Infatti, il ricorrente che proponga in sede di legittimità una determinata questione giuridica, la quale implichi accertamenti di fatto, ha l’onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (per l’ipotesi di questione non esaminata dal giudice del merito: Cass. 02/04/2004, n. 6542; Cass. 10/05/2005, n. 9765; Cass. 12/07/2005, n. 14599; Cass. 11/01/2006, n. 230; Cass. 20/10/2006, n. 22540; Cass. 27/05/2010, n. 12992; Cass. 25/05/2011, n. 11471; Cass. 11/05/2012, n. 7295; Cass. 05/06/2012, n. 8992; Cass. 22/01/2013, n. 1435; Cass. Sez. U. 06/05/2016, n. 9138).

3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione o falsa applicazione di norme di diritto (art. 91 e seguenti c.p.c.) con riferimento alla condanna del ricorrente alla rifusione delle spese di causa relativa al secondo grado di giudizio a favore del convenuto P.A. e omessa valutazione delle emergenze di causa, illogicità ed erroneità della motivazione.

Il ricorrente contesta la statuizione sulle spese che secondo la Corte d’Appello di Trieste doveva seguire la soccombenza nel rapporto tra appello principale ed appello incidentale, dovendosi ritenere vittorioso l’appellante incidentale le cui domande riconvenzionali erano state accolte.

In realtà, secondo il ricorrente, anche il motivo di appello relativo alle spese di lite era stato accolto e, pertanto, sussistevano validi motivi per la compensazione delle spese.

3.1 Il terzo motivo di ricorso è infondato.

Quanto alla violazione dell’art. 91 è sufficiente richiamare il principio secondo il quale la soccombenza comporta solo che è vietato condannare alle spese la parte totalmente vittoriosa (Cass. n. 18128 del 31/08/2020 Rv. 658963 – 01). Nella specie lo stesso ricorrente ritiene sussistere un’ipotesi di soccombenza reciproca che avrebbe dovuto comportare la compensazione delle spese, sicché non vi è stata alcuna violazione dell’art. 91 c.p.c..

Quanto alla censura di mancata compensazione delle spese del giudizio di appello la decisione attiene alla valutazione delle proporzioni della soccombenza reciproca. In primo grado il ricorrente era stato interamente soccombente mentre in appello è stato accolto il motivo relativo alle spese ma è stato accolto anche l’appello incidentale della controparte sull’omessa pronuncia circa la domanda di sgombero e ripristino. In proposito deve richiamarsi l’orientamento del tutto consolidato secondo cui la censura sulla determinazione delle quote in cui le spese processuali debbono ripartirsi o compensarsi tra le parti, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., comma 2, è comunque infondata, in quanto invoca il sindacato di legittimità sull’esercizio di un potere discrezionale del giudice di merito, il quale neppure è tenuto a rispettare un’esatta proporzionalità fra la domanda accolta e la misura delle spese poste a carico del soccombente (Cass. Sez. 2, 31/01/2014, n. 2149).

4. Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione di norme di diritto, art. 91 e seguenti c.p.c. con riferimento alla condanna del ricorrente alla refusione delle spese di causa relativa al secondo grado di giudizio a favore della terza chiamata B.D. e omessa valutazione delle emergenze di causa illogicità ed erroneità della motivazione.

L’appello del ricorrente aveva ad oggetto esclusivamente la questione delle spese mentre nessuna contestazione in sede di appello era stata mossa dal ricorrente in ordine alla richiesta di usucapione rigettata che era stato il motivo della chiamata in causa del terzo. La chiamata del terzo era dovuta ad P.A. e, dunque, dovevano essere poste a suo carico le spese di lite.

4.1 Il quarto motivo di ricorso è infondato.

La chiamata in causa deriva dalle regole sul c.d. litisconsorzio processuale, sicché a seguito del rigetto dell’appello del ricorrente le spese del giudizio dovevano essere liquidate anche nei confronti di B.D. (costituitasi anche nel giudizio di appello).

Si richiama in proposito il seguente principio di diritto: Allorché il convenuto chiami in causa un terzo ai fini di garanzia impropria – e tale iniziativa non si riveli palesemente arbitraria – legittimamente il giudice di appello, in caso di soccombenza dell’attore, pone a carico di quest’ultimo anche le spese giudiziali sostenute dal terzo, ancorché nella seconda fase del giudizio la domanda di garanzia non sia stata riproposta, in quanto, da un lato, la partecipazione del terzo al giudizio di appello si giustifica sotto il profilo del litisconsorzio processuale, e, dall’altro, l’onere della rivalsa delle spese discende non dalla soccombenza – mancando un diretto rapporto sostanziale e processuale tra l’attore ed il terzo – bensì dalla responsabilità del primo di avere dato luogo, con una infondata pretesa, al giudizio nel quale legittimamente è rimasto coinvolto il terzo (Sez. 3, Sent. n. 5027 del 2008).

5. Il ricorso è rigettato.

6. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

7. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, art. 1 bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 5300 più 200;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, art. 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della 2 Sezione civile, il 9 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2021

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