Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21930 del 09/10/2020

Cassazione civile sez. III, 09/10/2020, (ud. 30/06/2020, dep. 09/10/2020), n.21930

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 28902/19 proposto da:

-) C.Y., elettivamente domiciliato a Roma, v. Pietro

Borsieri 12, presso l’avvocato Angelo Averni, rappresentato

dall’avv. Federico Donegatti in virtù di procura speciale in calce

al ricorso;

– ricorrente –

contro

-) Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Venezia 24.6.2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30 giugno 2020 dal Consigliere relatore Dott. ROSSETTI Marco.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. C.Y., cittadino senegalese, chiese alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis).

2. A fondamento dell’istanza dedusse di avere lasciato il proprio Paese poichè 14 anni fa (nel 2006) era stato catturato da un gruppo di ribelli denominato Diakitè; sfuggito ai rapitori, riparò in Gambia, dove rimase fino al 2011; rientrato in Senegal, il ribelli tornarono a cercarlo, e non trovandolo uccisero il di lui padre; egli allora riparò nuovamente in Gambia, ma qui venne riconosciuto da un appartenente al gruppo dei ribelli, sicchè per timore fuggì anche dal Gambia, recandosi prima in Mali, poi in Burkina Faso, quindi in Nigeria ed in Libia, da dove raggiunse l’Italia quattro anni fa.

3. La Commissione Territoriale rigettò l’istanza.

Avverso tale provvedimento C.Y. propose, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35, ricorso dinanzi al Tribunale di Venezia, che la rigetto con ordinanza 26.12.2017.

Tale ordinanza, appellata dal soccombente, è stata confermata dalla Corte d’appello di Venezia con sentenza 24.6.2019. tu, Quest’ultima ritenne che:

-) l’atto d’appello non conteneva nessuna reale critica, e anzi “nemmeno si confrontava” con la sentenza di primo grado, nella parte in cui aveva ritenuto illogiche e contraddittorie le circostanze narrate dall’appellante;

-) che in ogni caso l’appellante non aveva “ottemperato ad alcuno dei precetti” dettati a suo carico dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3;

-) che l’appellante non poteva dolersi del mancato utilizzo dei poteri istruttori officiosi dell’autorità giudiziaria, perchè per attivare il ricorso a tali poteri (con riferimento alla domanda di concessione dello status di rifugiato ed a quella di concessione della protezione sussidiaria per le prime due ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14) “occorre anzitutto la credibilità delle dichiarazioni del ricorrente e, in ogni caso, la concreta possibilità di espletamento di una determinata attività istruttoria”, che non sarebbe possibile compiere a fronte della indeterminatezza del racconto del richiedente asilo;

-) che la protezione sussidiaria per l’ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), non potesse essere concessa, poichè in Senegal non sussisteva una situazione di violenza generalizzata derivante da conflitto armato; che il Senegal, pur essendo un paese povero, era una delle più stabili democrazie africane; che in esso si svolgevano regolarmente elezioni politiche democratiche; che nella regione del Casamance sin dal 2014 era in atto una tregua tra forze governative e gruppi indipendentisti; che in ogni caso in quella regione si registravano solo “occasionali schermaglie” tra le une e gli altri, non equiparabili ad una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato (per tutte queste informazioni la corte d’appello cita la rivista “Limes”; la rivista “Internazionale”; fonti del Dipartimento di Stato americano; un rapporto del Comitato Internazionale della Croce Rossa);

-) che il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari non potesse essere concesso, per varie concorrenti ragioni:

-) sia perchè l’inattendibilità soggettiva dell’appellante impediva di porre a fondamento della concessione della protezione umanitaria i fatti da lui narrati;

-) sia perchè l’appellante non aveva dedotto, a fondamento della relativa domanda, motivi di vulnerabilità soggettiva diversi da quelli posti a fondamento della domanda di concessione dello status di rifugiato e di protezione sussidiaria;

-) sia perchè la circostanza che l’appellante fosse affetto da epatite B9 non lo poneva in una condizione di “vulnerabilità”, trattandosi di patologia colonizzata con la necessità di saltuarie cure di mantenimento, da effettuarsi con farmaci reperibili anche in Senegal;

-) sia perchè non era stata allegata dall’appellante l’avvenuta integrazione nel nostro paese, la quale non poteva ritenersi sussistente per il solo fatto che egli avesse svolto attività lavorativa;

-) sia perchè la situazione del Senegal sopra descritta non avrebbe comportato, in caso di rimpatrio, una lesione dei suoi diritti inviolabili;

-) sia perchè la protezione umanitaria è un istituto necessariamente transitorio, in quanto destinato a fronteggiare situazioni temporanee (che evidentemente la corte d’appello ha ritenuto insussistenti, senza però dirlo espressamente).

