Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21923 del 07/09/2018

Cassazione civile sez. I, 07/09/2018, (ud. 06/07/2018, dep. 07/09/2018), n.21923

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 28796/2013 r.g. proposto da:

SAMIA s.r.l. in liquidazione, (cod. fisc. (OMISSIS)), con sede in

(OMISSIS), in persona del nuovo liquidatore e legale rappresentante

pro tempore, Ida Maria De Carolis, rappresentata e difesa, giusta

procura speciale apposta a margine del ricorso, dall’Avvocato

Barbara Armanini, con cui elettivamente domicilia in Roma, alla via

Settembrini n. 30, presso lo studio dell’Avvocato Marco Ferretti;

– ricorrente –

contro

SAIPEM s.p.a., (cod. fisc. (OMISSIS)), con sede in (OMISSIS), in

persona del Direttore Generale – Chief Executive Officer, ing.

V.U., rappresentata e difesa, giusta procura speciale apposta a

margine del controricorso, dagli Avvocati Enrico Castellani e Prof.

Raffaele Lener, con cui elettivamente domicilia presso lo studio di

quest’ultimo in Roma, alla piazza del Popolo n. 18;

– controricorrente –

avverso la sentenza della CORTE DI APPELLO DI MILANO, depositata il

16/08/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/07/2018 dal Consigliere dott. Eduardo Campese;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

Sorrentino Federico, che ha concluso chiedendo dichiararsi

inammissibile, o, in subordine, rigettarsi il ricorso;

udito, per la controricorrente, l’Avv. E. Castellani, che ha chiesto

rigettarsi l’avverso ricorso.

Fatto

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

1. Con sentenza del 3 luglio/16 agosto 2013, n. 3218, la Corte di appello di Milano respinse l’impugnazione proposta da SAMIA s.r.l. avverso il lodo reso, il 16/17 aprile 2009, nel giudizio arbitrale tra detta società e la SAIPEM s.p.a. (già Snamprogetti s.p.a.). Quest’ultima aveva ivi domandato il risarcimento dei costi complessivamente sostenuti per essersi dovuta rivolgere a terzi onde provvedere alla sostituzione o modificazione degli elementi non funzionanti delle torce, il cui acquisto aveva commissionato alla SAMIA s.r.l., da installare in un impianto petrolifero a (OMISSIS).

1.1. Per quanto qui ancora di interesse, quella corte ritenne innanzitutto infondata la doglianza dell’odierna ricorrente in ordine alla denunciata nullità del lodo, ex art. 829 c.p.c., comma 1, nn. 11-12, per avere il collegio arbitrale prima affermato la riconducibilità del rapporto inter partes alla fattispecie dell’appalto, e poi escluso l’operatività delle disposizioni di cui agli artt. 1665 e 1667. Secondo i giudici statali, infatti, non sarebbe stata ravvisabile “alcuna contraddittorietà nella motivazione del lodo de quo poichè gli arbitri si sono limitati ad interpretare il contratto nel suo complesso, giungendo alla conclusione che il giorno dell’imbarco delle componenti della torcia non costituisse momento di consegna dell’opera ex art. 1667 c.c., poichè l’appaltatrice era gravata di ulteriori oneri contrattuali involgenti la fase successiva dell’installazione e del collaudo in loco e quindi non poteva dirsi liberata in forza di un adempimento parziale. A fortiori, quindi, il collegio degli arbitri ha ritenuto di non applicare le disposizioni di cui agli artt. 1667 e 1665 c.c. in quanto, se il giorno dell’imbarco delle componenti non può considerarsi come il momento della consegna dell’opera, ne consegue, logicamente, che non potrà essere individuato nel giorno predetto il dies a quo per il calcolo del decorso del termine prescrizionale di due anni, nè la mancata apposizione di riserve da parte di Saipem potrà essere qualificata come accettazione da cui far derivare la decadenza della committente dal diritto di far valere i vizi dell’opera ex art. 1665 c.c.. Il collegio arbitrale, con coerente iter esplicativo della decisione, ha aggiunto che l’appaltatrice Samia aveva comunque riconosciuto l’esistenza di vizi e tale contegno sarebbe di per sè idoneo a determinare l’esclusione del decorso del termine ex art. 1667 c.c., comma 2” (cfr. pag. 7 della sentenza impugnata).

