Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21925 del 21/10/2011

Cassazione civile sez. VI, 21/10/2011, (ud. 29/09/2011, dep. 21/10/2011), n.21925

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

C.V., con domicilio eletto in Roma, via Ludovisi n. 16,

presso l’Avv. Zappalà Pier Luigi, rappresentato e difeso dagli

Avv.ti MAZZUCATO MAURO e Livio Matassa, come da procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

EUROMEC s.r.l., fallita, in persona del curatore pro tempore, con

domicilio eletto in Roma, via Monte delle Gioie n. 13, presso l’Avv.

VALENSISE CAROLINA che la rappresenta e difende unitamente all’Avv.

Paolo Bortoluzzi, come da procura a margine del ricorso;

– controricorrente –

per la cassazione del decreto del Tribunale di Ancona n. 857 R.G.

depositato il 19 gennaio 2010;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

giorno 29 settembre 2011 dal Consigliere relatore Dott. Vittorio

Zanichelli.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Dott.ssa C.V., dottore commercialista, ricorre per cassazione nei confronti del decreto del tribunale che ha rigettato la sua opposizione al decreto di esecutività dello stato passivo del fallimento in epigrafe con il quale il giudice delegato non ha ammesso il suo credito professionale insinuato per Euro 598.869,93 in via privilegiata in quanto l’incarico era stato assegnato in pendenza di procedimento di concordato preventivo senza autorizzazione in violazione della L. Fall., art. 167.

Resiste l’intimata curatela con controricorso.

La causa è stata assegnata alla camera di consiglio in esito al deposito della relazione redatta dal Consigliere Dott. Vittorio Zanichelli con la quale sono stati ravvisati i presupposti di cui all’art. 375 c.p.c..

La ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con i tre motivi di ricorso, che per la loro complementarietà possono essere esaminati congiuntamente, si contesta, sotto il profilo della motivazione e della violazione di legge, il giudizio de tribunale secondo il quale l’autorizzazione sarebbe stata necessaria in quanto l’attività professionale richiesta sarebbe da considerarsi non utile alla conservazione del patrimonio dell’imprenditore e quindi della garanzia dei creditori e quindi il suo conferimento atto eccedente l’ordinaria amministrazione.

I motivi sono manifestamente fondati.

Giova premettere che secondo il principio enunciato in tema dalla Corte “Ai fini della opponibilità alla massa del relativo credito del professionista, l’incarico conferito ad avvocato dall’imprenditore in amministrazione controllata non è da annoverare automaticamente nella categoria degli atti di straordinaria amministrazione e dunque da autorizzarsi dal giudice delegato, ma vanno applicati i seguenti principi: a) escluso che criterio discretivo utile sia quello del rapporto proporzionale tra spese e condizioni dell’impresa, viene in evidenza il solo criterio per cui è atto di ordinaria amministrazione quello connotato dalla pertinenza e idoneità dell’incarico stesso – anche se di costo elevato – allo scopo di conservare e/o risanare l’impresa; b) il criterio di proporzionalità, che pertanto non va ridotto al vaglio della crisi aziendale (che, anzi, a grave crisi ben può correlarsi, come necessario, un radicale intervento disegnato da elevata competenza tecnico-legale), deve invece riferirsi al merito della prestazione, in termini di rapporto di adeguatezza funzionate (o non eccedenza) della stessa alle necessità risanatorie dell’azienda e con giudizio da formulare “ex ante”; c) si deve escludere comunque l’ammissione tra le passività concorsuali le volte in cui l’incarico sia conferito per esigenze personali e dilatorie dell’impresa (auspicante il mero allontanamento della dichiarazione di fallimento) (Cassazione civile, sez. 1^, 8 novembre 2006, n. 23796).

Giova anche sgomberare il campo dai rilievi critici (peraltro in parte giustificati dalla non perspicua tecnica motivazionale del provvedimento impugnato) circa la non attinenza dei rilievi contenuti nel decreto che non si attaglierebbero alla posizione del ricorrente laddove individuano il costo per il concordato dell’attività professionale in “oltre un milione e seicentomila Euro” a fronte di un credito insinuato decisamente inferiore in quanto la motivazione è identica a quella utilizzata per l’analoga posizione di altri professionisti oggetto di separati ricorsi anch’essi al vaglio della Corte e l’importo attiene alla somma delle pretese.

Dovendo dunque valutare la motivazione alla luce degli indicati principi, non può che rilevarsene la carenza sotto il profilo della congruità e della logica dal momento che tutto il ragionamento del giudice del merito è improntato sul costo elevato delle parcelle professionali il cui pagamento gravava sulla procedura e che aveva comportato l’impossibilità di omologazione della proposta a causa dell’imprevista posta passiva.

Ma tale motivazione poggia integralmente su un assunto errato e cioè sull’illiceità della rinuncia dei professionisti a richiedere il pagamento delle loro prestazioni a condizione che il concordato fosse omologato e sul conseguente onere che avrebbe comunque gravato sulla massa.

Tale condizione è infatti pienamente lecita dal momento che i creditori possono disporre come credono del loro credito, sia questo maturato anteriormente all’apertura della procedura che in un momento successivo, e la circostanza che la pretesa sia condizionata all’approvazione favorisce quest’ultima, posto che consente di non tener conto del credito nella quantificazione del fabbisogno concordatario.

Certamente la condizione di cui si tratta ha un rilevanza incondizionata allorquando attiene alla pretesa relativa a crediti maturati anteriormente all’apertura della procedura di concordato in quanto giova alla sua fattibilità mentre non può certo contestarsi il diritto a mantenere ferma la pretesa stessa in caso di mancata approvazione o omologazione e quindi di ritorno dell’imprenditore in bonis o di susseguente fallimento. Diverso è il discorso allorquando il credito nasce in corso di procedura in quanto l’intervento del giudice in caso di atti eccedenti l’ordinaria amministrazione è finalizzato a rendere opponibili gli stessi ai creditori non solo nell’ambito del concordato ma anche nel successivo eventuale fallimento; la ratio di tale intervento è invero quella di far si che degli atti potenzialmente lesivi dell’integrità del patrimonio del debitore siano posti in essere con efficacia nei confronti dei creditori solo quelli non dannosi per i medesimi posto che la situazione di crisi e il rischio di un’evoluzione infausta della stessa impongono cautele particolari a tutela della loro garanzia;

ciò comporta che anche in presenza della rinuncia il giudice debba comunque pronunciarsi con l’autorizzazione.

Nella motivazione, tuttavia, manca qualunque valutazione circa l’utilità dell’intervento professionale a costo zero ai fini della riuscita del concordato e un suo raffronto con il rischio di appesantimento del debito che la mancata riuscita del medesimo avrebbe comportato, mentre si pone incongruamente l’accento unicamente sul rapporto tra l’imprevista materializzazione di costo erroneamente dato per certo e il patrimonio disponibile attribuendo al primo la causa del fallimento.

Tale motivazione è in definitiva certamente errata laddove esclude la validità della rinuncia condizionata al credito professionale e insufficiente laddove omette di valutare se, prescindendo dal costo dell’opera professionale, questa si presentasse come certamente utile al fine della preservazione del patrimonio e della concreta possibilità dell’utile gestione del concordato.

Il ricorso deve dunque essere accolto e cassato il decreto impugnato con rinvio della causa, anche per le spese, al giudice a quo.

P.Q.M.

la Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e rinvia la causa, anche per le spese, al Tribunale di Ancona in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 29 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 21 ottobre 2011

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