Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21931 del 30/07/2021

Cassazione civile sez. II, 30/07/2021, (ud. 08/04/2021, dep. 30/07/2021), n.21931

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 15730/2016 R.G. proposto da:

T.R., rappresentata e difesa dagli avv.ti Vincenzo Ciaffi,

con domicilio eletto in Roma, alla Via Aurelia 424;

– ricorrente –

contro

C.F., rappresentato e difeso dal l’avv. Gianfranco

Rossi, con domicilio eletto in Roma al Viale Bruno Buozzi n. 36,

presso l’avv. Donatello Fumia.

– controricorrente –

e

C.M..

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Bari n. 464/2016,

pubblicata in data 20.4.2016.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno

8.4.2021 dal Consigliere Fortunato Giuseppe.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione del 26.02.2003, T.R. ha convenuto in giudizio C.F. dinanzi al Tribunale di Bari, sezione distaccata di Bitonto, chiedendo di dichiarare l’intervenuta usucapione dell’immobile sito in (OMISSIS) – in catasto alla partita (OMISSIS), fl. (OMISSIS), partt. n. (OMISSIS), sub 3 e 5.

Il convenuto sì è costituito, esponendo che l’attrice aveva semplicemente detenuto il bene e ha proposto riconvenzionale per il rilascio dell’immobile e il risarcimento del danno, istando per la chiamata in causa di C.M..

Il terzo chiamato si è costituito in giudizio, impugnando con querela di falso i documenti individuati con i nn. 8, 13 e 14 dell’indice del fascicolo del convenuto, ossia il contratto di locazione del 3.11.1984, la dichiarazione a firma congiunta di G. e C.M., recante la data del 15.10.1982 ed il contratto di comodato del (OMISSIS), firmato dal solo C.M.- asserendo di averli sottoscritti in bianco.

Analoga querela di falso ha proposto successivamente T.R.. Il tribunale di Bari, dopo l’espletamento di una c.t.u. grafica, ha dichiarato la falsità del solo contratto di locazione del 3.11.1984 (documento n. 12), respingendo ogni altra richiesta.

La sentenza, impugnata da T.R. relativamente al rigetto della querela di falso del contratto di comodato, è stata confermata in appello.

Secondo la Corte distrettale, la consulenza tecnica redatta dalla Dott.ssa M. e la perizia dell’ausiliario del c.t.u. – Dott. S.S. – avevano confermato l’autenticità della firma presente sul contratto, che doveva inoltre considerarsi temporalmente riferibile alla data impressa dal documento, mentre era del tutto carente la prova che il documento fosse stato abusivamente riempito in bianco.

Per la cassazione della sentenza T.R. propone ricorso, in due motivi.

C.F. ha depositato controricorso e memoria illustrativa.

C.M. non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo denuncia la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sostenendo che la Corte distrettuale abbia respinto la querela senza affatto verificare se il documento fosse stato riempito abusivamente, limitandosi a condividere le conclusioni formulate nella relazione dell’ausiliario del c.t.u. – Dott. S.S.- senza considerare gli elementi posti in rilievo dalla consulenza tecnica d’ufficio redatta dalla Dott.ssa M., comprovanti il riempimento abusivo della scrittura. Da tale relazione era emerso che: a) la compilazione del contratto di comodato era avvenuta con una penna di colore nero, di tonalità cromatica differente da quella impiegata per la sottoscrizione; b) il grafismo era distribuito nello spazio, deviando dalla prassi comune, mentre sarebbe apparso più credibile ove fosse stato compattato in una sola metà del foglio, risultando coerente con le dimensioni standard dei fogli in commercio; c) l’anomala compilazione della scrittura e la mancanza della parte superiore del foglio lasciavano persistere forti perplessità circa la contemporaneità della stesura tra firma e testo; d) non era possibile escludere che il testo della dichiarazione fosse già presente sullo stampato e che fosse stato eseguito a riempimento della superficie vuota rimasta nella seconda metà del foglietto”.

Secondo la ricorrente, il documento era stato compilato in data diversa da quella della sottoscrizione, come comprovava soprattutto il diverso colore della grafia, sintomatico della contestata falsità.

Nel disattendere le descritte acquisizioni processuali, il giudice distrettuale avrebbe – perciò – definito la causa senza tener conto degli elementi di prova e facendo ricorso alla scienza privata.