1.2. Quanto, poi, agli ulteriori, dedotti motivi di nullità del lodo, per violazione e mancata applicazione delle regole di diritto, osservò: “a) anzitutto, l’impugnazione del lodo per violazione di regole di diritto, ex art. 829 c.p.c., comma 2, è inammissibile nel caso di specie, posto che il giudizio arbitrale è stato introdotto in data 29.06.06, ossia successivamente all’entrata in vigore del nuovo testo dell’art. 829 c.p.c., come modificato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, che esclude la possibilità di impugnativa del lodo per violazione di legge salvo che le parti non l’abbiano espressamente preveduta come motivo di nullità nella clausola compromissoria: nel caso in esame, la clausola accede ad un contratto risalente al 2001 che non è stato integrato o adeguato alla nuova normativa, nulla disponendo sul punto; b) inoltre, il vizio de quo è ammissibile solo se la doglianza risulta circoscritta entro i medesimi confini della violazione di legge opponibile con il ricorso per Cassazione ex art. 360 c.p.c., n. 3….; c) comunque, quanto all’errore di diritto che sarebbe consistito nel non rilevare la decorsa prescrizione, ex art. 1667 c.c., l’allegazione è senza pregio: il termine non è decorso per la ragione che il giorno indicato dalla ricorrente quale dies a quo non può essere considerato tale; senza dire, poi, che gli arbitri hanno rilevato la rinuncia alla prescrizione avvenuta tramite ammissione dei vizi dell’opera da parte dell’appaltatrice Samia (cfr. lodo pag. 20); d) ancor più inconsistente è l’errore di diritto in cui sarebbero incorsi gli arbitri per non aver rilevato l’avvenuta accettazione dell’opera, cui conseguirebbe la rinuncia della committente all’azione per vizi, poichè, non essendovi stata consegna, secondo l’interpretazione data dagli arbitri delle risultanze contrattuali e fattuali, non vi può essere stata accettazione attraverso la mancata apposizione delle riserve, la quale presuppone chiaramente la consegna dell’opera, che nella fattispecie manca; e) infine, risulta priva di pregio anche la censura relativa alla violazione della disposizione di cui all’art. 1226 c.c. poichè gli arbitri non hanno determinato il quantum riconosciuto a Saipem, a titolo di risarcimento del danno derivante dall’inadempimento di Samia, secondo equità, bensì sono giunti alla quantificazione in forza delle spese che sono risultate puntualmente documentate dalla parte istante nel corso del procedimento arbitrale” (cfr. pag. 7-9 della medesima sentenza).

2. Avverso tale decisione, notificata il 10 ottobre 2013, ricorre per cassazione, tempestivamente, la SAMIA s.r.l., affidandosi a cinque motivi, resistiti, anche con memoria ex art. 378 c.p.c., dalla SAIPEM s.p.a., attraverso i quali deduce, rispettivamente:

1) “Violazione e falsa applicazione dell’art. 829 c.p.c., n. 11, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”, con riferimento alle affermazioni della impugnata sentenza secondo cui le statuizioni contenute nel dispositivo del lodo arbitrale apparivano una logica conseguenza delle ragioni esposte nella relativa motivazione, che, a loro volta, seguivano, secondo la corte distrettuale, un iter tutt’altro che contraddittorio;

2) “Violazione e falsa applicazione dell’art. 1665 c.c. e art. 1667 c.c., commi 2 e 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”, quanto alla ritenuta insussistenza, da parte della medesima corte, della violazione delle regole di diritto, in materia di appalto, appena menzionate;

3) “Ulteriore violazione e falsa applicazione dell’art. 1665 c.c., comma 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”, con riguardo alla dichiarata infondatezza, da parte della citata corte, dell’assunto secondo cui gli arbitri avrebbero errato nel non aver rilevato l’avvenuta accettazione dell’opera, cui sarebbe conseguita la rinuncia della committente all’azione per vizi;

