Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21931 del 21/09/2017


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Cassazione civile, sez. III, 21/09/2017, (ud. 13/06/2017, dep.21/09/2017),  n. 21931

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15581/2015 proposto da:

IMPRESA M. & C. SPA, in persona del Presidente pro

tempore Ing. M.P., elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA ALESSANDRO TORLONIA 33, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO

ROSSINI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

FEDERICO CARPI giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

REGIONE EMILIA ROMAGNA, in persona del Presidente della Giunta

Regionale, Dott. B.S., elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA POMPEO MAGNO 3, presso lo studio dell’avvocato SAVERIO

GIANNI, rappresentata e difesa dagli avvocati ANTONELLA MICELE,

DOMENICO FAZIO giusta procura a margine del controricorso;

GESTIONE LIQUIDATORIA UNITA’ SANITARIA LOCALE N. (OMISSIS) PIACENZA,

in persona del Direttore Generale della ASL Ing. B.L.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CATANZARO 9, presso lo studio

dell’avvocato ALBERTO MARIA PAPADIA che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato ELIO CASTELLAZZI giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 755/2015 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 17/04/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/06/2017 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA CIRILLO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PEPE Alessandro, che ha concluso per l’accoglimento del 1^ motivo,

assorbiti i motivi 2^ e 4^, rigetto degli altri;

udito l’Avvocato ASTRID MERLINI per delega;

udito l’Avvocato ANTONELLA MICELE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con un contratto stipulato in data 20 gennaio 1981 l’Ospedale civile di (OMISSIS), facente parte della USL n. (OMISSIS) di quella città, affidò alla s.p.a. M. & C. le opere relative alla costruzione del primo lotto attuativo dell’edificio polichirurgico di (OMISSIS). A seguito di controversie insorte tra le parti in relazione a tale appalto, fu stipulato un atto di transazione, in data 11 gennaio 1992, col quale la USL si impegnò a versare alla società appaltatrice la somma di Lire 10.508.000.000 e ad affidare alla medesima l’esecuzione delle opere di completamento del primo lotto di cui sopra.

Nacquero tra le parti ulteriori questioni in ordine alla concreta applicazione dell’indicata transazione, per cui la s.p.a. M. & C. convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Piacenza, l’AUSL di quella città e la Regione Emilia-Romagna, chiedendo che fossero condannate al pagamento di una serie di somme.

Si costituirono in giudizio le parti convenute e, su richiesta della Regione, il contraddittorio fu esteso alla Gestione liquidatoria della disciolta USL n. (OMISSIS).

Il Tribunale, ritenuta sussistente la legittimazione passiva della sola Regione e la conseguente inammissibilità delle domande proposte contro la Gestione liquidatoria e contro la AUSL, accolse la domanda e condannò la Regione Emilia-Romagna al pagamento della somma di Euro 328.348,01 a titolo di interessi moratori per il ritardo nel pagamento del corrispettivo dovuto ed alla somma di Euro 280.117,20 a titolo di mancato guadagno relativo ad opere non affidate, in violazione della previsione del contratto di transazione.

2. La pronuncia è stata appellata in via principale dalla Regione soccombente e in via incidentale dalla AUSL e dalla s.p.a. M. & C..

La Corte d’appello di Bologna, con sentenza del 17 aprile 2015, in totale riforma della decisione del Tribunale, ha respinto tutte le domande avanzate dalla s.p.a. M. & C., che ha contestualmente condannato al pagamento delle spese dei due gradi di giudizio ed alla restituzione della somma di Euro 1.145.344 versata dalla Regione in esecuzione della sentenza di primo grado.

2.1. La Corte territoriale, per quanto di interesse in questa sede, ha preso in esame innanzitutto la domanda della s.p.a. M. & C. volta ad ottenere il riconoscimento degli interessi di mora sulle somme che la Regione aveva corrisposto in ritardo.

