Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21927 del 30/07/2021

Cassazione civile sez. II, 30/07/2021, (ud. 30/03/2021, dep. 30/07/2021), n.21927

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 19444/2016 R.G. proposto da:

B.A., rappresentata e difesa dagli avv.ti Francesco Zeoli e

Luigi Noto, con domicilio in Napoli, alla Via Poerio 89/A.

– ricorrente –

contro

F.D., titolare dell’impresa individuale TERMOIDRAULICA,

rappresentato e difeso dall’avv. Antonello Romano, con domicilio in

Napoli, alla Via Crispi n. 31;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli n. 2256/2016,

depositata in data 1.6.2016.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 30.3.2021 dal

Consigliere Fortunato Giuseppe.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

F.D., titolare dell’impresa individuale Termoelettrica, ha ottenuto il D.I. n. 7920 del 2010 per l’importo di Euro 39.600,00, per ottenere il pagamento del corrispettivo dell’esecuzione di lavori di ristrutturazione di un appartamento in proprietà di B.A., sito in (OMISSIS).

L’ingiunta ha proposto opposizione, contestando l’autenticità delle sottoscrizioni apposte in calce al contratto prodotto nella fase monitoria, chiedendo il rigetto della domanda.

Il tribunale, ritenuto che il creditore non avesse dimostrato il perfezionamento dell’appalto, ha revocato l’ingiunzione, respingendo integralmente la domanda monitoria.

Su appello da F.D., la Corte distrettuale di Napoli ha accolto la richiesta di pagamento per il minor importo di Euro 27.500,00, in considerazione degli accolti versati dalla committente, ponendo in rilievo che la B. aveva comunque riconosciuto in primo grado che l’appalto era stato concluso verbalmente per un prezzo onnicomprensivo di Euro 25.000,00, ed osservando che il perfezionamento del contratto e l’entità del corrispettivo trovavano conferma negli stati di avanzamento dei lavori, sottoscritti dal direttore dei lavori nominato dalla committente, e da una transazione stipulata da B.G., che era stata ratificata dalla ricorrente.

La cassazione della sentenza è chiesta da B.A. con ricorso in tre motivi, illustrati con memoria.

F.D. resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo censura la violazione dell’art. 214 c.p.c. e art. 2697 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, contestando alla Corte territoriale di aver illegittimamente desunto la prova del contratto d’appalto da un documento disconosciuto e non sottoposto a verificazione, oltre che dalla transazione del 26.8.2008, sottoscritta dal solo B.G., privo del potere di contrarre a nome e nell’interesse della ricorrente. Neppure il copia fatture per acquisto materiale poteva dimostrare la conclusione del contratto, trattandosi di documento predisposto dall’appaltatore, mai portato a conoscenza della committente.

Il secondo motivo denuncia la violazione dell’art. 229 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 Nel sostenere che la ricorrente aveva ammesso di aver concluso verbalmente il contratto di appalto, il giudice distrettuale avrebbe omesso di considerare che gli atti di causa non erano stati sottoscritti dalla parte personalmente e non avevano valenza confessoria, e che inoltre la ricorrente aveva disconosciuto, nelle memorie ex art. 183 c.p.c. e nelle note conclusionali, tutti i documenti posti a fondamento dell’ingiunzione, inclusi gli stati di avanzamento lavori, peraltro illegittimamente sottoscritti dal direttore dei lavori, al quale non era stato conferito alcun incarico professionale.

I due motivi, che possono esaminarsi congiuntamente, sono inammissibili.

La Corte territoriale ha ritenuto di valorizzare, ai fini della prova della conclusione dell’appalto, non già il contratto scritto depositato in fase monitoria – di cui ha dichiarato espressamente l’inutilizzabilità, stante l’avvenuto disconoscimento della sottoscrizione da parte della B. – ma l’atteggiamento difensivo di quest’ultima, che aveva comunque ammesso, nella comparsa di costituzione di primo grado, che l’affidamento dei lavori era avvenuto in forma verbale, per un prezzo forfettario di Euro 25.000,00 (cfr. sentenza, pag. 5).

In presenza di una specifica ammissione di parte, il giudice era vincolato a ritenere provata la conclusione del contratto, nonostante l’avvenuto disconoscimento della scrittura depositata in fase monitoria, che – per quanto detto – non è stato presa in considerazione quale prova del rapporto sostanziale controverso.

La non contestazione – il cui accertamento attiene all’interpretazione del contenuto delle allegazioni difensive e, in quanto tale, è sindacabile solo per vizi della motivazione (Cass. 27490/2019; Cass. 10182/2007; Cass. 13686/2001) – costituisce un comportamento univocamente rilevante ai fini della determinazione dell’oggetto del giudizio, con effetti vincolanti per il giudice, che dovrà astenersi da qualsivoglia controllo probatorio del fatto non contestato e dovrà ritenerlo sussistente, proprio in quanto l’atteggiamento difensivo delle parti, valutato alla stregua dell’esposta regola di condotta processuale, espunge il fatto stesso dall’ambito degli accertamenti richiesti (Cass. s.u. 761/2002; Cass. 12517/2016; Cass. 3727/2012).