4) “Ulteriore violazione e falsa applicazione anche dell’art. 1226 c.c., sempre in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”, quanto alla ritenuta insussistenza, ad opera della sentenza impugnata, della violazione della predetta norma codicistica con riferimento all’avvenuta liquidazione del danno, in favore della SAIPEM s.p.a., contenuta nel lodo arbitrale;

5) “Ulteriore violazione, infine, degli artt. 1665 e 1667 c.c., sempre in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”, assumendosi che la corte milanese nulla aveva argomentato in ordine alle denuncia di nullità del lodo, ex art. 829 c.p.c., n. 11, perchè recante ulteriori disposizioni contraddittorie.

3. Il Collegio deve anzitutto ribadire (cfr., amplius, Cass. n. 23485 del 2013, nonchè, in senso sostanzialmente conforme, la più recente Cass. n. 2985 del 2018) che quello di impugnazione per nullità del lodo arbitrale costituisce un giudizio a critica limitata, proponibile soltanto per determinati errores in procedendo specificamente previsti, nonchè per inosservanza, da parte degli arbitri, delle regole di diritto nei limiti indicati dall’art. 829 c.p.c., comma 2, (oggi art. 829, comma 3, nel testo come modificato dal D.Lgs. n. 40 del 2006); in esso trova applicazione la regola della specificità della formulazione dei motivi, in considerazione della natura rescindente di tale giudizio e del fatto che solo il rispetto di detta regola può consentire al giudice, ed alla parte convenuta, di verificare se le contestazioni formulate corrispondano esattamente ai casi di impugnabilità stabiliti dalla menzionata norma.

3.1. Inoltre, nel ricorso per cassazione avverso la sentenza che abbia deciso su detta impugnazione, dovendosi verificare se la sentenza medesima sia adeguatamente e correttamente motivata in relazione alle ragioni di impugnazione del lodo, il sindacato di legittimità va condotto esclusivamente attraverso il riscontro della conformità a legge e della congruità della motivazione della sentenza che ha deciso sull’impugnazione del lodo. Ciò comporta che la relativa denuncia, per ottemperare all’onere della specificazione delle ragioni dell’impugnazione, non può esaurirsi nel richiamo di principi di diritto, con invito al giudice dell’impugnazione di controllarne l’osservanza da parte degli arbitri e della corte di appello, nè, tanto meno, in una semplice richiesta di revisione delle valutazioni e dei convincimenti in diritto del giudice dell’impugnazione, ma esige, da un lato, un pertinente riferimento ai fatti ritenuti dagli arbitri, per rendere autosufficiente ed intellegibile la tesi secondo cui le conseguenze tratte da quei fatti violerebbero i principi medesimi (cfr. Cass. n. 23670 del 2006; Cass. nn. 6028 e 10209 del 2007; Cass. n. 21035 del 2009; Cass. n. 23485 del 2013); dall’altro, l’esposizione di argomentazioni intellegibili ed esaurienti ad illustrazione delle dedotte violazioni di norme o principi di diritto, con cui il ricorrente è chiamato a precisare in qual modo – se per contrasto con la norma indicata o con l’interpretazione della stessa fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina – abbia avuto luogo la violazione nella quale si assume essere incorsa la pronuncia di merito (cfr. Cass. n. 23485 del 2013; Cass. n. 3383 del 2004; Cass. n. 12165 del 2000; Cass. n. 5633 del 1999).

4. Tanto premesso, il primo motivo di ricorso non ha adeguatamente rispettato questi principi, atteso che laddove non si risolve, concretamente, nella riproposizione di censure contro il lodo, piuttosto che avverso la risposta ad esse già fornita dai giudici dell’impugnazione, mira essenzialmente ad ottenere, benchè formalmente articolato come asserita violazione di legge, una inammissibile rivalutazione, in sede di legittimità, dei convincimenti espressi dal collegio arbitrale e dalla corte di merito. Lo stesso, pertanto, va dichiarato inammissibile.

