Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21923 del 21/09/2017


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Cassazione civile, sez. III, 21/09/2017, (ud. 05/05/2017, dep.21/09/2017),  n. 21923

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 8481/2015 proposto da:

C.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE MAZZINI

121, presso lo studio dell’avvocato SALVATORE VETERE, che lo

rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

GENERALI ITALIA SPA, a seguito del conferimento in INA ASSITALIA SPA

del complesso aziendale costituito dal portafoglio assicurativo

della Direzione per l’Italia di ASSICURAZIONI GENERALI SPA, e

contestuale modifica della denominazione, in persona dei procuratori

speciali C.P. e P.M., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA GIUSEPPE FERRARI 35, presso lo studio

dell’avvocato MARCO VINCENTI, che lo rappresenta e difende giusta

procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

ISTITUTO NINETTA ROSANO CASA DI CURA T. SRL,

T.R.P.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1297/2014 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 16/09/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/05/2017 dal Consigliere Dott. LINA RUBINO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato GABRIELLA ARCURI per delega;

udito l’Avvocato ROBERTO OTTI per delega.

Fatto

I FATTI DI CAUSA

C.S. conveniva in giudizio l’Istituto Ninetta Rosano – Casa di cura T. s.r.l., e il Dott. T.R.P., chiedendo il risarcimento dei danni tutti, riportati in proprio e iure hereditatis, conseguenti alla morte della madre Tr.Gi., avvenuta presso la struttura convenuta, ove era stata ricoverata per “frattura mandibolare doppia in paziente a rischio”, accadimento per il quale lo stesso ricorrente era stato sottoposto a procedimento penale per omicidio pretenrintenzionale. Sosteneva che il decesso della signora Tr. fosse dovuto all’operato negligente dei sanitari che, riscontrata al momento del ricovero la presenza di un’ulcera da operare con urgenza, eseguivano un primo intervento non radicale e tardavano nell’eseguire un secondo intervento, provocando la morte per peritonite della signora Tr..

La domanda del C. veniva rigettata sia in primo che in secondo grado.

C.S. propone ricorso per cassazione, articolato in quattro motivi ed illustrato da memoria, nei confronti di Istituto Ninetta Rosano – Casa di cura T. srl, del Dott. T.R.P. e delle Ass.ni Generali s.p.a., per la cassazione della sentenza n. 1297/2014, depositata dalla Corte d’Appello di Catanzaro in data 16.9.2014. Resistono le Generali Italia s.p.a. con controricorso.

Diritto

LE RAGIONI DELLA DECISIONE

Preliminarmente va detto che, quanto alla sommaria esposizione dei fatti, riportato l’iter processuale, nulla precisa il ricorrente nè sull’attività svolta dai medici, dal momento del ricovero della madre all’interno della struttura sanitaria nè sulle cause della morte della madre, e neppure riporta seppur in estrema sintesi il contenuto della motivazione della sentenza di appello, salvo riferire che ha confermato il rigetto della sua domanda risarcitoria fondata sulla inerzia dei medici.

Il ricorso nella sua interezza si colloca ai limiti della inammissibilità, atteso che i fatti rilevanti ai fini del giudizio non sono organicamente esposti nella parte del ricorso preliminare alla trattazione dei motivi, e non sono ricavabili con completezza e ordine, ai fini di comprendere con immediatezza la vicenda, e quanto da essa residui ai fini del presente giudizio, attraverso la lettura dei singoli motivi, ove la fattispecie è frammentariamente riportata attraverso passi della sentenza impugnata, sottoposti a critica in fatto.

Solo alla fine del secondo motivo di ricorso e grazie agli stralci della sentenza di appello riprodotti nel ricorso per suffragare gli argomenti dedotti nei motivi e non per far comprendere la fattispecie, si arriva a comprendere la dinamica dei fatti, nella misura minima necessaria per poter comprendere l’attinenza ad essi delle censure che il ricorrente muove alla sentenza impugnata.

La signora Tr. in data 17.6.2012 viene picchiata e le percosse (per le quali, in correlazione alla successiva morte della Tr., sarà tratto a giudizio il figlio, odierno ricorrente, per omicidio preterintenzionale) le provocano la rottura di entrambe le mandibole; ricoverata lo stesso giorno presso la casa di cura San Luca con diagnosi di “frattura traumatica del condilo mandibolare sinistro e dell’angolo mandibolare destro” viene dimessa dopo due giorni per “motivi familiari” e quindi ricoverata presso l’istituto Ninetta Rosano il (OMISSIS), senza che la frattura al volto sia stata ancora trattata. La paziente arriva con una situazione generale compromessa e, individuato che era affetta da ernia strozzata, viene operata d’urgenza in anestesia locale il (OMISSIS). L’intervento non si rivela risolutivo e quindi la paziente viene operata una seconda volta, a due giorni di distanza, in anestesia totale. Dalla lettura della sentenza impugnata si evince che il ricorrente addebita ai medici di aver tardato nell’eseguire il secondo intervento, eseguito la mattina del (OMISSIS), troppo tardi per impedire il decesso della Tr., intervenuto il giorno stesso per peritonite.

Con il primo motivo, il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione di non meglio precisate norme di diritto (emerge poi nella trattazione del motivo un riferimento all’art. 177 c.p.c.).

Addebita alla corte d’appello l’aver ritenuto tardiva la richiesta di revoca dell’ordinanza con la quale la corte stessa non aveva ritenuto di ammettere le prove orali e il rinnovo della consulenza perchè la richiesta sarebbe stata formulata tardivamente, solo in comparsa conclusionale. Lamenta comunque che non sia stata disposta la rinnovazione della consulenza tecnica a fronte dei dettagliati rilievi formulati dai suoi consulenti di parte. Sostiene di aver formulato la richiesta di rinnovo già in sede di precisazione delle conclusioni: sotto tale profilo, il motivo è inammissibile, perchè il ricorrente non riporta affatto le conclusioni tratte in udienza, dalla quali si possa evincere la riproposizione delle richieste istruttorie.

