Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21933 del 09/10/2020

Cassazione civile sez. III, 09/10/2020, (ud. 30/06/2019, dep. 09/10/2020), n.21933

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 30181/19 proposto da:

-) C.M., elettivamente domiciliato a Padova, v.

Nicolò Tommaseo 56, presso l’avvocato Marco Ferrero che lo difende

in virtù di procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

-) Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Venezia 16.4.2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30 giugno 2020 dal Consigliere relatore Dott. ROSSETTI Marco.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. C.M., cittadino maliano, chiese alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6, (nel testo applicabile ratione temporis).

2. A fondamento dell’istanza dedusse di avere lasciato il proprio Paese a causa della recrudescenza del conflitto tra tuareg e forze governative, che si era esteso anche alla sua città (Kayes), provocando una situazione di violenza generalizzata. Aggiunse, nel colloquio dinanzi alla commissione territoriale, che a determinare la sua fuga era stata anche la circostanza che, nel corso di una colluttazione per motivi di denaro, aveva ucciso (non è chiaro se dolosamente o colposamente) una persona.

3. La Commissione Territoriale rigettò l’istanza.

Avverso tale provvedimento C.M. propose, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35, ricorso dinanzi al Tribunale di Venezia, che la rigettò con ordinanza 23.7.2017.

Tale ordinanza, appellata dal soccombente, è stata confermata dalla Corte d’appello di Venezia con sentenza 16.4.2019.

Quest’ultima ritenne che:

-) l’appellante non aveva impugnato con una valida censura il giudizio di inattendibilità soggettiva formulato dal tribunale, sulla quale si era pertanto formato il giudicato;

-) in ogni caso i rilievi del tribunale sulla inattendibilità soggettiva del richiedente erano “più che condivisibili” (e cioè l’avere taciuto, senza alcuna plausibile ragione, nel ricorso dinanzi alla commissione territoriale, la vicenda dell’omicidio, per poi riferirla nell’interrogatorio;

-) non era plausibile che il ricorrente, pur avendo dichiarato di avere vissuto nascosto per due anni nella città di Bamako, potesse aver assistito ai vari episodi di violenza da lui descritti, nella città di Kayes;

-) è indice di inattendibilità la circostanza che il ricorrente dapprima avesse dichiarato di aver assistito personalmente i suddetti episodi di violenza, per poi precisare che gli erano stati invece riferiti da “amici che vivevano in città”;

-) non era credibile che, in occasione della lite che portò all’uccisione sopra ricordata, sul posto fossero presenti due amici della vittima che assistettero ai fatti senza intervenire; -) l’inattendibilità soggettiva del ricorrente ostava alla concessione dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria per le ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b): -) in ogni caso, anche se fosse stato vero l’episodio dell’omicidio, il ricorrente non aveva ragionevolmente dimostrato di essere esposto al rischio di persecuzioni, o a pena di morte, o di trattamenti degradanti, dal momento che lui stesso aveva riferito di essere rimasto a Kayes per tre mesi dopo l’omicidio, senza che a suo carico fossero stati avviati procedimenti penali; nè il ricorrente aveva mai anche solo raccontato l’episodio dal quale desumere la sussistenza del fondato rischio che egli fosse esposto al rischio di vendette da parte della famiglia dell’ucciso);

-) la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) non poteva essere concessa perchè nella regione di provenienza del ricorrente (Kayes) non era in atto alcuna situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato. La corte d’appello ha ritenuto (citando otto fonti internazionali datate tra il 2017 ed il 2018) che nella regione di Kayes esistesse “un basso indice di violenza di qualsiasi origine”, nè quella regione poteva ritenersi “un’area fuori controllo dove civili possono rimanere vittime di violenze indiscriminate”;

-) il permesso di soggiorno per motivi umanitari non potesse essere rilasciato perchè:

a) la inattendibilità del richiedente impediva di porre a fondamento del permesso di soggiorno per motivi umanitari la storia da lui narrata;

b) il richiedente non aveva nemmeno allegato di avere acquistato un certo grado di integrazione sociale del nostro paese, integrazione che comunque non poteva desumersi dal semplice fatto di avere svolto attività lavorativa;

c) la situazione geopolitica del paese di provenienza non avrebbe affatto comportato, in caso di rimpatrio, una lesione dei diritti fondamentali del richiedente.

4. Il provvedimento della Corte d’appello è stato impugnato per cassazione da C.M. con ricorso fondato su quattro motivi.