4.1. La corte milanese, infatti, al fine di respingere la censura di nullità del lodo, ex art. 829 c.p.c., comma 1, nn. 11-12, per avere il collegio arbitrale prima affermato la riconducibilità del rapporto inter partes alla fattispecie dell’appalto, e poi escluso l’operatività delle disposizioni di cui agli artt. 1665 e 1667, ha innanzitutto richiamato i principi giurisprudenziali – che questo Collegio condivide ed intende ribadire secondo cui il vizio di contraddittorietà della motivazione del loro arbitrale è deducibile con impugnazione per nullità solo quando si concreti in una inconciliabilità fra parti del dispositivo ovvero in un contrasto fra parti della motivazione di gravità tale da rendere impossibile la ricostruzione della ratio decidendi della decisione, traducendosi in una sostanziale mancanza della motivazione stessa.

4.1.1. Ha poi opinato che non fosse ravvisabile “alcuna contraddittorietà nella motivazione del lodo de quo poichè gli arbitri si sono limitati ad interpretare il contratto nel suo complesso, giungendo alla conclusione che il giorno dell’imbarco delle componenti della torcia non costituisse momento di consegna dell’opera ex art. 1667 c.c., poichè l’appaltatrice era gravata di ulteriori oneri contrattuali involgenti la fase successiva dell’installazione e del collaudo in loco e quindi non poteva dirsi liberata in forza di un adempimento parziale. A fortiori, quindi, il collegio degli arbitri ha ritenuto di non applicare le disposizioni di cui agli artt. 1667 e 1665 c.c. in quanto, se il giorno dell’imbarco delle componenti non può considerarsi come il momento della consegna dell’opera, ne consegue, logicamente, che non potrà essere individuato nel giorno predetto il dies a quo per il calcolo del decorso del termine prescrizionale di due anni, nè la mancata apposizione di riserve da parte di Saipem potrà essere qualificata come accettazione da cui far derivare la decadenza della committente dal diritto di far valere i vizi dell’opera ex art. 1665 c.c.”.

4.1.2. Ha, infine, rimarcato che “Il collegio arbitrale, con coerente iter esplicativo della decisione, ha aggiunto che l’appaltatrice Samia aveva comunque riconosciuto l’esistenza di vizi e tale contegno sarebbe di per sè idoneo a determinare l’esclusione del decorso del termine ex art. 1667 c.c., comma 2” (cfr. pag. 7 della sentenza impugnata).

4.2. La corte distrettuale, dunque, ha analiticamente esaminato la doglianza avanzata con il primo motivo di impugnazione del lodo innanzi ad essa, con il quale ne era stata denunciata la già descritta asserita contraddittorietà della motivazione, escludendone la ricorrenza all’esito di un puntuale ed articolato richiamo alle argomentazioni svolte dagli arbitri.

4.2.1. A tali argomentazioni, assolutamente chiare e lineari pur nella loro sinteticità, la SAMIA s.r.l. oppone, oggi, assunti che, malgrado siano formalmente ricondotti ad una pretesa violazioni di legge, altro non rappresentano che la riproposizione di censure contro il lodo, piuttosto che avverso la risposta ad esse già fornita dai giudici dell’impugnazione, e sono, in realtà, volti ad ottenere una inammissibile rivalutazione, in sede di legittimità, dei convincimenti espressi, ancor prima che dalla corte distrettuale, dallo stesso collegio arbitrale.

4.2.2. Essi, infatti, postulano una rivisitazione di fatti e valutazioni spettanti alla sede di merito, nella specie, quella arbitrale (che, come può evincersi dalla lettura della sentenza impugnata, ne ha fornito, come si è detto, congrua giustificazione), in ordine alle quali il sindacato della corte di appello nel giudizio di impugnazione del corrispondente lodo, nei limiti consentiti dall’art. 829 c.p.c., è circoscritto alla verifica della sola legittimità (qui giustificata dalla corte milanese con le chiare e lineari affermazioni di cui si è già detto) della relativa decisione, senza, quindi, ricomprenderne il riesame nel merito.

