Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21929 del 09/10/2020

Cassazione civile sez. III, 09/10/2020, (ud. 30/06/2020, dep. 09/10/2020), n.21929

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 28411/19 proposto da:

-) U.Z., elettivamente domiciliato a Roma, v. Emilio Faà di

Bruno n. 14, presso l’avvocato Marta Di Tullio che lo difende in

virtù di procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

-) Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Venezia 20.3.2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30 giugno 2020 dal Consigliere relatore Dott. ROSSETTI Marco.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. U.Z. (che il difensore identifica come “nato il (OMISSIS) alias nato il (OMISSIS)), cittadino pakistano, chiese alla competente commissione

territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6, (nel testo applicabile ratione temporis).

2. A fondamento dell’istanza dedusse di avere lasciato il proprio Paese perchè, proveniente da una famiglia molto povera di religione sunnita, 10 anni fa si innamorò di una ragazza benestante; la loro relazione venne osteggiata dalla famiglia della donna, il cui padre avvelenò la ragazza, “facendo ricadere la colpa sul ricorrente”.

3. La Commissione Territoriale rigettò l’istanza.

Avverso tale provvedimento U.Z. propose, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35, ricorso dinanzi al Tribunale di Venezia, che la rigettò con ordinanza 8.5.2017.

Tale ordinanza, appellata dal soccombente, è stata confermata dalla Corte d’appello di Venezia con sentenza 20.3.2019.

Quest’ultima ritenne che:

-) lo status di rifugiato non poteva essere concesso perchè, “a prescindere dalla credibilità del racconto”, il pericolo invocato dall’appellante derivava dalla possibilità di essere arrestato per omicidio; per contro l’appellante aveva “solo adombrato l’esistenza di un regime di oppressione verso chi, come lui, professava la religione sunnita”;

-) in ogni caso, l’intero racconto dell’appellante non era credibile perchè contraddittorio, generico ed inverosimile;

-) tale inattendibilità derivava, ad avviso della corte d’appello dalle seguenti circostanze: non era plausibile che l’appellante non avesse saputo descrivere nulla della ragazza di cui si era innamorato; era inverosimile che la famiglia della donna, nonostante i due si incontrassero in casa di quest’ultima, si fosse accorta della relazione solo dopo un anno dal suo inizio; non era verosimile che l’appellante avesse lasciato il proprio paese dopo un anno dalla morte della ragazza, avvelenata dal padre; l’appellante non aveva saputo giustificare tali contraddizioni; non era plausibile che l’appellante non avesse saputo nemmeno indicare quando la ragazza era stata uccisa dai padre; in ogni caso, poichè l’appellante era rimasto in Pakistan per un anno dopo l’omicidio della propria fidanzata, senza subire alcun pregiudizio, doveva ragionevolmente escludersi che in quel periodo di tempo fosse stato perseguitato o esposto al pericolo di un ingiusto arresto;

-) la protezione sussidiaria per le ipotesi di cui alle lettere a), e b), di cui a D.Lgs. n. 251 del 2007 non potesse essere concessa a causa della già rilevate in unità dell’appellante;

-) la protezione sussidiaria per l’ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c, non potesse essere concessa perchè in Pakistan non esisteva una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato; la corte d’appello rilevava al riguardo, citando numerose fonti internazionali, la più aggiornata delle quali risalente giugno 2018, che in Pakistan pur esistendo tensioni che possono sfociare in violenza, si era registrata negli ultimi anni una progressiva diminuzione degli atti violenti, una riduzione degli attentati rivendicati dal gruppo terrorista dei talebani (TTP); che in ogni caso la sussistenza del rischio di attentati terroristici non poteva equipararsi a una situazione di violenza indiscriminata non controllabile dall’autorità statale;

-) il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari non potesse essere concessa per due ragioni: sia perchè, alla luce delle considerazioni precedentemente svolte sulla situazione geopolitica del Pakistan, doveva escludersi che un cittadino pakistano fosse, per il solo fatto di provenire dal Punjab, una persona vulnerabile; sia perchè l’inattendibilità del racconto fatto dall’appellante impediva di porre la sua storia personale a fondamento e giustificazione del rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

4. Il provvedimento della Corte d’appello è stato impugnato per cassazione da U.Z. con ricorso fondato su cinque motivi.

Il Ministero dell’Interno non si è difeso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo il ricorrente lamenta la nullità della sentenza.