Il Ministero dell’Interno non si è difeso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo il ricorrente denuncia il vizio di omessa pronuncia, ex art. 112 c.p.c..

Sostiene che la corte d’appello avrebbe omesso di pronunciarsi sulla sua domanda di protezione sussidiaria, fondata sul rischio di subire, in caso di rimpatrio, trattamenti inumani o degradanti, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b).

1.1. Il motivo è infondato.

La corte d’appello ha provveduto a pagina 4, terzo capoverso, quarto rigo, sulla domanda di protezione sussidiaria formulata ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b), statuendo che “la ritenuta inattendibilità della narrazione” comportava che fossero da “escludersi i requisiti di cui alle lettere a) e b)” del suddetto decreto.

2. Col secondo motivo il ricorrente, prospettando sia il vizio di violazione di legge, sia quello di omesso esame dei fatto decisivo, censura la sentenza impugnata per avere “reso motivazione solo apparente sulla credibilità intrinseca del ricorrente”.

2.1. Il motivo è inammissibile.

La corte d’appello ha infatti ritenuto che sul giudizio di inattendibilità soggettiva si fosse formato il giudicato per difetto di impugnazione, e tale ratio decidendi non viene affrontata dal motivo qui in esame.

3. Anche col terzo motivo il ricorrente denuncia sia il vizio di violazione di legge, sia quello di omesso esame d’un fatto decisivo.

Il motivo investe il capo di sentenza con cui la corte d’appello ha ritenuto insussistente nella regione diò provenienza del ricorrente una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato.

Deduce che le fonti utilizzate dalla carte d’appello per pervenire a tale conclusione non erano aggiornate.

Osserva in contrario il ricorrente che la corte d’appello avrebbe adottato una “lettura del tutto parziale” del rapporto EASO 2018, del quale non sarebbe stato riportato il reale contenuto.

Deduce che la corte d’appello avrebbe ignorato quattro passi del suddetto rapporto, compresi tra la pagina 40 a pagina 42, nei quali si affermava:

-) che a Bamako era aumentata la violenza urbana;

-) nel Mali centrale le forze di sicurezza usavano in modo indiscriminato la forza per mantenere l’ordine;

-) la violenza si stava diffondendo dalle regioni settentrionali verso il sud del paese;

-) la minaccia terroristica era aumentata nelle regioni del sud.

3.1. Il motivo è inammissibile per due ragioni:

-) nella parte in cui prospetta l’omesso esame del fatto decisivo, il motivo è inammissibile ex art. 348 ter c.p.c., comma 5, ostandovi una doppia decisione conforme nei gradi di merito;

-) nella parte restante il motivo è inammissibile perchè censura la valutazione di una fonte di prova.

4. Col quarto motivo il ricorrente lamenta, anche in questo caso prospettando sia il vizio di violazione di legge (con riferimento al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5), sia quello di omesso esame d’un fatto decisivo, l’erroneo rigetto della sua domanda di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Il motivo, se pur formalmente unitario, contiene plurime censure che possono essere così riassunte:

a) la motivazione con cui la corte d’appello ha rigettato la domanda di protezione umanitaria era “inaccettabilmente sbrigativa”;

b) la corte d’appello aveva omesso di valutare varie circostanze, da lui puntualmente allegate, dimostrative sia della sua condizione di vulnerabilità, sia del rischio di compromissione dei suoi diritti fondamentali in caso di rimpatrio. Tati – circostanze,. secondo il ricorrente, erano:

b) che in Mallegli aveva ormai solo l’anziana madre;

b”) egli proveniva da una famiglia povera;

b”) in Mali esisteva una diffusa povertà, che rendeva bisognosi di aiuti umanitari circa 4.000.000 di civili, con un incremento del 36% nel 2018 relativamente agli abitanti nella zona di Mopti;

b””) il rimpatrio del ricorrente avrebbe comportato un pregiudizio ai suoi “diritti economici, sociali e culturali indispensabili alla sua dignità e al libero sviluppo della sua personalità”;

b””) in Italia il ricorrente aveva realizzato una effettiva integrazione, in quanto parla l’italiano a ottimo livello, e ha trovato una stabile occupazione.

4.1. Nella parte in cui lamenta l’omesso esame di fatti decisivi il motivo è inammissibile, ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., comma 5, essendovi stata una doppia decisione conforme nei gradi di merito.

