Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21922 del 30/07/2021

Cassazione civile sez. II, 30/07/2021, (ud. 17/02/2021, dep. 30/07/2021), n.21922

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rosanna – rel. Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9755-2016 proposto da:

FERBU SNC DI B.F., IN PERSONA DEI LEGALI RAPP.TI,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VARRONE 9, presso lo studio

dell’avvocato FRANCESCO VANNICELLI, che la rappresenta e difende

unitamente agli avvocati ANTONIO TITA, ALESSANDRA CARLIN;

– ricorrente –

contro

D.V.M., BA.NI., M.M., BL.MA.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA GIOSUE’ BORSI 4, presso lo

studio dell’avvocato FEDERICA SCAFARELLI, che li rappresenta e

difende unitamente agli avvocati MATTEO SARTORI, GIANPIERO LUONGO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 326/2015 della CORTE D’APPELLO di TRENTO,

depositata il 14/10/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17/02/2021 dal Consigliere Dott. ROSSANA GIANNACCARI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Bl.Ma., Ba.Ni., D.V.M. e M.M. agirono in giudizio innanzi al Tribunale di Trento nei confronti della Febru s.r.l. per chiedere il risarcimento dei danni corrispondente alle spese necessarie per eliminare i vizi oltre alla svalutazione delle unità abitative acquistate dalla società convenuta, che presentavano gravi difetti sia sotto l’aspetto strutturale, sia sotto il profilo dell’isolamento acustico.

1.2. La domanda venne accolta in primo grado.

1.2. La Corte d’appello di Trento, parzialmente riformando la decisione del Tribunale in relazione alla misura del danno da svalutazione, confermò per il resto la decisione del Tribunale.

1.4. Per quel che ancora rileva in sede di legittimità, la corte di merito non ritenne applicabile la L. n. 447 del 1995 per omessa adozione dei decreti attuativi, alla luce della dichiarazione di illegittimità costituzionale, giusta sentenza del 29/05/2013, n. 103, con cui il giudice delle leggi aveva stabilito che la disciplina relativa ai requisiti acustici passivi degli edifici e dei loro componenti non trovava applicazione nei rapporti tra privati e, in particolare, nei rapporti tra costruttori-venditori e acquirenti di alloggi. Al fine di accertare il superamento delle immissioni acustiche, la corte distrettuale utilizzò quali parametri di riferimento quelli stabiliti dal D.P.C.M. 5 dicembre 1997, rilevando, quanto alla caratteristiche dei vizi acustici, che il rumore da calpestio era percepibile all’orecchio umano ed era ineliminabile con successivi interventi. Preso atto che non tutti i vizi erano eliminabili attraverso lo svolgimento di lavori da parte dell’impresa, e quindi in forma specifica, accordò anche il danno per equivalente, pari alla riduzione di valore degli immobili, equitativamente determinato nella misura del 25% del prezzo di vendita.

2. Ricorre per cassazione la Ferbu snc sulla base di quattro motivi.

2.1. Bl.Ma., Ba.Ni., D.V.M. e M.M. resistono con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1669 c.c. e della L. n. 447 del 1995, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, oltre al vizio di omessa ed insufficiente motivazione, per avere la corte di merito accertato l’esistenza dei vizi sotto l’aspetto acustico sulla base della L. n. 447 del 1995 nonostante l’omessa adozione dei decreti ministeriali, previsti dell’art. 3, comma 1, lett. f) della legge.. Avrebbe inoltre errato la corte di merito nel ritenere che, a seguito della pronuncia della Corte Costituzionale N. 103/2013 – che ha ritenuto inapplicabile detta normativa ai rapporti tra privati e, in particolare, nei rapporti tra costruttori-venditori e acquirenti di alloggi – si potesse presumere l’esistenza del vizio per violazione dei parametri di cui al D.P.C.M. 5 dicembre 1997.

2. Con il secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2058,2056,1223 e 1226 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, oltre al vizio di insufficiente motivazione in ordine alla quantificazione equitativa del danno per equivalente, per avere la Corte d’appello liquidato il danno nella misura del 25% del prezzo pagato dagli acquirenti rispetto al prezzo d’acquisto, senza argomentare in ordine al percorso logico seguito ed ai parametri previsti dalla legge ma facendo riferimento a valutazioni personali ed arbitrarie.

3 .Con il terzo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1669,2058,2056,1223 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perché il danno sarebbe stato calcolato in via presuntiva, con riferimento al prezzo di compravendita e non al valore di mercato, senza che fosse stata data la prova del danno concreto. Secondo il ricorrente, doveva tenersi conto delle pertinenze degli immobili, garage, posto macchina, scale comuni ecc. in ordine alle quali non erano emersi vizi acustici. La società ricorrente, rilevando che il prezzo d’acquisto era inferiore a quello di mercato, individua, quale corretto parametro di riferimento il differenziale tra il prezzo di mercato, decurtato della svalutazione e quello corrisposto dagli acquirenti per l’acquisto delle unità abitative.

