Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21934 del 21/10/2011

Cassazione civile sez. VI, 21/10/2011, (ud. 29/09/2011, dep. 21/10/2011), n.21934

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

F.A., Avvocato, con domicilio eletto in Roma, via U.

Tupini n. 33, presso l’Avv. Roberto Bragaglia, che si difende in

proprio;

– ricorrente –

contro

S.A.I. Società Azionaria Immobiliare s.r.l., fallita, in persona del

curatore prò tempore, con domicilio eletto in Roma, via Aniene n.

14, presso l’Avv. Carmine Grisolia, rappresentata e difesa dall’Avv.

PRESTIA Fabio, come da procura a margine del ricorso;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Catania n.

1345/09 depositata il 6 ottobre 2009;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

giorno 29 settembre 2011 dal Consigliere relatore Dott. Vittorio

Zanichelli.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’Avv. F.A. ricorre per cassazione nei confronti del decreto in epigrafe della Corte d’appello che ha rigettato l’appello dallo stesso proposto avverso la sentenza del Tribunale di Siracusa che ha accolto solo parzialmente la sua opposizione al decreto di esecutività dello stato passivo del fallimento intimato con il quale era stato drasticamente ridotto il credito professionale insinuato.

Resiste l’intimata curatela con controricorso.

La causa è stata assegnata alla camera di consiglio in esito al deposito della relazione redatta dal Consigliere Dott. Vittorio Zanichelli con la quale sono stati ravvisati i presupposti di cui all’art. 375 c.p.c..

La curatela intimata ha presentato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso si addebita difetto di motivazione all’impugnata decisione che non avrebbe chiarito le ragioni per cui ha ritenuto non provata l’anteriorità alla dichiarazione di fallimento e quindi l’opponibilità alla curatela della sottoscrizione per accettazione apposta dal legale rappresentante dell’impresa poi fallita ai preavvisi di fattura portanti gli importi insinuati.

Il motivo è manifestamente infondato. Premesso che il ricorrente ha affidato la prova dell’anteriorità della sottoscrizione alta circostanza che era stata riconosciuta l’anteriorità dell’effettuazione delle prestazioni professionali e quindi alla presunzione secondo cui anche i preavvisi di fattura e le sottoscrizioni sulle stesse apposte dovevano necessariamente essere anteriori al fallimento non appare certo insufficiente la motivazione che nega tale collegamento logico evidenziando come la prima circostanza possa ben essere riconosciuta come accertata ma che non provi necessariamente che la sottoscrizione e quindi la vincolante accettazione dell’importo richiesto sia anteriore al fallimento, implicando tale affermazione un giudizio, peraltro pienamente condivisibile, di assenza di un qualunque necessario collegamento temporale tra i due eventi.

Una volta accertata la congruità della motivazione circa l’insussistenza del valore presuntivo dell’anteriorità della prestazione professionale ai fini della prova dell’anteriorità al fallimento anche della sottoscrizione per accettazione della quantificazione del compenso risulta inammissibile il secondo motivo con il quale si deduce violazione dell’art. 2704 c.c., dal momento che “L’apprezzamento dei giudice di merito circa il ricorso alla presunzione quale mezzo di prova e la valutazione della ricorrenza dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dalla legge per valorizzare gli elementi di fatto come fonti di presunzione, sono incensurabili in sede di legittimità, posto che l’unico sindacato in proposito riservato al giudice di cassazione è quello sulla coerenza della motivazione” (Cassazione civile, sez. 1^, 19 novembre 2008, n. 27518; negli stessi termini: sez. 1^, 3 febbraio 2006, n. 2441 e sez. 3^, 10 maggio 2005, n. 9757).

Manifestamente fondato è invece il terzo motivo laddove censura l’impugnata decisione nella parte in cui ha ritenuto di non potersi discostare dalla liquidazione in base ai minimi tariffari come operata dal tribunale in difetto della produzione del parere del competente Ordine professionale dal momento che l’art. 2233 c.c., dispone che il compenso è determinato dal giudice sentito il parere dell’associazione professionale cui il professionista appartiene “…

se non può essere determinato secondo le tariffe…” e tale espressione deve essere intesa non già come riferita all’ipotesi in cui le tariffe professionali non prevedono un compenso in misura fissa ma solo nel minimo e nel massimo ma al diverso caso che la prestazione professionale, per la sua particolarità, non trovi una sicura collocazione tra le attività previste nella tariffa, così che l’intervento dell’Ordine professionale possa portare al giudice le più opportune indicazioni per l’esercizio in concreto del potere di determinazione del corrispettivo (in tale senso, quanto alla finalità del parere: Cassazione civile, sez. 2^, 22 gennaio 2000, n. 694).

E’ il caso di rilevare, comunque, che la Corte, dopo aver ribadito che “Ai sensi dell’art. 2233 c.c., la determinazione del compenso per le prestazioni professionali va effettuata, in assenza di disciplina convenzionale, alla stregua delle norme di natura regolamentare trasfuse nella tariffa approvata nelle forme di legge, o, alternativamente, degli usi eventualmente vigenti nella materia, mentre solo subordinatamente alla accertata impossibilità di applicazione di tali criteri può venire in rilievo la valutazione equitativa del giudice, svincolata dal rispetto dei limiti tariffar’ ha tuttavia precisato che “Peraltro, la situazione di impossibilità di reperimento della fonte regolatrice della determinazione del compenso non può ritenersi integrata per il solo dato di fatto della omessa allegazione, da parte del professionista, del parere del competente organo professionale, ove il giudice, a sua volta, abbia omesso di provvedere alla acquisizione dello stesso, in conformità al disposto del citato art. 2233 c.c.. In tale ipotesi, è, pertanto, illegittima la determinazione del compenso effettuata con vantazione equitativa del giudice in deroga ai minimi tariffari, in quanto operata al di fuori delle condizioni cui la predetta norma codicistica subordina l’esercizio di tale potere da parte del giudice, senza che assuma rilievo, al riguardo, la problematica relativa alla lamentata incompatibilità del carattere inderogabile dei minimi tariffari, previsto dalla normativa vigente, con i prìncipi dell’ordinamento comunitario in materia di libera concorrenza” (Sez. 1, Sentenza n. 1094 del 01/02/2000).

Da ciò consegue l’ulteriore errore in cui è caduto il giudice del merito nell’omettere di valutare la concreta rilevanza dell’attività prestata per la sola considerazione della mancata produzione da parte dell’appellante del parere ritenuto necessario, senza provvedere all’acquisizione d’ufficio.

La fondatezza del terzo motivo comporta l’assorbimento del quarto.

L’impugnata sentenza deve dunque essere cassata e la causa rinviata per ulteriore esame e per la statuizione sulle spese anche di questa fase alla stessa Corte d’appello in diversa composizione.

P.Q.M.

la Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, rigetta il primo, dichiara inammissibile il secondo e assorbito il quarto, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa, anche per le spese, alla Corte d’appello di Catania, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 29 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 21 ottobre 2011

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