Sul punto la sentenza, accogliendo il secondo motivo di appello della Regione, ha dichiarato prescritti i relativi crediti. Richiamata la giurisprudenza di legittimità sul D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, artt. 35 e 36, la Corte ha dichiarato che la prescrizione degli interessi di mora comincia a decorrere “dalla data nella quale tali interessi sono esigibili, vale a dire da quando matura il pagamento in conto o a saldo immediatamente successivo a quello in relazione al quale sussiste il ritardo nel pagamento”. Prendendo in esame gli atti indicati dalla società creditrice come atti interruttivi della prescrizione, la Corte d’appello ha osservato che la richiesta effettuata in calce al certificato di collaudo del 22 dicembre 1997 poteva valere ad interrompere la prescrizione solo nei limiti dei cinque anni all’indietro, cioè successivi al 22 dicembre 1992. Da ciò la sentenza ha tratto la conclusione che “quasi tutti gli interessi” maturati anteriormente a tale ultima data (per un importo di “oltre 550 milioni di Lire”) erano prescritti.

In accoglimento, poi, anche del terzo motivo di appello, la sentenza ha dichiarato che il Tribunale aveva “finito per riconoscere una capitalizzazione sugli interessi di mora”, mentre gli interessi a fronte del ritardato pagamento degli interessi di mora spettano a decorrere dalla data della domanda giudiziale “e sempre che si tratti di interessi dovuti da almeno sei mesi”. Pertanto, poichè gli interessi sugli interessi di cui all’art. 35 cit. erano stati quantificati dal c.t.u. nella somma di Lire 1.711.239.054 (ivi compresi quelli prescritti) e la USL aveva corrisposto in due momenti, a titolo di interessi, la somma complessiva di Lire 1.938.514.445 (così attualizzata dal c.t.u.), la Corte d’appello è pervenuta alla conclusione che il debito a titolo di interessi sugli interessi era stato estinto dalla parte debitrice prima dell’inizio della causa.

2.2. Quanto all’ulteriore domanda della s.p.a. M. & C. volta al riconoscimento del lucro cessante per il mancato affidamento di opere come previsto dalla clausola n. 5 dell’atto di transazione, la Corte d’appello ha accolto il quinto motivo di appello, respingendo la relativa domanda.

Ha osservato la sentenza che la citata clausola del contratto di transazione era stata erroneamente interpretata dal Tribunale, il quale aveva dato per scontato che la Regione fosse tenuta a fare eseguire nuovi lavori per la somma complessiva di 12 miliardi di Lire.

Doveva ritenersi, al contrario, che alla s.p.a. M. & C. “dovevano essere affidati tutti i lavori necessari per il completamento del primo lotto attuativo e per l’eventuale collegamento con l’Ospedale civile sino alla concorrenza di Lire 12 miliardi che costituiva il limite insuperabile”. Ciò in quanto nel momento in cui fu stipulata la transazione non erano stati ancora definiti i lavori necessari per il completamento del primo lotto. E poichè non risultava che l’Ente pubblico avesse affidato ad altre imprese i lavori oggetto di quella clausola, doveva concludersi nel senso che non vi fosse alcun inadempimento imputabile alla Regione Emilia-Romagna.

3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Bologna propone ricorso la s.p.a. M. & C. con atto affidato a sette motivi.

Resistono la Regione Emilia-Romagna, la AUSL di Piacenza e la Gestione liquidatoria della disciolta USL n. (OMISSIS) di Piacenza con tre separati controricorsi.

La società ricorrente e la Regione Emilia-Romagna hanno depositato memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), violazione e falsa applicazione del D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, artt. 33, 35 e 36, L. 10 dicembre 1981, n. 741, art. 4 e dell’art. 2946 c.c. e art. 2948 c.c., n. 4), oltre a difetto di motivazione sull’applicazione della prescrizione quinquennale.