3.1. I motivi, che per la loro connessione, vanno trattati congiuntamente, sono infondati.

3.2. Giova premettere che la L. 26 ottobre 1995, n. 447, l’art. 3, comma 1, lett. e), (Legge quadro sull’inquinamento acustico), ha attribuito allo Stato la determinazione dei requisiti acustici passivi e di quelli delle sorgenti sonore degli edifici, rinviando la relativa disciplina ad apposito decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri. In ottemperanza a tale disposizione, è stato emanato il D.P.C.M. 5 dicembre 1997, che determina i suddetti requisiti, al fine di ridurre l’esposizione umana al rumore, e prescrive i limiti espressi in decibel che gli edifici costruiti dopo la sua entrata in vigore devono rispettare.

3.3. Nella materia in esame è poi intervenuta la direttiva 2002/49/CE, relativa alla determinazione e alla gestione del rumore ambientale, che è stata recepita con il D.Lgs. 19 agosto 2005, n. 194 (Attuazione della direttiva 2002/49/CE relativa alla determinazione e alla gestione del rumore ambientale), ed a seguito della scadenza della delega prevista dalla L. 31 ottobre 2003, n. 306, art. 14 (Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità Europee. Legge comunitaria 2003), la L. 7 luglio 2009, n. 88, art. 11 ha nuovamente delegato il Governo ad emanare uno o più decreti legislativi al fine di integrare nell’ordinamento la direttiva citata e di assicurare l’omogeneità delle normative di settore.

3.4. In particolare, la L. n. 88 del 2009, art. 11, comma 5 ha previsto che “in attesa del riordino della materia, la disciplina relativa ai requisiti acustici passivi degli edifici e dei loro componenti di cui alla L. 26 ottobre 1995, n. 447, all’art. 3, comma 1, lett. e), non trova applicazione nei rapporti tra privati e, in particolare, nei rapporti tra costruttori-venditori e acquirenti di alloggi sorti successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge”.

3.5. E’ successivamente intervenuta la L. 4 giugno 2010, n. 96, art. 15, che ha sostituito la disposizione sopra riportata con la seguente: ” In attesa dell’emanazione dei decreti legislativi di cui alla L. 26 ottobre 1995, n. 447, art. 3, comma 1, lett. e, si interpreta nel senso che la disciplina relativa ai requisiti acustici passivi degli edifici e dei loro componenti non trova applicazione nei rapporti tra privati e, in particolare, nei rapporti tra costruttori-venditori e acquirenti di alloggi, fermi restando gli effetti derivanti da pronunce giudiziali passate in giudicato e la corretta esecuzione dei lavori a regola d’arte asseverata da un tecnico abilitato”.

3.6. Come chiarito dal giudice delle leggi con la sentenza in esame (ed emerge con evidenza dal confronto dei due testi normativi), il secondo intervento normativo non ha affatto carattere “interpretativo”, bensì profondamente “innovativo”, sicché è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo.

3.7. Correttamente, la corte di merito non ha applicato, ai fini dell’accertamento dei requisiti acustici, la L. n. 447 del 1995 per omessa adozione dei decreti ministeriali che dovevano fissare i criteri per la progettazione, esecuzione e ristrutturazione delle costruzioni edilizie ai fini della tutela dell’inquinamento acustico; ha inoltre tenuto conto della sentenza della Corte Costituzionale N. 103/2013 che ha ritenuto inapplicabile detta normativa rapporti tra privati e, in particolare, nei rapporti tra costruttori-venditori e acquirenti di alloggi.

3.8. La disapplicazione della disciplina di cui al D.P.R. 5 dicembre 1997, disposta dalla L. n. 88 del 2009, art. 11, comma 5, estesa anche ai rapporti pregressi, non comporta alcun vuoto normativo in ordine all’accertamento di vizi inerenti all’isolamento acustico dell’immobile, poiché la materia trova specifica regolamentazione nella disciplina prevista dagli art. 1490 e 1491 c.c. in materia di vizi della cosa compravenduta; in carenza di una specifica disciplina di natura tecnica, l’accertamento dell’eventuale responsabilità per un vizio inerente all’isolamento acustico deve essere attuato tenendo conto delle norme tecniche di insonorizzazione degli edifici e dei canoni tecnici sulle sorgenti sonore suggerite dalle ordinarie regole dell’arte.

