Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21925 del 21/09/2017

Cassazione civile, sez. III, 21/09/2017, (ud. 23/05/2017, dep.21/09/2017),  n. 21925

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5260/2015 proposto da:

D.R.R., P.G., P.R., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA PRATI FISCALI 258, presso lo studio

dell’avvocato PIERGIORGIO BERARDI, che li rappresenta e difende

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

C.G., elettivamente domiciliato in ROMA, CIRC.NE CLODIA

29, presso lo studio dell’avvocato MARIA ROSARIA COSTA,

rappresentato e difeso dall’avvocato VINCENZO GURRADO giusta procura

in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1/2015 del TRIBUNALE di MATERA, depositata il

05/01/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

23/05/2017 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PELLECCHIA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Nel 2008, C.G. convenne in giudizio P.G. e i di lui genitori, P.R. e D.R.R., al fine di sentirli condannare al risarcimento, anche in via equitativa, dei danni subiti per il furto di attrezzature e di animali compiuto nei suo confronti da P.G., minore all’epoca dei fatti.

Si costituirono in giudizio i convenuti, contestando nel merito l’infondatezza della domanda attorea per mancanza di prova in ordine alla responsabilità del P., nonchè in ordine all’entità del danno.

Il Giudice di Pace di San Mauro Forte, con sentenza n. 24/2009, accolse la domanda attorea, ritenne che la prova della responsabilità del P. risultasse dalla documentazione del procedimento penale celebrato nei suoi confronti e che la parte convenuta non avesse fornito alcun elemento idoneo a smentire la tesi attorea confermata dalla suddetta documentazione.

Condannò quindi P.G., P.R. e D.R.R., in solido fra loro, al risarcimento del danno in favore di C.G., liquidato in Euro 2.490,00, facendo riferimento documentazione in atti e dei prezzi medi di mercato.

2. La decisione, per quel che qui ancora rileva, è stata confermata dal Tribunale di Matera, con sentenza n. 1/2015 del 5 gennaio 2015.

Il Tribunale ha ritenuto che l’errata indicazione, nel corpo della motivazione della sentenza del Giudice di Pace, del nome di battesimo del minore responsabile del furto, confuso con quello de padre R., delineasse un mero errore materiale, emendabile ai sensi dell’art. 287 c.p.c., senza intaccare il decisum reso dal primo giudice. Ha quindi disposto la correzione della statuizione di primo grado.

Nel merito, ha ritenuto che la condanna del P. e dei genitori fosse giustificata da una serie di inequivoci elementi indiziari e, in particolare, dal verbale di sommarie informazioni rese ai Carabinieri di Accettura da V.R., corresponsabile del furto, da cui era emerso il coinvolgimento del P. nel furto; dal verbale di sommarie informazioni reso dallo stesso P., dal quale si evinceva la partecipazione nelle condotte criminose oggetto di processo; nonchè dal verbale di udienza del processo penale dinanzi al Tribunale per i Minorenni di Potenza, nel quale il P. ammetteva l’addebito, riconoscendo di aver commesso il furto. Quest’ultima dichiarazione, resa direttamente alla controparte, acquisterebbe ai sensi dell’art. 2735 c.c., valore di prova legale, non potendo essere ammessa prova contrarie a mezzo di testimoni.

In ordine alla quantificazione dei danni, la valutazione equitativa effettuata dal Giudice di Pace sarebbe tutt’altro che eccessiva alla luce della elencazione dell’attrezzatura e degli animali sottratti riportata nel verbale redatto dai Carabinieri di Accettura e nei cataloghi specifici versati nel fascicolo dell’appellato.

3. Avverso tale decisione, propongono ricorso in Cassazione i signori P.G. e R. e la signora D.R.R., sulla base di tre motivi illustrati da memoria.

3.1 Resiste con controricorso il signor C.G..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4.1. Con il primo motivo di ricorso, i ricorrenti lamentano la “erronea e/o falsa applicazione dell’art. 287 c.p.c., in relazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4, 5”. Il Tribunale avrebbe errato nel ritenere che l’errata indicazione del nome del minore, nella motivazione della sentenza di primo grado, costituisse un mero errore materiale.

Il giudice di prime cure, nel riferirsi sistematicamente a P.R. quale presunto autore del fatto illecito, avrebbe confuso i ruoli dei ricorrenti nella causazione del fatto materiale, evidenziando un’erronea e superficiale ricostruzione dei fatti ed inducendo quindi a ritenere viziato tutto l’iter logico giuridico della decisione.