Rileva la società ricorrente che la sentenza impugnata avrebbe erroneamente applicato la prescrizione quinquennale agli interessi moratori di cui agli artt. 35 e 36 cit., senza considerare che la prescrizione è, invece, decennale, come risulta proprio da una delle tre sentenze indicate dalla Corte d’appello a sostegno della propria decisione (la sentenza 23 maggio 2006, n. 12140). Ciò in quanto gli interessi di mora sono privi del requisito della periodicità di cui all’art. 2948 c.c., n. 4).

2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, in riferimento all’art. 2943 ed all’art. 2944 c.c..

La censura, richiamando la motivazione della sentenza nella parte in cui fissa il dies a quo dal quale far decorrere la prescrizione, rileva che il criterio ivi stabilito non potrebbe valere “per il saldo che si è formato al collaudo approvato con Delib. AUSL 19 febbraio 1998, n. 383” (depositata in primo grado e, di nuovo, contestualmente al ricorso). Ne consegue che solo una parte degli interessi sarebbe prescritta. Dal contenuto della Delib. 17 dicembre 1997, n. 2912, pure prodotta assieme al ricorso, risulterebbe poi l’esplicito riconoscimento della richiesta degli interessi da parte della società ricorrente. Non vi sarebbe, quindi, la prova dell’inerzia della società creditrice.

3. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c. comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione dell’art. 2938 c.c..

Sostiene la società ricorrente che l’eccezione di prescrizione sarebbe stata sollevata dalla Regione in maniera totalmente generica, cioè senza indicare nè il tipo di prescrizione invocata nè la data di decorrenza della medesima; tale genericità era stata sottolineata in sede di comparsa di costituzione in grado di appello, ma sarebbe stata ignorata dalla Corte di merito.

4. Con il quarto motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), omesso esame di un fatto decisivo per l’applicazione dell’art. 2943 c.c. e art. 2948 c.c., n. 4).

Lamentano la società ricorrente che la sentenza impugnata non avrebbe individuato con esattezza la data e il periodo di prescrizione degli interessi riferiti a ciascuna somma capitale. In particolare, si contesta la sommarietà dell’affermazione secondo cui “quasi tutti gli interessi” erano da ritenere prescritti, nonchè l’indicazione dell’entità dei medesimi (oltre 550 milioni di Lire) senza consentire di compiere alcuna verifica sull’entità delle somme e sulle date di decorrenza ai fini della prescrizione.

5. Osserva la Corte che i primi quattro motivi possono essere trattati insieme, poichè sono tutti focalizzati sul problema della prescrizione del diritto agli interessi di mora per ritardato pagamento, cioè sulla prima delle due domande accolte dal Tribunale e poi respinte dalla Corte d’appello.

A questo riguardo va osservato che è corretta la preliminare eccezione, sollevata dalla Regione nel controricorso, per cui l’esame di tali motivi è irrilevante, poichè in essi manca ogni censura in ordine ad un passaggio fondamentale della sentenza impugnata. Come si è detto, infatti, la Corte bolognese, dopo aver applicato al credito per gli interessi la prescrizione quinquennale ed aver censurato la decisione di primo grado perchè aveva riconosciuto una capitalizzazione sugli interessi di mora, ha ricostruito il complessivo debito per interessi gravante sulla Regione, alla luce dei conteggi di cui alle consulenze tecniche contabili svolte. E’ quindi pervenuta alla conclusione, con un accertamento di fatto insindacabile in questa sede, e comunque per nulla contestato, secondo la quale la USL di Piacenza, dante causa della Regione in base alle note vicende successorie relative ai debiti delle disciolte USL, aveva versato alla società creditrice due diverse somme a titolo di interessi; per cui, anche calcolando nella somma dovuta gli interessi sugli interessi in misura maggiore di quella realmente spettante, il relativo debito era stato estinto dalla USL con pagamenti precedenti l’inizio della causa.

Questa fondamentale argomentazione della sentenza impugnata non è stata in alcun modo contestata nei quattro motivi di ricorso ora in esame ed è quindi passata in giudicato. Pertanto, anche ipotizzando la fondatezza di uno o più tra questi motivi, la decisione non potrebbe comunque condurre, sul punto, alla cassazione della sentenza impugnata.