3.9. A queste ha fatto riferimento la corte di merito, utilizzando i parametri previsti dal D.P.C.M. 5 dicembre 1997 come mero elemento di riferimento, senza attribuirne efficacia vincolante al fine di valutare l’inadeguatezza dell’isolamento acustico degli alloggi. A tale riscontro si è accompagnato l’accertamento in fatto, sulla base delle risultanze della CTU, del grave rumore di calpestio, di tale entità da non poter essere eliminato nemmeno con idonei interventi.

3.10. Non vi è stata dunque alcuna presunzione di vizio ma l’accertamento in fatto della violazione delle modalità costruttive alla luce del D.P.C.M. 5 dicembre 1997, con finalità meramente orientativa, alla luce di assicurare alle unità abitative un idoneo isolamento acustico, che, nella fattispecie, era del tutto assente tanto da rendere facilmente percettibile ad orecchio nudo i rumori da calpestio e da non renderli eliminabili.

3.11. Proprio in ragione dell’eliminabilità di alcuni vizi, la corte di merito, ha riconosciuto, accanto al danno in forma specifica, il risarcimento del danno per equivalente. Ha invero accertato che le opere realizzate ponevano solo parziale rimedio all’insonorizzazione delle pareti verticali, sicché, ai fini dell’integrale ristoro del danno subito, ha individuato quale parametro di riferimento la svalutazione delle unità abitative. In tal modo, si è correttamente pervenuti all’integrale risarcimento del danno, affidato al criterio equitativo, con riferimento al valore di acquisto del bene, decurtato di una percentuale in considerazione delle opere eseguite, anche sulle parti comuni, proprio al fine di evitare una duplicazione tra il risarcimento del danno in forma specifica ed il risarcimento del danno per equivalente.

3.12. Il giudizio equitativo, che ricade nell’ambito della valutazione del giudice di merito non è stato quindi svincolato da parametri di natura oggettiva ma ha tenuto conto del valore d’acquisto del bene e delle opere eseguite, anche sulle parti comuni ed ha individuato il residuo danno da svalutazione dell’immobile in una percentuale del prezzo effettivamente sborsato. Tale danno, dopo l’eliminazione di alcuni vizi, è costituito da una percentuale di svalutazione dell’immobile, correttamente calcolato, sul prezzo d’acquisto.

3.13. Tale criterio è stato utilizzato da questa Corte anche per la determinazione della somma dovuta per riduzione di prezzo in relazione ai vizi della cosa venduta, ipotesi in cui è possibile il ricorso al criterio equitativo e al prudente apprezzamento del giudice (Cassazione civile sez. II, 06/10/2000, n. 13332, richiamata da Cassazione civile sez. VI, 25/01/2012, n. 1066, non massimata).

3.14. In particolare, proprio Cassazione civile, sez. VI, 25/01/2012, n. 1066 muove dal rilievo che non vi erano concrete possibilità di dimostrare l’entità della diminuzione di valore del bene a causa dei difetti di costruzione. Significativamente, neppure il ricorso è stato in grado di indicare quali fattori avrebbero potuto essere oggetto di prova e in qual modo, tanto che la richiesta di CTU volta a dimostrare che il valore effettivo dei beni fosse addirittura superiore al prezzo di compravendita, è stata ritenuta del tutto esplorativa. Si afferma in motivazione, con argomentazione condivisa dal collegio, che “una volta individuato il difetto, la correzione del prezzo è variabile in relazione a fattori peculiari di ogni singola contrattazione, quale l’interesse dell’aspirante acquirente di acquisire quell’immobile in funzione di ubicazione, esposizione, dimensioni, etc; il bisogno del venditore di realizzare il prezzo e quindi la disponibilità a sopportare maggiore o minore abbattimento di costi”.

3.15. Nel determinare la svalutazione sul prezzo di acquisto dell’immobile, la corte di merito ha correttamente osservato che il prezzo pagato, evidentemente oggetto di contrattazione tra le parti, corrispondeva al valore che le parti stesse, nella loro autonomia, intesero riconoscere ai beni oggetto della compravendita, intesi ovviamente come esenti da vizi. La corte ha quindi equitativamente temperato questo costo, pervenendo all’individuazione del 25/0 del prezzo di acquisto, in considerazione dei lavori già svolti per l’eliminazione dei vizi.

3.16. La decisione è in linea con i principi affermati da questa Corte sia in relazione al divieto di cumulo tra risarcimento in forma specifica e risarcimento per equivalente sia sotto il profilo della valutazione equitativa del danno, valutazione peraltro non suscettibile di sindacato in sede di legittimità quando non sia inficiata da vizi logici.

4. Il ricorso va pertanto rigettato.

4.1. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate in dispositivo.

4.2. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte di cassazione, il 17 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2021

 

 

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