4.2.3. Nemmeno può sottacersi, peraltro, che, per come concretamente sviluppato, il prospettato vizio di violazione di legge, lungi dal contenere come ne avrebbe imposto la sua corretta formulazione – argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 24298 del 2016, secondo cui, diversamente, alla Corte sarebbe impedito di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione), si risolve, essenzialmente, in una critica al complessivo governo del materiale istruttorio operato, giova sottolinearlo, ancor prima che dalla corte milanese, dal collegio arbitrale.

4.2.4. La ricorrente, dunque, pur denunciando, apparentemente, violazioni di legge della impugnata sentenza, chiede, in realtà, alla Suprema Corte di pronunciarsi sui predetti accertamenti e valutazioni di merito non censurabili in questa sede, così mostrando di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere analiticamente tanto il contenuto dei fatti storici quanto le valutazioni di quei fatti espresse dal giudice a quo – non condivise e per ciò solo censurate – al fine di ottenerne la sostituzione con altre più consone alle proprie aspettative (cfr., tra le più recenti, Cass. 4 aprile 2017, n. 8758).

5. Parimenti inammissibili devono considerarsi il secondo ed il terzo motivo di ricorso.

5.1. Le corrispondenti doglianze, invero, non tengono conto della totalità della decisione, sui corrispondenti punti, della corte distrettuale, la quale, ancor prima che respingere nel merito le ivi prospettate doglianze di nullità del lodo per violazione di regole di diritto (con riferimento all’art. 1665 c.c. e art. 1667 c.c., commi 2 e 3, nonchè alla disposizione di cui all’art. 1665 c.c., comma 4), ne aveva espressamente dichiarato l’inammissibilità “…posto che il giudizio arbitrale è stato introdotto in data 29.06.06, ossia successivamente all’entrata in vigore del nuovo testo dell’art. 829 c.p.c., come modificato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, che esclude la possibilità di impugnativa del lodo per violazione di legge salvo che le parti non l’abbiano espressamente preveduta come motivo di nullità nella clausola compromissoria: nel caso in esame la clausola accede ad un contratto risalente al 2001 che non è stato integrato o adeguato alla nuova normativa, nulla disponendo sul punto” (cfr. pag. 7-8 della decisione impugnata).

5.2. Pertanto, non risultando essere stata minimamente contestata una siffatta affermazione, agevolmente qualificabile come ulteriore ed autonoma ratio decidendi posta da quella corte a fondamento della sua pronuncia relativamente ai descritti motivi di impugnazione del lodo innanzi ad essa, deve trovare applicazione il principio secondo cui, ove la corrispondente motivazione della sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata sul punto, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in alcun caso l’annullamento, in parte qua, della sentenza (cfr., ex multis, Cass. n. 15075 del 2018, in motivazione; Cass. n. 18641 del 2017; Cass. n. 15350 del 2017).

5.2.1. Nè può sottacersi, peraltro, che, come già chiarito da questa Suprema Corte, qualora il giudice che abbia ritenuto inammissibile una domanda, o un capo di essa, o un singolo motivo di gravame, così spogliandosi della potestas iudicandi sul relativo merito, proceda poi comunque all’esame di quest’ultimo, è inammissibile, per difetto di interesse, il motivo di impugnazione della sentenza da lui pronunciata che ne contesti solo la motivazione, da considerarsi svolta ad abundantiam, su tale ultimo aspetto (cfr. Cass. n. 30393 del 2017; Cass., SU. 24469 del 2013).

6. Considerazioni affatto analoghe conducono, poi, alla declaratoria di inammissibilità anche del quarto motivo di ricorso, che censura la ritenuta insussistenza, ad opera della sentenza impugnata, della nullità del lodo per violazione della regola di diritto di cui all’art. 1226 cod. civ. con riferimento all’avvenuta liquidazione del danno, in favore della SAIPEM s.p.a., contenuta nel lodo arbitrale.

6.1. Merita qui soltanto di essere aggiunto che, in realtà, come sottolineato dalla medesima sentenza, gli arbitri, lungi dall’aver liquidato equitativamente il quantum del risarcimento riconosciuto alla SAIPEM s.p.a., sono giunti alla relativa sua quantificazione in forza delle spese che sono risultate puntualmente documentate dalla parte istante nel corso del procedimento arbitrale. Il motivo in esame, dunque, nemmeno coglie compiutamente la ratio decidendi, sul punto, della statuizione della corte milanese.