La società ricorrente si è soffermata, in sede di memoria, sulla diversità tra gli interessi di cui al D.P.R. n. 1063 del 1962, art. 35 e quelli di cui alla L. n. 741 del 1981, art. 4, adducendo una serie di conteggi che dimostrerebbero l’erroneità del ragionamento svolto nella sentenza impugnata. Osserva la Corte che tali conteggi – peraltro da considerare contestati nel controricorso della Regione (v. p. 9), dove si sostiene una diversa tesi – non sono esaminabili in questa sede, posto che la Corte verrebbe ad essere obbligata a compiere un’indagine di merito certamente preclusa.

Da tanto consegue che i primi quattro motivi di ricorso sono inammissibili.

6. Con il quinto motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione degli artt. 1362,1363,1366,1367 e 1370 c.c., in relazione alla clausola n. 5) dell’atto di transazione concluso tra le parti.

Rileva la società ricorrente, dopo aver trascritto il contenuto della menzionata clausola ed aver indicato come il Tribunale l’aveva interpretata, che la Corte d’appello ha fondato la propria decisione sull’affermazione secondo cui non era scontato che l’Ente pubblico dovesse far eseguire nuove opere. In realtà, il contenuto centrale dell’atto di transazione risiedeva nella rinuncia, da parte della società ricorrente, al maggiore credito richiesto (Lire 32.872.245.160 alla data dell’11 maggio 1989), che veniva limitato nella minore somma di Lire 10.508.000.000 fino al 31 dicembre 1991; in cambio di ciò, l’Amministrazione si impegnava ad estendere i lavori fino al c.d. sesto quinto dell’importo contrattuale (Lire 12 miliardi).

7. Con il sesto motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), violazione dell’art. 112 c.p.c. e del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.

Secondo la società ricorrente, l’interpretazione della clausola suindicata da parte della Corte d’appello nel senso che l’appalto non poteva essere esteso per mancanza di opere da eseguire sarebbe

“estranea alla materia del contendere”. Ed infatti, a fronte della domanda avanzata dalla società ricorrente in primo grado, la USL n. (OMISSIS) di Piacenza, nel costituirsi in giudizio, l’aveva contestata perchè “gli ulteriori lavori eseguiti oltre quelli per Lire 3.948.970.000 sarebbero stati assegnati a seguito di nuove gare”. Dal contenuto di tale atto difensivo risulterebbe chiaro, invece, che la contestazione riguardava solo la valutazione dell’ammontare dei lavori oggetto di affidamento, per cui l’interpretazione datane dalla Corte di merito sarebbe tale da violare il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.

8. Con il settimo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), violazione del principio del contraddittorio di cui all’art. 111 Cost. ed all’art. 101 c.p.c..

Osserva la società ricorrente che la sentenza impugnata, nel dare per pacifica la circostanza per cui non erano stati affidati ad altra impresa i lavori oggetto della clausola n. 5) dell’atto di transazione, avrebbe deciso la causa “a sorpresa”, violando il principio del contraddittorio. Se la Corte d’appello avesse suscitato il contraddittorio sul punto, la parte creditrice avrebbe potuto dimostrare la falsità degli assunti difensivi della Regione.

9. I motivi quinto, sesto e settimo, sebbene tra loro differenti, vanno trattati congiuntamente, perchè tutti sono concentrati sulla seconda parte della motivazione della sentenza in esame, avente ad oggetto la domanda della s.p.a. M. & C. di risarcimento danni per il mancato guadagno conseguente all’omesso affidamento di ulteriori lavori, affidamento al quale la USL si era impegnata in forza del noto accordo transattivo più volte richiamato.

9.1. Occorre innanzitutto premettere che, alla luce di costante giurisprudenza di questa Corte, l’attività di interpretazione dei contratti è rimessa al giudice di merito, la cui valutazione è normalmente sottratta al sindacato di legittimità se non in caso di macroscopici, evidenti errori.

