Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21932 del 30/07/2021

Cassazione civile sez. II, 30/07/2021, (ud. 08/04/2021, dep. 30/07/2021), n.21932

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15952-2016 proposto da:

CS DI SCARDIGNO DONATO & C SAS, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA PILO ALBERTELLI 1, presso lo studio dell’avvocato LUCIA

CAMPOREALE, rappresentata e difesa dall’avvocato BIAGIO NOBILE

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

nonché contro

V.G.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 740/2015 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 12/05/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

08/04/2021 dal Consigliere Dott. CRISCUOLO MAURO.

 

Fatto

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

1. Con sentenza n. 1076/2006 il Tribunale di Trani rigettò la domanda della Scardigno Donato & C. s.a.s. con la quale chiedeva emettersi nei confronti di V.G. una sentenza costitutiva del trasferimento della proprietà di un terreno, in esecuzione del contratto preliminare di permuta del 6/8/1980.

Sosteneva che con tale contratto il V. si era impegnato a trasferire un fondo rustico sito in (OMISSIS) e che come contropartita la società si era impegnata a trasferire la proprietà di tre appartamenti, senza alcuna ulteriore pretesa nel caso in cui alla data prevista per la stipula di definitivo non fosse mutata la potenzialità edificatoria del fondo.

Aggiungeva che i beni immobili coinvolti nel contratto erano stati reciprocamente messi nella disponibilità anticipata dei contraenti.

Poiché non si era verificata alcuna modifica della potenzialità edificatoria, aveva richiesto di procedere alla stipula del definitivo, richiesta però rimasta inevasa da parte del V..

Nelle more del giudizio una parte consistente del terreno era stata però sottoposta ad espropriazione da parte del Comune di Ruvo di Puglia, in vista della realizzazione di una scuola e, con le memorie di cui all’art. 183 c.p.c., la società chiedeva la pronuncia della sentenza costitutiva limitatamente alla parte del fondo rimasta nella proprietà del V. con il diritto a percepire le indennità di espropriazione e di occupazione dovute dall’espropriante.

Ad avviso del Tribunale si era però verificato un mutamento della domanda che comportava un’inammissibile mutatio libelli e che quindi non era dato adottare alcuna pronuncia ex art. 2932 c.c..

La stessa sentenza provvide altresì a rigettare la domanda riconvenzionale del V. di risoluzione del preliminare per grave inadempimento ovvero di accertamento della nullità del contratto, assumendo che la domanda di risoluzione risultava già coperta da un precedente giudicato, rappresentato dalla sentenza della Corte d’Appello di Bari n. 1078/1997, e che anche la domanda di nullità era coperta dal medesimo giudicato.

La diversa domanda di annullamento del contratto per errore essenziale e riconoscibile era invece da rigettare in quanto sfornita di prova.

La Corte d’Appello di Bari, con la sentenza n. 740 del 15/5/2015, ha rigettato l’appello principale della società e parzialmente accolto quello incidentale del V., con la condanna della prima alla restituzione della parte di fondo a suo tempo concessa in godimento.

Per quanto ancora rileva in questa sede, e quindi in relazione alla domanda di esecuzione in forma specifica dell’obbligo a contrarre avanzata dalla società, la sentenza, premessa la dubbia ammissibilità del mezzo di impugnazione, in quanto sostanzialmente reiterativo di argomentazioni già allegate in primo grado e disattese dal tribunale con adeguata motivazione, rilevava che una sentenza costitutiva può essere emessa solo nel caso in cui sia ancora possibile, situazione che non ricorre allorché il bene promesso in vendita non sia più nella titolarità del promittente alienante.

Tale principio era stato appunto affermato dalla Suprema Corte proprio nel caso in cui il bene era stato sottoposto ad esproprio.

Pertanto, la società non poteva pretendere il trasferimento della porzione di suolo non interessata dall’espropriazione né poteva vantare diritti sull’indennità di esproprio liquidata in favore del V..