Nella parte in cui lamenta il vizio di “motivazione sbrigativa” il motivo è del pari inammissibile, non essendo più censurabile in sede di legittimità l’insufficienza della motivazione.

4.2. Nella parte in cui lamenta la violazione di legge il motivo è fondato.

Le Sezioni Unite di questa Corte, con sentenza 13.11.2019 n. 29459, hanno stabilito quali siano il fondamento, la natura ed i presupposti per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, previsto dal D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis, oggi abrogato e sostituito dal D.L. 4 ottobre 2018, n. 113, art. 1, comma 1, lett. b), numero 2), convertito, con modificazioni, dalla L. 1 dicembre 2018, n. 132).

Tali statuizioni, per i fini che qui interessano, possono così riassumersi:

a) il permesso di soggiorno per motivi umanitari è espressione del diritto di asilo costituzionalmente garantito dall’art. 10 Cost., comma 3, (così il p. 6.1 dei “Motivi della decisione” della sentenza sopra ricordata);

b) – il permesso di soggiorno per motivi umanitari non è imposto dalla legislazione comunitaria e non può interferire con le forme di protezione internazionale da quella previste: esso è dunque alternativo a queste ultime, nel senso-che quando ricorrano i presupposti per la concessione dello status di rifugiato o per la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, non vi sarà spazio per la protezione umanitaria, e viceversa (ibidem, p. 9.2);

c) presupposto del rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari è il rischio che il rimpatrio del richiedente possa determinare una – compromissione dei suoi diritti umani “al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale” (ibidem, p. 10.1);

d) nel valutare la sussistenza di questo rischio, il giudice di merito tuttavia deve osservare due limiti:

d’) da un lato, non può limitarsi a prendere in esame soltanto il livello di integrazione conseguito dal richiedente in Italia;

d”) dall’altro, non può accordare il permesso di soggiorno per motivi umanitari per il solo fatto che, nel paese di provenienza del richiedente, sussista una generale violazione dei diritti umani, perchè così facendo “si prenderebbe (…) in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, di per sè inidonea al riconoscimento della protezione umanitaria” (ibidem, p. 10.2).

4.3. Nel caso di specie la Corte d’appello, ritenuto inattendibile il racconto del richiedente protezione, ha concluso che tale circostanza preclude in ogni caso il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari (p. 11 della sentenza impugnata).

Tale affermazione tuttavia non è conforme a diritto.

Infatti l’inattendibilità dei fatti narrati dal richiedente può essere preclusiva di ogni forma di protezione quando cada sulla sua provenienza geografica o sulla sua stessa identità.

Quando, per contro, l’inattendibilità investa il vissuto posto a fondamento della domanda di protezione, essa potrà giustificare il rigetto di tale domanda solo a condizione che il rimpatrio non debba avvenire verso Paesi nei quali sia esposta a rischio la vita o l’incolumità fisica del richiedente.

In tal caso, infatti, il principio sovranazianale del non refoulement, di cui all’art. 33 della Convenzione di Ginevra del 1951, impedirebbe il respingimento anche del richiedente non attendibile, salvo che egli costituisca un pericolo per la sicurezza del Paese ospitante o una minaccia per la collettività, giusta la previsione di cui al comma 2 del citato art. 33 della Convenzione di Ginevra.

Resta ancora da aggiungere che la ritenuta insussistenza, da parte della Corte d’appello, d’una situazione di violenza indiscriminata in Mali, ai fini del rigetto della domanda di protezione sussidiaria per l’ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), di per sè non comportava ipso iure il rigetto della domanda di protezione umanitaria, dal momento che la vulnerabilità soggettiva richiesta dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, per come interpretato dalle SS.UU. di questa Corte nella sentenza sopra richiamata, può teoricamente derivare non solo da un conflitto armato, ma anche da altre e diverse circostanze, quali – a mero titolo d’esempio – calamità naturali o carestie.

La sentenza va dunque cassata su questo punto, con rinvio alla Corte d’appello di Venezia, affinchè torni ad esaminare la domanda di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, stabilendo se sussista una condizione di vulnerabilità del richiedente in considerazione dei rischi personali cui sarebbe esposto in caso di rimpatrio, anche a prescindere dalla sussistenza di una situazione di conflitto armato.

P.Q.M.

(-) rigetta i primi tre motivi di ricorso; accoglie il quarto motivo di ricorso; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’appello di Venezia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Terza Sezione civile della Corte di cassazione, il 30 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 ottobre 2020

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