L’art. 287 c.c., si applica solo alle ipotesi in cui l’errore ha rilevanza meramente materiale e quindi quando la decisione resta tale anche a seguito dell’intervenuta correzione del medesimo errore.

Nel caso di specie, invece, sostituendo il padre al figlio, si perverrebbe ad una ricostruzione dei fatti mai esistita, che inficierebbe l’intera decisione.

La sentenza impugnata non spiegherebbe in maniera adeguata e sufficiente le ragioni della ritenuta non incidenza dell’errore sull’iter logico ricostruttivo della decisione.

4.2. Con il secondo motivo di ricorso, i ricorrenti deducono la “erronea e/o falsa applicazione degli artt. 2043,2697,1226 e 2735 c.c., in relazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4, 5”.

Nella documentazione prodotta in giudizio non vi sarebbe alcun riscontro dell’affermata responsabilità di P.G. nel reato nei confronti del C.. Anzi, dal verbale di sommarie informazioni rese dallo stesso P., emergerebbe che questi non avrebbe avuto alcun ruolo causalmente rilevante nel fatto.

Nè rileverebbe la dichiarazione del minore fatta in sede di processo penale, rilasciata solo al fine di accedere alla misura della messa in prova. Tale dichiarazione mancherebbe quindi dell’animus confitendi e non sarebbe spontanea nemmeno nel contenuto, essendosi il P. limitato a leggere una formula indicatagli dall’organo giudicante.

Sarebbe poi del tutto infondato il richiamo alla valutazione equitativa del danno, poichè il C. non avrebbe svolto alcuna attività per provare, oltre all’esistenza, anche l’entità del danno.

Dalla sentenza impugnata non risulterebbero i criteri seguiti per determinare l’entità del danno. I giudici di merito, in realtà, si sarebbero limitati a recepire in maniera semplicistica la richiesta risarcitoria del C., pur in mancanza di prova in ordine al numero e al tipo di attrezzature e di animali sottratti, che non era impossibile, nè difficoltosa.

Soltanto di fronte la prova precisa sulla reale quantità di animali e attrezzature sottratte e della loro specie, si sarebbe potuta effettuare la valutazione equitativa del danno subito dalla vittima del furto.

4.3. Con il terzo motivo di ricorso, i ricorrenti censurano la “erronea e/o falsa applicazione degli artt. 187-188 e 246 c.p.c.”.

I giudici di merito, nel ritenere sufficiente la presunta confessione resa dal minore innanzi al Tribunale per i Minori di Potenza omettendo di svolgere l’attività istruttoria richiesta, avrebbero violato il principio sancito dalle norme citate in base al quale la prova deve essere acquisita nell’ambito del procedimento nel quale deve essere utilizzata e non provenire aliunde.

La richiesta della prova testimoniale nella persona di uno dei soggetti autori del fatto sarebbe legittima ex art. 246 c.p.c., poichè questi era chiamato a rendere testimonianza su circostanze a lui sfavorevoli e non avrebbe avuto interesse a partecipare al giudizio.

5. Il ricorso è inammissibile.

Risulta infatti formulato in violazione del disposto di cui all’art. 366 c.c., comma 1, n. 3, in quanto si riduce sostanzialmente nella riproduzione dell’impugnata sentenza nonchè di parte degli atti del giudizio di merito, essendo viceversa necessario che dei medesimi vengano riportati gli specifici punti di interesse nel giudizio di legittimità, non potendo gravarsi questa Corte del compito, che non le appartiene, di ricercare ed utilizzare ciò che possa servire (v. Cass. civ. Sez. 3, Sent., 13-02-2015, n. 2848, Cass., Sez. Un., 11/4/2012, n. 5698; Cass., 14/6/2011, n. 12955; Cass., 22/10/2010, n. 21779; Cass., 23/6/2010, n. 15180; Cass., 18/9/2009, n. 20093; Cass., Sez. Un., 17/7/2009, n. 16628).

Il ricorrente è tenuto non già ad un’attività materiale meramente compilativa, alternando pagine con richiami ad atti processuali del giudizio di merito alla relativa allegazione o trascrizione, bensì a rappresentare e interpretare i fatti giuridici in ordine ai quale richiede l’intervento della Corte Suprema, trovando a tale stregua ragione il tenore dell’art. 366 c.p.c., là dove impone di redigere il ricorso per cassazione esponendo sommariamente i fatti di causa, sintetizzando cioè i medesimi con selezione dei profili di fatto e di diritto della vicenda sub iudice, nonchè con indicazione delle ragioni di critica nell’ambito della tipologia dei vizi elencata dall’art. 360 c.p.c., in un’ottica di economia processuale che evidenzi i profili rilevanti ai fini della formulazione dei motivi di ricorso, che altrimenti finiscono per risolversi in censure astratte e prive di supporto storico (v. Cass., 23/6/2010, n. 15180).