E’ stato detto che in tema di interpretazione del contratto, il sindacato di legittimità non può investire il risultato interpretativo in sè, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ma afferisce solo alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica e della coerenza e logicità della motivazione addotta, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati (così la sentenza 10 febbraio 2015, n. 2465, in linea con un pacifico orientamento). Si è quindi affermato che “non può trovare ingresso in sede di legittimità la critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca esclusivamente nella prospettazione di una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto già dallo stesso esaminati (sentenze 27 marzo 2007, n. 7500, e 30 aprile 2010, n. 10554)”; per sottrarsi al sindacato di legittimità, quindi, “l’interpretazione data dal giudice di merito ad un contratto non deve essere l’unica possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni; sicchè, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto quella poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra” (sentenza 26 maggio 2016, n. 10891).

9.2. Ciò premesso, si osserva che la motivazione della Corte d’appello si regge su due affermazioni: l’una di stretta interpretazione della clausola n. 5 dell’atto di transazione e l’altra di fatto. Il primo passaggio (p. 15 della sentenza) interpreta il contratto e perviene alla conclusione che non sussisteva alcun diritto, in capo alla s.p.a. M. & C., di ottenere l’appalto di ulteriori lavori fino alla concorrenza di spesa di 12 miliardi di lire, dovendosi quella somma ritenere il limite insuperabile di spesa ed escludendo in tal modo che l’Amministrazione si fosse impegnata a pagare “anche opere da non eseguire o non necessarie”. Il secondo passaggio (p. 16 della sentenza) muove da un accertamento di fatto e cioè che non vi era prova che la USL “avesse affidato ad altra impresa lavori oggetto della clausola in questione”; donde l’esclusione di qualsiasi inadempimento della parte pubblica.

A fronte di simile ricostruzione, i motivi quinto e sesto si risolvono nell’evidente sollecitazione di questa Corte ad un nuovo esame del merito. Il quinto, infatti, contesta l’interpretazione dell’art. 5 e sostiene che il conferimento di ulteriori lavori fino alla somma suindicata era il corrispettivo della rinuncia all’ulteriore credito per interessi; il sesto sostiene che gli ulteriori lavori erano stati svolti ed affidati ad altri.

Entrambe le doglianze, però, travalicano i limiti del sindacato di legittimità, sottoponendo a questa Corte una richiesta che esorbita dai suoi compiti, non potendosi contestare la ricostruzione dei fatti compiuta dalla Corte d’appello.

Quanto al settimo motivo, la Corte osserva che il richiamo all’art. 101 c.p.c., esplicitato nell’affermazione per cui la decisione sarebbe stata assunta a sorpresa, non è conferente nel caso in esame. La censura, infatti, si riferisce chiaramente, sebbene non in modo espresso, alla modifica dell’art. 101 cit. introdotta dalla L. 18 giugno 2009, n. 69. La norma, però, non è applicabile nella fattispecie ratione temporis, poichè l’odierno giudizio è stato introdotto con citazione del 13 luglio 1999, sicchè non può essere utilmente invocata nel giudizio odierno.

10. Il ricorso, pertanto, è rigettato.

A tale esito segue la condanna della società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55, nei confronti della Regione Emilia-Romagna.

Nei confronti delle altre due parti controricorrenti, cioè la AUSL di Piacenza e la Gestione liquidatoria della disciolta USL n. (OMISSIS) di Piacenza, le spese del presente grado di giudizio possono essere compensate, posto che era stato riconosciuto il difetto di legittimazione passiva di entrambe fin dal giudizio di primo grado, per cui le stesse avrebbero anche potuto omettere ogni ulteriore attività difensiva in questa sede.

Sussistono inoltre le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento al pagamento delle spese del giudizio di cassazione nei confronti della Regione Emilia-Romagna, liquidate in complessivi Euro 13.200, di cui Euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.

Compensa le spese del giudizio di cassazione in relazione alle altre due parti controricorrenti.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 13 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 21 settembre 2017

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