Risultava quindi inammissibile la mutatio libelli rappresentata dalla richiesta di attribuzione della detta somma in luogo della sentenza traslativa della proprietà del bene espropriato.

Quanto al suolo relitto ancora di proprietà del V., i giudici di appello ritenevano che il dovere del giudice di apprezzare con minor rigore l’identità tra il bene promesso in vendita e quello oggetto della sentenza costituiva ex art. 2932 c.c., nella specie non poteva essere esercitato in quanto l’esproprio aveva riguardato una parte consistente del fondo, con la conseguenza che non vi era più una sostanziale identità tra bene oggetto del preliminare e quello interessato dalla sentenza.

Inoltre, il trasferimento del bene non era correlato ad un prezzo in denaro ma alla permuta di altri immobili ed alla caratteristica edificatoria del fondo che era indubbiamente mutata a seguito dell’intervenuto esproprio.

Solo con la memoria di replica in appello la società aveva richiamato il contenuto di una scrittura aggiuntiva del 13/5/1982 con la quale si stabiliva che il contratto (non altrimenti indicato) sarebbe stato efficace anche in caso di eventuale mutamento del fondo rustico oggetto del preliminare di permuta per esproprio.

La deduzione era tuttavia inammissibile e non poteva essere esaminata avendo la società inteso far valere solo l’esecuzione del contratto recante la data del 6/8/1980, senza mai far riferimento ad una scrittura integrativa.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la C.S. di Scardigno Donato & C. s.a.s. sulla base di tre motivi.

L’intimato non ha svolto difese in questa fase.

2. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1322 c.c..

Si deduce che le parti avevano consensualmente inteso regolare i loro rapporti quanto al trasferimento della proprietà del terreno, e con la scrittura integrativa del 1982 avevano regolato anche l’ipotesi in cui il bene avesse avuto una diversa consistenza per effetto dell’espropriazione da parte del Comune.

In premessa è stato evidenziato che con tale accordo i contraenti avevano disciplinato, nell’imminenza dell’espropriazione, la sorte del contratto, con la previsione però di una semplice postilla, scritta sulla quarta facciata dell’unico foglio protocollo sul quale era stato redatto anche l’originario preliminare.

Il rigetto della domanda di esecuzione in forma specifica, limitatamente alla parte di fondo rimasta in proprietà del V., ha in tal modo compromesso la libera determinazione della volontà contrattuale delle parti, vanificando la pur manifestata disponibilità della ricorrente ad accontentarsi di un bene di dimensioni inferiori rispetto a quelle originarie, e senza richiedere alcuna riduzione proporzionale della propria controprestazione.

Il secondo motivo di ricorso denuncia ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1152 e 2932 c.c..

Si evidenzia che nel preliminare le parti avevano convenuto una completa disciplina delle varie questioni che si sarebbero potute presentare nella vita del rapporto, ed in particolare era emersa la volontà di mantenere in vita il contratto anche in caso di variabili sopravvenute.

La Corte d’Appello ha però omesso di valutare correttamente l’assetto degli interessi concordato dalle parti.

I due motivi di ricorso, che possono essere congiuntamente esaminati per la loro connessione, sono inammissibili, in parte, in quanto del tutto generici, ed, in parte, in quanto non colgono la ratio della decisione impugnata.

La censura difetta in primo luogo di specificità ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, in quanto, pur invocando l’efficacia vincolante tra le parti di una scrittura integrativa recante la diversa data, rispetto a quella del preliminare, del 13/05/1982, omette però di riprodurne in ricorso il contenuto, ed assume apoditticamente, anche qui senza meglio dettagliare il proprio assunto, che si tratterebbe in realtà di una mera postilla aggiunta su di una facciata del foglio contenente il contratto originario, dissentendo in tal modo dalla conclusione del giudice di appello, che ha riferito invece di una scrittura (autonoma) aggiuntiva.