5.1. Il primo motivo risulta in ogni caso inammissibile per violazione del principio di autosufficienza, in base al quale il ricorso deve contenere tutti gli elementi necessari per porre il giudice di legittimità in grado di avere la completa cognizione della controversia e del suo oggetto, di cogliere il significato e la portata delle censure rivolte alle specifiche argomentazioni della sentenza impugnata, senza la necessità di accedere ad altre fonti ed atti del processo, ivi compresa la sentenza stessa.

Infatti, il ricorrente non riporta le parti della sentenza del Giudice di Pace che contengono l’errata indicazione del nome di battesimo del P..

Non è quindi possibile per questo Collegio accertare se l’errore abbia inficiato l’iter logico della sentenza, ovvero se, come affermato da Tribunale, si sia tradotto in mero errore materiale.

5.2. Anche il secondo motivo di ricorso si palesa inammissibile, poichè con esso i ricorrenti si limitano a sollecitare una lettura dei fatti e delle prove difforme da quella operata dal giudice di merito.

Spetta invece al giudice di merito individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, salvi i casi tassativamente previsti dalla legge.

Nella specie, la decisione del Tribunale appare immune da vizi logico-motivazionali e fondata sulla documentazione in atti.

Peraltro, la decisione non risulta in alcun modo censurata dai ricorrenti in ordine al riferimento al verbale di sommarie informazioni rese ai Carabinieri di Accettura da V.R., da cui, secondo la sentenza di appello era emerso il coinvolgimento del P. nel furto.

Quanto al valore delle dichiarazioni rese dal P. all’udienza del processo penale, si rileva, da un lato, che la confessione giudiziale (a cui è equiparata la confessione stragiudiziale fatta alla parte ex art. 2735 c.c., comma 1) costituisce una dichiarazione di scienza, il cui elemento essenziale è l’affermazione inequivoca in ordine ad un fatto storico dubbio, resa la quale gli effetti che ne derivano sono stabiliti dalla legge, siccchè è irrilevante l’indagine sullo stato soggettivo del confitente o sul fine da lui perseguito nel renderla (Cass. civ. Sez. lavoro, 30/09/2016, n. 19554; Cass. civ. Sez. 3, 05/12/2003, n. 18655).

Senza considerare che, peraltro, in sede di giudizio minorile, l’ammissione alla messa alla prova dell’imputato, previa sospensione del processo, richiede da parte dell’interessato la rimeditazione critica del passato e la disponibilità ad un costruttivo reinserimento, le quali, pur non esigendo la confessione degli addebiti, risultano incompatibili con la frontale negazione di ogni responsabilità per gli stessi (Cass. pen. Sez. 4, 20/06/2014, n. 32125).

Appare altresì corretto il ricorso, da parte dei giudici di merito, alla liquidazione equitativa del danno, risultando sussistenti i requisiti al riguardo richiesti dalla legge, ovvero l’impossibilità o l’estrema difficoltà di una stima esatta del danno stesso, dipendente da fattori oggettivi e non dalla negligenza della parte danneggiata nell’allegarne e dimostrarne gli elementi dai quali desumerne l’entità.

Nel caso di specie, infatti, pretendere la prova certa in ordine al numero di attrezzi e di animali trafugati si tradurrebbe in una probatio diabolica per la vittima del furto, non sussistendo un obbligo generale di tenuta di un registro di detti animali ed attrezzi.

5.3. Infine, risulta inammissibile pure il terzo motivo di ricorso, non essendo stati trascritti i capitoli di prova su cui era stata richiesta la prova testimoniale del V..

Come questa Corte ha più volte statuito, è privo di autosufficienza il ricorso fondato su motivo con il quale viene denunziato vizio di motivazione in ordine all’assunta prova testimoniale, omettendo di indicare nel ricorso i capitoli di prova non ammessi ed asseritamente concludenti e decisivi al fine di pervenire a soluzioni diverse da quelle raggiunte nell’impugnata sentenza (Cass. civ. Sez. 6-5 Ordinanza, 03/01/2014, n. 48; Cass. civ. Sez. 3, 31/07/2012, n. 13677; Cass. civ. Sez. 3 Sent., 19/03/2007, n. 6440).

6. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

PQM

 

la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 23 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 21 settembre

2017

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