Sostiene che essa è nulla perchè nell’epigrafe reca la dizione “tribunale ordinario di Vicenza”.

1.1. Il motivo è infondato.

Dallo svolgimento del processo, dai motivi della decisione, dalla indicazione delle parti come “appellante” ed “appellato”; dalla chiara indicazione dei tre membri componenti il collegio giudicante; dal dispositivo, da tutto il contesto del provvedimento impugnato si desume chiaramente che esso è stato adottato dalla Corte d’appello di Venezia, e che l’intestazione “tribunale ordinario di Vicenza” costituisce un mero lapsus calami, facilmente emendabile con il procedimento di correzione.

Del resto, se davvero l’appellante avesse proposto il suo gravame dinanzi al Tribunale di Vicenza, la sentenza qui impugnata si dovrebbe cassare senza rinvio, con la conseguenza che egli non avrebbe nemmeno interesse a proporre questo motivo di ricorso.

2. Col secondo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la “violazione e falsa applicazione delle norme di diritto”.

L’illustrazione del motivo, concentrata in poche righe, si compendia nella seguente affermazione: la corte d’appello “non ha formulato un percorso logico-argomentativo; non ha analizzato la domanda alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel paese di origine del richiedente asilo”.

2.1. Nella parte in cui lamenta la sussistenza di un “vizio logico – argomentativo” il motivo è inammissibile, non essendo più denunciabile in sede di legittimità il vizio di insufficienza della motivazione.

2.2. Nella parte restante il motivo è del pari inammissibile perchè puramente assertivo.

La corte d’appello infatti ha ricostruito la situazione sociale e politica del Pakistan richiamando un gran numero di fonti, alcune delle quali molto autorevoli, ed a tali valutazioni il ricorrente non contrappone alcuna censura, limitandosi a sostenere che le informazioni utilizzate dalla corte “non erano precise e aggiornate”.

3. Col terzo -motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5.

Sostiene che la corte d’appello, nel reputare inattendibile il suo racconto, avrebbe violato i criteri di valutazione dell’attendibilità del richiedente asilo, stabiliti dalla norma sopra indicata.

Il motivo è così concepito:

-) in una prima parte il ricorrente trascrive il testo del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3;

-) a seguire, il ricorrente trascrive la massima della decisione pronunciata da Cass. 27310/08;

-) quindi, il motivo si conclude con le seguenti parole: “in tale contesto normativo giurisprudenziale, la superficiale analisi effettuata dalla corte sulla condizione sociopolitica del Pakistan e la mancata considerazione degli elementi descritti, portano alla censura della sentenza impugnata per violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5”.

3.1. Il motivo è inammissibile perchè privo di qualsiasi concreta censura.

In esso infatti il ricorrente si limita in sostanza a denunciare che la Corte d’appello avrebbe fatto male a non credergli (censura inammissibile in questa sede), senza indicare per quali ragioni e sotto quali aspetti avrebbe violato le regole che presiedono al giudizio di attendibilità (unica censura teoricamente ipotizzabile nella presente sede di legittimità).

Il motivo, inoltre, è contraddittorio, perchè il ricorrente esordisce affermando che la corte d’appello avrebbe malamente compiuto il giudizio sulla attendibilità soggettiva del richiedente, e si conclude affermando che la corte d’appello avrebbe “compiuto una superficiale analisi della condizione sociopolitica del Pakistan”: il che impedisce di stabilire se, con la censura in esame, il ricorrente abbia inteso censurare il giudizio di inattendibilità del richiedente, oppure la violazione del dovere di cooperazione istruttoria da parte del giudice.

– 4. Col quarto motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

L’illustrazione del motivo è così concepita: dopo una lunga premessa nella quale vengono ricordati i principi affermati da questa corte circa il dovere di cooperazione istruttoria, e i requisiti richiesti dalla legge per accordare la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), il ricorrente conclude che la sentenza impugnata è erronea perchè:

-) ha omesso di indagare adeguatamente le condizioni effettive del paese;

-) ha omesso di considerare le circostanze dedotte dal ricorrente;

-) non tiene in nessun conto le considerazioni svolte dal ricorrente.