La valutazione in ordine al rinnovo o meno della consulenza tecnica, a fronte dei rilievi della parte, rientra poi tra le scelte discrezionali del giudice di merito, non suscettibile di censura sotto il profilo della violazione di legge (Cass. n. 5339 del 2015, Cass. n. 14774 del 2014).

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 116 c.p.c., perchè la corte d’appello avrebbe violato il principio secondo il quale le prove raccolte in un diverso procedimento (nel caso di specie, si fa riferimento alla perizia disposta dal P.M. nel procedimento penale a carico dello stesso ricorrente per omicidio preterintenzionale) sono liberamente apprezzabili.

Lamenta anche, sotto il profilo del vizio motivazionale, che la corte d’appello non abbia tenuto nel dovuto conto, nel rigettare la richiesta di rinnovo della consulenza e nel fondare il rigetto della domanda sulla condivisione delle conclusioni del consulente tecnico, le puntuali osservazioni critiche svolte dal proprio consulente di parte.

Il motivo è del tutto infondato.

La corte d’appello, nel rigettare la domanda dell’odierno ricorrente, tiene in considerazione le risultanze della perizia penale e non ritiene di poterle integralmente recepire attesa la diversità del quesito sottoposto ai due esperti. Quindi non si arresta di fronte ad un divieto, che in effetti non esiste e del quale la corte di merito non adduce l’esistenza, di tenere in conto le risultanze di un diverso giudizio, ma, benchè le prenda in considerazione, non le reputa decisive per fondare il suo convincimento, preferendo far proprie le conclusioni tratte dal consulente che ha operato in sede civile.

Con il terzo motivo, il ricorrente deduce nuovamente la violazione e falsa applicazione di norme di diritto che non indica. Solo nel corpo del motivo richiama l’art. 116 c.p.c., artt. 1218 e 2043 c.c., addebitando alla corte d’appello di non aver correttamente applicato le regole sulla responsabilità medica, sempre assumendo che la stessa abbia rifiutato di accertare come andarono effettivamente i fatti dal momento del ricovero della Tr. in ospedale, non avendo accolto la richiesta di rinnovazione della consulenza.

Nell’ambito dell’intero ricorso, il ricorrente in effetti non indica quale sia l’addebito preciso mosso ai medici nè in quale precisa violazione delle norme sulla responsabilità medica sarebbe incorsa la corte d’appello.

A quanto è dato evincere legando tra le loro indicazioni alquanto disorganiche contenute nel ricorso, il ricorrente ritiene che i sanitari avrebbero dovuto comunque eseguire il primo intervento chirurgico adottando una tecnica più invasiva, in anestesia generale (scartata dai medici con valutazione la cui conformità alle regole di prudenza e diligenza è confermata dalla motivazione della corte d’appello per le condizioni generali compromesse della signora), e comunque avrebbero dovuto effettuare il secondo intervento subito, appena si manifestarono i sintomi della peritonite, per evitare la morte della madre.

In definitiva, addebita alla corte d’appello di aver sbagliato nel formarsi il convincimento in fatto, e di aver sbagliato perchè ha ostinatamente rifiutato di rinnovare la consulenza tecnica. La alquanto oscura e disorganica esposizione del ricorrente è volta soltanto, quindi, a contrastare il giudizio in fatto formulato dalla corte d’appello, che sulla base delle risultanze istruttorie esclude qualsiasi nesso causale tra l’operato dei medici, ritenuto conforme alle regole della comune prudenza, e il decesso della Tr., verificatosi in ospedale, ma sulla quale, attese le condizioni cliniche precarie che portarono al suo ricovero, non era ipotizzabile sempre nel rispetto delle regole di prudenza, un intervento di altro tipo.

In ogni caso, la sentenza resiste alle critiche mossele. La corte d’appello rileva la tardività della richiesta di rinnovazione delle prove e al contempo non ritiene necessari, con ampia motivazione, ulteriori accertamenti tecnici, ritenendo che dal complesso delle circostanze in fatto, e dalle risultanze della consulenza tecnica, emerga che il comportamento dei medici sia stato corretto considerate le condizioni generali ampiamente compromesse della signora, che non consigliavano di compiere da subito interventi più invasivi (la poveretta, ricoverata prima in una casa di cura, ne esce per “gravi motivi familiari” dopo due giorni senza che sia stata neppure trattata la frattura al volto, e dopo altri due giorni viene ricoverata presso la struttura controricorrente, con le mandibole fratturate non ancora trattate ed un quadro clinico generale critico, che sconsigliava ove non fosse stata l’unica possibile opzione un intervento in anestesia generale). Esclude altresì qualsiasi condotta omissiva o errore terapeutico nei medici nel non aver proceduto immediatamente ad un secondo intervento per evitare la peritonite, attese le ancor più precarie condizioni della signora dopo il primo intervento e la non univocità dei sintomi. Conclude che la paziente è deceduta perchè ad alto rischio chirurgico e non per la peritonite.

Il ricorso va complessivamente rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come al dispositivo.

Il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, ed il ricorrente ne è uscito soccombente, tuttavia, essendo stato lo stesso ammesso al gratuito patrocinio, la Corte, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della insussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso. Liquida le spese del presente giudizio in complessivi Euro 7.000,00, oltre 200,00 Euro per esborsi, accessori e contributo spese generali al 15%.

Dà atto della insussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di Cassazione, il 5 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 21 settembre 2017

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