Ne’ appare adeguatamente confutata la considerazione della sentenza impugnata secondo cui il generico riferimento al contratto contenuto nella scrittura integrativa non consentirebbe di riferire con certezza al preliminare oggetto di causa la volontà delle parti consacrata nella pattuizione integrativa.

A siffatta inammissibilità di carattere formale, si aggiunge anche la diversa inammissibilità della non pertinenza delle critiche rispetto al tenore della sentenza d’appello che, dopo aver evidenziato che per effetto della espropriazione di una consistente parte del bene promesso in permuta dal V., non era possibile riscontrare la giuridica possibilità di emettere una sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c. (affermazione questa motivata alla luce di precedenti di questa Corte, e che non risulta essere oggetto di specifica confutazione da parte della ricorrente), ha escluso che fosse possibile fondare la domanda ex art. 2932 c.c., quanto alla minor consistenza del fondo rimasto in proprietà del V., sulla scorta della scrittura integrativa del 13/05/1982, sottolineando che alla medesima l’appellante principale aveva fatto richiamo per la prima volta solo nella memoria di replica in appello.

Ha al riguardo sottolineato che tutte le precedenti difese si fondavano sul contenuto dell’originario contratto preliminare e mai era stata invocata la diversa previsione di cui alla scrittura integrativa del 13 maggio 1982, e ciò sebbene già nel corso del giudizio fosse intervenuta l’espropriazione e si fosse posto il problema della ammissibilità di una sentenza costitutiva avente ad oggetto un bene di dimensioni inferiori rispetto a quelle promesse in permuta.

Rileva la Corte che il giudice di appello ha fatto una corretta applicazione del principio più volte affermato secondo cui (cfr. da ultimo Cass. n. 98/2016) con le memorie di cui all’art. 190 c.p.c. le parti possono solo replicare alle deduzioni avversarie ed illustrare ulteriormente le tesi difensive già enunciate nelle comparse conclusionali e non anche esporre questioni nuove o formulare nuove conclusioni, sulle quali, pertanto, il giudice non può e non deve pronunciarsi (conf. Cass. n. 22970/2004). Non è in discussione la rituale produzione in atti di tale documento, ma piuttosto l’averne tardivamente invocato l’efficacia, in quanto atto idoneo a regolare anche la specifica ipotesi di intervenuta modifica della consistenza del bene, questione che aveva impegnato le parti sin dal primo grado.

A tale argomento che appare decisivo nell’iter argomentativo della Corte distrettuale al fine di negare rilevanza alla scrittura de qua, la ricorrente non contrappone alcuna puntuale critica, limitandosi semplicemente ad invocare l’efficacia della scrittura stessa, ma senza però avvedersi dell’impedimento di carattere processuale che è stato invece individuato dal giudice di merito.

L’assenza di pertinenza delle critiche sviluppate nei motivi di ricorso rispetto alla ratio del giudice di appello denota quindi l’inammissibilità dei mezzi di gravame.

3. Il terzo motivo di ricorso denuncia la violazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, nonché omessa e contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia con travisamento dei fatti di causa.

Si rileva che sarebbe stata omessa la valutazione della scrittura integrativa del 1982, trascurando che il documento era già stato versato in atti.

Anche tale motivo si palesa inammissibile, in quanto risulta del tutto privo dell’indicazione delle norme di legge che sarebbero state violate dal giudice di merito.

Inoltre, denuncia il vizio di omessa e contraddittoria motivazione sulla base della formulazione non è più applicabile dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (atteso che trattasi di ricorso avverso sentenza pubblicata in data successiva al 12 settembre 2012).

Infine, invoca anche in parte qua la pretesa efficacia vincolante della scrittura integrativa senza confrontarsi con la soluzione di carattere processuale che ha indotto il giudice di appello a ritenere non valutabile la scrittura invocata invece da parte ricorrente.

4. Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile, nulla dovendosi provvedere quanto alle spese, atteso il mancato svolgimento di attività difensiva da parte dell’intimato.

5. Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater dell’art. 13 del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, art. 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della 2 Sezione Civile, il 8 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2021

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