4. Il provvedimento della Corte d’appello è stato impugnato per cassazione da C.Y. con ricorso fondato su cinque motivi.

Il Ministero dell’Interno non si è difeso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8. Il motivo investe la sentenza d’appello nella parte in cui ha ritenuto inattendibile il racconto del richiedente asilo.

L’illustrazione del motivo è articolata in vari profili di censura, così riassumibili:

a) la corte d’appello ha esaminato aspetti secondari della vicenda, e omesso di valutarne gli elementi essenziali;

b) la corte d’appello ha errato nel ritenere che il racconto dell’appellante non indicasse una precisa cronologia degli eventi, in quanto il racconto conteneva date e riferimenti cronologici precisi;

b) la corte d’appello ha errato nel ritenere che il racconto dell’appellante fosse generico, in quanto il racconto conteneva invece tutte le precisazioni richieste; erronea, in particolare, era l’affermazione della corte d’appello secondo cui l’appellante non aveva saputo fornire dettagli relativi alla sua cattura, alle condizioni della sua prigionia, alle circostanze della sua fuga;

c) la corte d’appello non aveva considerato un elemento decisivo rappresentato dalla uccisione del padre dell’appellante da parte dei ribelli;

d) la corte d’appello aveva errato nel ritenere il suo racconto “contraddittorio”;

e) la corte d’appello aveva errato nel ritenere che, a causa del tempo trascorso dal rapimento (avvenuto nel 2006) il pericolo per l’appellante nel caso di rimpatrio non fosse più attuale; tale pericolo invece esisteva ed era rappresentato dal rischio di una rappresaglia da parte dei ribelli;

f) la corte d’appello non aveva considerato che l’appellante, fornendo dinanzi al tribunale ulteriori precisazioni non fornite dinanzi la commissione territoriale, lungi dall’avere in tal modo reso dichiarazioni contraddittorie, aveva anzi dimostrato di collaborare lealmente con l’autorità (in particolare, innanzi al tribunale l’odierno ricorrente aveva per la prima volta dichiarato di essere egli stesso un ribelle).

Dopo aver esposto queste censure, a partire da pagina 16 l’illustrazione del motivo passa ad esporre i principi che presiedono al giudizio di attendibilità del richiedente asilo, ricordando come nel formulare tale giudizio il giudice ha il dovere di cooperazione istruttoria; non può limitarsi a considerare soltanto la maggiore o minore specificità del racconto; deve effettuare tutti i riscontri richiesti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3; non può escludere la credibilità sulla base di mere discordanze o contraddizioni su aspetti secondari o isolati.

Infine, alle pagine 18-19, il ricorrente conclude l’illustrazione del motivo sostenendo che, in base ad un rapporto del “dipartimento degli Stati Uniti” (forse voleva dire “Dipartimento di Stato” degli USA), in Senegal i cittadini non godono di protezione effettiva da parte dello Stato, dal momento che le forze di sicurezza sono solite perpetrare abusi e manca un apparato giudiziario indipendente.

1.1. Il motivo è fondato.

La sentenza impugnata (pp. 4-5, p.p. 3 e 3.1) ha confermato il giudizio di inattendibilità del richiedente asilo, già formulato dal Tribunale, sulla base essenzialmente di tre argomenti:

a) il ricorrente non aveva saputo riferire particolari relativi alla sua cattura da parte dei ribelli ed alla successiva fuga;

b) il ricorrente non aveva saputo riferire una esatta cronologia degli accadimenti;

c) era inverosimile che un persona potesse essere riconosciuta per caso da uno dei suoi rapitori dieci anni dopo il rapimento ed in un altro Paese.

E tuttavia i giudizi sub (a) e (b) non sembrano coerenti con quanto riferito dal ricorrente, e trascritto alle pp. 9-16 del ricorso.

-Sussiste, pertanto, la lamentata violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. (a) ed (e), dal momento che la sentenza impugnata, per un verso, ha sostanzialmente eluso le puntuali censure mosse alla sentenza di primo grado con l’atto d’appello; per altro verso ha valutato in modo atomistico, e non già complessivamente, i fatti narrati dal richiedente asilo. La sentenza va dunque cassata con rinvio alla Corte d’appello di Venezia, affinchè formuli ex novo il giudizio di attendibilità del richiedente asilo, facendosi carico di esaminare analiticamente i rilievi mossi dall’appellante circa la esattezza della cronologia riferita e la analiticità del suo racconto.

2. Gli ulteriori motivi di ricorso restano assorbiti.

PQM

(-) accoglie il primo motivo di ricorso; dichiara assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Venezia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Terza Sezione civile della Corte di cassazione, il 30 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 ottobre 2020

 

 

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