Non era richiesta – a tal fine – la confessione della committente in merito alla conclusione del contratto (confesione che già di per sé avrebbe vincolato il giudice, in quanto avente effetto di prova legale), ed era quindi irrilevante che gli atti difensivi non fossero stati sottoscritti dalla parte personalmente.

In ogni caso, secondo l’apprezzamento della Corte territoriale, l’affidamento dei lavori era comprovato anche dallo stato di avanzamento redatti dal direttore dei lavori, nominato dalla stessa committente (documenti che la pronuncia ha ritenuto muniti di piena efficacia probatoria, in quanto non oggetto di alcun rilievo da parte di B.A.: cfr. pag. 5) e dalla transazione intervenuta tra B.G. e l’appaltatore, con cui era stato definitivamente regolato il rapporto contrattuale.

Quanto al fatto che B.G. fosse privo del potere di stipulare in nome e per conto della committente, legittimamente la sentenza ha ravvisato una ratifica della transazione nel fatto che la committente aveva spontaneamente portato a deconto del residuo credito propri i versamenti eseguiti da B.G. in esecuzione della transazione, mostrando di voler far proprie le relative disposizioni e di voler sanare l’originario difetto di rappresentanza. La ratifica della transazione avente ad oggetto controversie relative a rapporti obbligatori per i quali non è richiesta la forma scritta (necessaria, invece, se si controverta di rapporti giuridici concernenti beni immobili o diritti reali immobiliari -) può essere, difatti, desunta anche da elementi presuntivi, e, per quanto riguarda la ratifica, anche da “facta concludentia”, quale il comportamento del “dominus negotii”, che dimostri l’approvazione dell’operato di chi abbia agito a suo nome, pur in assenza di poteri rappresentativi e anche quando l’adesione della parte rappresentata abbia interessato solo parte del contenuto dispositivo della transazione. Difatti l’esecuzione, anche parziale, manifesta la volontà di avvalersi degli effetti negoziali dell’intera transazione (Cass. 1181/2012; Cass. 10456/2003; Cass. 992/1967). Il relativo accertamento attiene al merito.

2. Il terzo motivo denuncia la violazione dell’art. 2729 c.c., commi 1 e 2, artt. 1657 e 2697 c.c., art. 116 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4.

La Corte distrettuale, nel quantificare l’entità del prezzo dell’appalto, avrebbe impiegato elementi presuntivi privi di univocità, gravità e concordanza (quali gli stati di avanzamento lavori sottoscritti dal direttore dei lavori, la transazione sottoscritta da B.G. in carenza di poteri e la successiva ratifica da parte della ricorrente), omettendo di far ricorso agli usi e alle tariffe vigenti.

La censura è inammissibile per difetto di pertinenza.

Il giudice di merito ha proceduto alla quantificazione del credito non sulla base di elementi presuntivi, ma sulla scorta di documenti in cui era indicato l’ammontare del corrispettivo e del credito finale spettante all’appaltatore (la transazione sottoscritta da B.G. e gli stati di avanzamento lavori; cfr. sentenza, pagg. 5-6), non trovando applicazione l’art. 2729 c.c..

La censura non coglie nel segno neppure riguardo alla violazione dell’art. 2697 c.c.: la norma è invocabile solo ove il giudice abbia posto l’onere della prova a carico di una parte che non ne era gravata in base alla scissione della fattispecie tra fatti costitutivi e mere eccezioni (Cass. 13395/2018; Cass. 26769/2018), non anche per censurare il modo in cui siano state valutare le risultanze di causa e il percorso che abbia condotto il giudice ad accertare i fatti controversi in giudizio.

Stabilito poi che le parti avevano fissato l’ammontare del prezzo dell’appalto in un importo determinato, era precluso il ricorso agli usi o alle tariffe.

La norma dell’art. 1657 c.c., concernente la determinazione giudiziale del corrispettivo dell’appalto, ha carattere dichiaratamente sussidiario e, pertanto, non è applicabile allorché le parti abbiano raggiunto un’intesa sull’entità del compenso spettante all’appaltatore, fissandone l’importo o stabilendo i criteri in base ai quali pervenire alla sua concreta determinazione (Cass. 3208/1988; Cass. 1511/1989).

Il ricorso è quindi inammissibile, con aggravio di spese secondo soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 4500,00 per onorario, oltre ad iva, c.p.a. e rimborso forfettario delle spese generali in misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda sezione civile, il 30 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2021

 

 

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