7. Anche il quinto motivo, infine, è, nel suo complesso, inammissibile.

7.1. Lo stesso, infatti, per come argomentato, da un lato, si riferisce a doglianze prospettate innanzi al giudice a quo con riferimento a pretese contraddizioni in cui sarebbe incorso il collegio arbitrale – e su cui la corte distrettuale avrebbe omesso ogni pronuncia – “…recependo, anche apoditticamente, una grave ed evidente contraddizione, già insita nei contratti stipulati tra SAMIA e Snamprogetti o forse, più semplicemente, non interpretando correttamente il contratto ridetto…” (cfr. pag. 18 del ricorso): contratto, o clausole dello stesso, di cui, però, non viene effettuata alcuna riproduzione nell’odierno ricorso.

7.2. Dall’altro, tende a rimettere in discussione la data ed il contesto in cui, secondo la ricorrente, dovevano ritenersi effettivamente consegnate e verificate, senza riserva alcuna, le componenti delle torce, con tutte le conseguenze annesse in tema di decadenza e prescrizione dell’azione proposta dalla SAPIEM s.p.a. (cfr. pag. 19 del medesimo ricorso): ma, in tal modo, esso mira sostanzialmente, ad ottenere, formalmente invocando un’asserita violazione di legge, una inammissibile rivalutazione, in sede di legittimità, dei convincimenti espressi dal collegio arbitrale (e dalla corte di merito, disattendendo il primo, secondo e quarto motivo di impugnazione innanzi ad essa formulato), all’esito della complessiva interpretazione del contratto intercorso tra le parti, in ordine al fatto che il giorno dell’imbarco delle componenti della torcia non costituisse momento di consegna dell’opera ex art. 1667 c.c., poichè l’appaltatrice era gravata di ulteriori oneri contrattuali involgenti la fase successiva dell’installazione e del collaudo in loco e quindi non poteva dirsi liberata in forza di un adempimento parziale, da ciò facendo derivare l’inapplicabilità delle disposizioni di cui agli artt. 1667 e 1665 c.c. (se il giorno dell’imbarco delle componenti non poteva considerarsi come il momento della consegna dell’opera, ne conseguiva, logicamente, che nemmeno poteva individuarsi nel giorno dell’imbarco il dies a quo per il calcolo del decorso del termine prescrizionale di due anni, nè la mancata apposizione di riserve da parte di Saipem avrebbe potuto essere qualificata come accettazione da cui far derivare la decadenza della committente dal diritto di far valere i vizi dell’opera ex art. 1665 c.c.).

8. Il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile, restando le spese del giudizio di legittimità regolate dal principio di soccombenza, ma rigettandosi la domanda ex art. 96 c.p.c. formulata dalla controricorrente, la quale richiede pur sempre la prova, incombente sulla parte istante, sia dell’an che del quantum debeatur, o comunque postula che, pur essendo la liquidazione effettuabile di ufficio, tali elementi siano in concreto desumibili dagli atti di causa (cfr., Cass., SU, n. 7583 del 2004; Cass., SU, n. 1140 del 2007; Cass. n. 9080 del 2013; Cass. n. 1266 del 2016). Nulla, nelle specie, è stato, invece, specificamente allegato, sul punto, dalla SAIPEM s.p.a..

8.1. Infine, va dato atto, – mancando ogni discrezionalità al riguardo (cfr., tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra molte altre: Cass., Sez., U. 27/11/2015, n. 24245; Cass., Sez., U. 20/06/2017, n. 15279) – della sussistenza dei presupposti per l’applicazione, a carico della società ricorrente, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (applicabile ratione temporis, essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione: norma in forza della quale il giudice dell’impugnazione è vincolato, pronunziando il provvedimento che definisce quest’ultima, a dare atto della sussistenza dei presupposti (rigetto integrale o inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) per il versamento, da parte dell’impugnante soccombente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione proposta, a norma del detto art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso, e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1,comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della medesima società, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Prima civile della Corte Suprema di Cassazione, il 6 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 7 settembre 2018

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