Il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e 5, per aver il giudice distrettuale respinto la querela senza dare il giusto rilievo alla diversa intensità del colore nero dell’inchiostro utilizzato per la redazione e la firma del documento, dato di fatto che comprovava che la sottoscrizione era già presente sul documento al momento della compilazione e che il foglio era stato abusivamente riempito.

I due motivi, che per la loro stretta connessione, possono essere esaminati contestualmente, sono inammissibili.

Le deduzioni formulate in ricorso sono state motivatamente disattese dalla Corte d’appello, che, in adesione alle conclusioni del tribunale, ha escluso che fosse stata raggiunta la prova del riempimento abusivo della scrittura privata di comodato, redatta in data (OMISSIS).

La sentenza ha evidenziato che l’autenticità della sottoscrizione di C.M. consentiva di presumere l’autenticità del contenuto del contratto, “a prescindere dal fatto che il documento fosse stato compilato o redatto materialmente dal sottoscrittore”, ma che ai fini del riempimento abusivo occorreva anche la prova che la firma fosse stata apposta su un foglio bianco e che il riempimento fosse avvenuto in mancanza di autorizzazione da parte del sottoscrittore (Cass. 16007/2003; Cass. 3155/2004; Cass. 15219/2007), circostanze che – secondo la pronuncia impugnata – non avevano incontrato alcun riscontro processuale.

Anzi, come si rileva anche dall’esame delle relazioni tecniche agli atti, le conclusioni dell’ausiliario del c.t.u. Dott. S.S. erano effettivamente convergenti rispetto a quelle formulate dal c.t.u. Dott. M., avendo entrambi concluso per l’autenticità delle sottoscrizioni e per la contestualità tra il testo e la firma, nel senso che quest’ultima doveva ritenersi temporalmente riferibile alla data impressa sul documento (cfr. sentenza, pag. 7).

Neppure la prova testimoniale aveva consentito di accertare che il documento fosse stato riempito “absque o sine pactis” ed anzi, per quanto riferito dai testi F.S.E. e P.A., C.M. aveva sottoscritto il contratto predisposto e compilato dal figlio F..

La diversa intensità dell’inchiostro utilizzato per la redazione del testo e per l’apposizione della firma era evenienza tutt’altro che risolutiva, non valendo la suddetta difformità (riscontrabile anche nel riempimento conforme ai patti) a provare – di per sé – la mancanza di provenienza e di riferibilità della dichiarazione dal soggetto che l’aveva sottoscritto, specie alla luce degli incerti esiti della prova orale e a fronte dell’accertata autenticità delle firme e della riferibilità della sottoscrizione alla data di redazione della scrittura.

Le conclusioni – del tutto logiche- cui è pervenuta la sentenza appaiono, pertanto insindacabili, essendo inammissibile anche la denunciata violazione dell’art. 115 c.p.c., norma che è invocabile non per censurare – come nella specie – l’interpretazione delle prove, ma solo ove la decisione non si basi su elementi validamente acquisiti al processo, stante il divieto del giudice di utilizzare prove non dedotte dalle parti o acquisite d’ufficio al di fuori dei casi in cui la legge gli conferisca un potere officioso d’indagine (Cass. 27000/2016; Cass. 13960/2014), mentre, nello specifico, la Corte distrettuale si è strettamente attenuta agli esiti dell’istruttoria, alle dichiarazioni dei testi e alle concordanti valutazioni espresse dai due tecnici incaricati, senza alcun ricorso neppure alla scienza privata.

Quanto alla violazione dell’art. 2697 c.c., la disposizione può considerarsi violata non già quando il giudice – come nello specifico – abbia ritenuto indimostrati i fatti costitutivi della domanda, ma solo se l’onere della prova sia stato posto a carico della parte che non ne era gravata in base alla scissione della fattispecie tra fatti costituivi e mere eccezioni, occorrendo porre anche in rilievo che, nel caso in esame, il Collegio ha correttamente stabilito che competeva alle parti che avevano proposto la querela di falso, dimostrare che il documento era stato abusivamente riempito (Cass. 16007/2003; Cass. 3155/2004).

Il ricorso è quindi inammissibile, con aggravio di pese secondo soccombenza.

Si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, pari ad Euro 200,00 per esborsi ed Euro 3000,00 per compenso, oltre ad iva, c.p.a. e rimborso forfettario delle spese generali, in misura del 15%.

Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda sezione civile, il 8 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2021

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