4.1. Il motivo è inammissibile.

La corte d’appello, infatti, non ha affermato un principio contrastante con la legge: ha affermato che la protezione sussidiaria per l’ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), può essere accordata quando nel paese di origine vi sia una situazione di violenza indiscriminata; ha negato che in Pakistan vi fosse tale situazione; ha di conseguenza rigettato la domanda di protezione. L’affermazione in punto di diritto è dunque corretta.

Quanto alle deduzioni secondo cui la corte avrebbe “omesso di indagare adeguatamente le condizioni effettive” del Pakistan e di “considerare le circostanze dedotte dal ricorrente” esse sono totalmente prive di illustrazione, e come tali inammissibili. Non è dato infatti sapere quali sarebbero le “circostanze e considerazioni” dedotte dal ricorrente, e non prese in considerazione dalla Corte d’appello.

5. Col quinto motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5.

L’illustrazione del motivo è così concepita:

-) in una prima parte il ricorrente richiama i principi giurisprudenziali secondo cui la protezione umanitaria è una misura residuale; essa presuppone la sussistenza di una situazione di vulnerabilità; i presupposti della protezione umanitaria sono diversi da quelli della protezione sussidiaria;

-) dopo aver detto ciò, il ricorrente conclude la propria censura osservando che la corte d’appello avrebbe “errato nell’omettere l’esame della domanda di protezione umanitaria”; che avrebbe dovuto invece verificare i presupposti di tale domanda “considerando anche il collegamento tra la situazione soggettiva e la condizione generale del paese in rapporto alla denuncia ricevuta”.

5.1. Il motivo è inammissibile.

Come i precedenti, esso è totalmente privo di illustrazione.

In particolare il ricorrente non precisa in cosa consisterebbe la sua condizione di vulnerabilità; non censura l’affermazione compiuta dalla corte d’appello secondo cui nella zona di sua provenienza non sussiste una violazione dei diritti umani al di sotto del minimo inviolabile; non censura l’affermazione secondo cui l’inattendibilità soggettiva del richiedente asilo non consentiva di accertare la sussistenza di una condizione di vulnerabilità.

5.2. Nonostante l’inammissibilità del ricorso, il Collegio ritiene di dovere comunque correggere la motivazione della sentenza impugnata (fermo restandone il dispositivo), ex art. 384 c.p.c., comma 4, nella parte in cui parrebbe avere affermato (p. 14) che l’inattendibilità del richiedente protezione preclude in ogni caso il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

L’inattendibilità dei fatti narrati dal richiedente, infatti, è preclusiva di ogni forma di protezione quando cada sulla sua provenienza geografica o sulla sua stessa identità.

Quando, per contro, l’inattendibilità investa il vissuto posto a fondamento della domanda di protezione, essa potrà giustificare il rigetto della domanda di protezione solo a condizione che il rimpatrio non debba avvenire verso Paesi nei quali sia esposta a rischio la vita o l’incolumità fisica del richiedente. In tal caso, infatti, il principio sovranazionale del non refoulement, di cui all’art. 33 della Convenzione di Ginevra del 1951, impedirebbe il respingimento anche del richiedente non attendibile, salvo che egli costituisca un pericolo per la sicurezza del Paese ospitante o una minaccia per la collettività, giusta la previsione di cui al comma 2 del citato art. 33 della Convenzione di Ginevra.

6. Non è luogo a provvedere sulle spese, attesa la indefensio dell’amministrazione.

6.1. La circostanza che il ricorrente sia stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato esclude l’obbligo del pagamento, da parte sua, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, (nel testo introdotto dal L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), in virtù della prenotazione a debito prevista dal combinato disposto di cui agli artt. 11 e 131 del decreto sopra ricordato (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 9538 del 12/04/2017, Rv. 643826 – 01), salvo che la suddetta ammissione non sia stata ancora, o venisse in seguito, revocata dal giudice a ciò competente.

P.Q.M.

(-) dichiara inammissibile il ricorso;

(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Terza Sezione civile della Corte di cassazione, il 30 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 ottobre 2020

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