Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21922 del 16/10/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 21922 Anno 2014
Presidente: STILE PAOLO
Relatore: BALESTRIERI FEDERICO

SENTENZA

sul ricorso 16526-2010 proposto da:
GRUPPO GORLA S.P.A. C.F. 03699960153, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA DEL CORSO 504, presso lo
studio dell’avvocato IELPO NICOLA, che la rappresenta
e difende giusta delega in atti;
– ricorrente –

2014

contro

1978

JORGE

FERNANDO

C. F.

BSTUGF63M15Z6051,

RESTUCCIA

DOMENICO

C. F.

RSTDNC73E28Z110M,

PEZZINO

FERDINANDO

C. F.

BUESTAN

MONTALVAN

Data pubblicazione: 16/10/2014

PZZFDN71S10G273D, domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR,
presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI
CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato
SCAFFIDI DOMIANELLO MANUELA ANGELA, giusta delega in
atti;

avverso la sentenza n. 506/2009 della CORTE D’APPELLO
di MILANO, depositata il 23/06/2009 r.g.n. 956/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 04/06/2014 dal Consigliere Dott. FEDERICO
BALESTRIERI;
udito l’Avvocato IELPO NICOLA;
udito l’Avvocato MOSHI NYRANNE per delega verbale
SCAFFIDI DOMIANELLO MANUELA ANGELA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIANFRANCO SERVELLO, che ha concluso
per il rigetto del ricorso.

– controricorrenti

Svolgimento del processo
I ricorrenti in epigrafe, dipendenti della s.p.a. Gruppo Gorla ed
addetti alla pulizia ed al lavaggio dei locomotori e delle carrozze
ferroviarie, dei locali e piazzali della stazione presso l’impianto
Ferrovie dello Stato di Milano San Rocco, appellavano la sentenza
con cui il Tribunale di Milano respinse le loro domande dirette ad
ottenere la condanna della società datrice di lavoro al

contrattuale e\o per ingiustificato arricchimento, dell’importo
corrispondente al valore della prestazione resa per prowedere al
lavaggio degli indumenti stessi, in misura non inferiore a quattro
ore settimanali di straordinario diurno per ciascuno, oltre alle
spese vive sostenute, da determinarsi, anche in via equitativa, in
misura non inferiore ad E.60,00 mensili.
Lamentavano che il primo giudice errò nel ritenere tali indumenti
(pantaloni, camicie e giacche forniti dalla società) semplicemente
identificativi dell’azienda presso cui lavoravano e non uno
strumento di protezione dagli infortuni (per esposizione a rischi di
infezioni morbose), e dunque dispositivi di sicurezza individuali,
che la società aveva l’obbligo di mantenere efficienti, se del caso
prowedendo alla loro riparazione o sostituzione.
La società Gruppo Gorla resisteva al gravame.
Con sentenza depositata il 23 giugno 2009, la Corte d’appello di
Milano accoglieva parzialmente il gravame, condannando la
società a pagare, a ciascuno dei ricorrenti, l’importo
corrispondente ad un’ora settimanale di lavoro straordinario
diurno, nei limiti della prescrizione decennale, a decorrere dalla
data di costituzione in mora, compensando per metà le spese del
doppio grado, ponendo a carico della società il residuo.
Per la cassazione propone ricorso la società Gruppo Gorla,
affidato a nove motivi, poi illustrati con memoria.

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pagamento, a titolo di risarcimento del danno da inadempimento

Resistono i lavoratori con controricorso. La società Gruppo Gorla
deposita osservazioni per iscritto sulle conclusioni del pubblico
ministero (art.379, comma 4, c.p.c.).
Motivi della decisione
1.-Con il primo motivo la società Gruppo Gorla denuncia la
violazione e falsa applicazione degli artt. 435, comma 2, e 154
c.p.c. Si duole che il mancato rispetto del termine di dieci giorni

pedissequo decreto di fissazione di udienza, determini, ex art.
154 c.p.c., la decadenza dell’appellante dall’impugnazione o
l’improcedibilità dell’appello.
Il motivo è infondato, non avendo il termine in questione natura
perentoria. Come più volte affermato dalla dottrina e dalla
giurisprudenza di questa S.C. (da ultimo: Cass. 31.5.12 n. 8685),
nel rito del lavoro, il termine di dieci giorni assegnato
all’appellante dall’art. 435, comma secondo, cod. proc. civ., per la
notificazione del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza
non è perentorio e la sua inosservanza non comporta, perciò,
alcuna decadenza, sempre che, come precisato dalla Corte cost.,
ord. n. 60 del 2010, resti garantito all’appellato uno “spatium
deliberandi” non inferiore a quello legale prima dell’udienza di
discussione affinché questi possa approntare le sue difese, e
purché non vi sia incidenza alcuna del comportamento della
parte, in mancanza di differimento dell’udienza, sulla ragionevole
durata del processo, circostanze, queste ultime, neppure
adombrate dalla ricorrente.
2.- Con il secondo motivo la società Gorla, deducendo violazione
e falsa applicazione degli artt. 2727,2729 cc e 115 cpc, pone il
seguente interpello:”se a norma degli artt. 2727,2729 cc e 115
cpc, nella controversia in atti, possa essere assunto come fatto
notorio l’esistenza di rischi per la salute dei lavoratori causati da
non meglio identificati agenti patogeni presenti nello svolgimento
delle mansioni, indicati nella sentenza impugnata, owero se ciò

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di cui all’art. 435 c.p.c. per la notifica del ricorso in appello e del

esorbiti dalle nozioni di comune esperienza e debba essere
accertato in fatto a mezzo degli ordinari strumenti processuali,
segnatamente a mezzo di CTU sanitaria che accerti tecnicamente
se le mansioni espletate abbiano esposte necessariamente il
lavoratore agli agenti patogeni e se perciò fosse necessario
dotarli sempre e contemporaneamente di tuta DPI”.
3.- Con il terzo e quarto motivo la società Gorla, denunciando

377-379 DPR n. 547/55 e 39 CCNL 24 aprile 2001 del settore
degli addetti alle Imprese fornitrici di servizi operanti nel settore
ferroviario e dei trasporti anche con riferimento all’art. 1362 cc,
nonché dell’art. 2087 c.c., formula il seguente interpello:” Se ai
sensi degli artt. 40-43 DLgs n.626/94, 377-379 DPR n. 547/55 e
39 CCNL citato in rubrica, qualsiasi indumento utilizzato dai
lavoratori per il solo fatto che venga indossato durante un’attività
a rischio di contatto con agenti patogeni costituisca DPI a
prescindere dalle caratteristiche e dalla qualità di protezione
intrinseche dell’indumento stesso ed anzi anche quando ne sia
accertata la inidoneità o se, viceversa, sia necessario che gli
indumenti possiedano le necessarie qualità tecniche per espletare
la funzione di DPI. Se a mente dei succitati articoli siano DPI gli
indumenti forniti ai sensi dell’art. 39 Con.Coll. lettera a) e se,
viceversa, siano semplici indumenti con funzione distintiva e di
decoro. Infine, sempre a mente dei succitati articoli, se il lavaggio
e la stiratura di indumenti privi dei requisiti tecnici per potere
svolgere la funzione di DPI rientrino nel concetto di
manutenzione di dispositivo di protezione individuale e come tali
debbano essere a carico del datore di lavoro, owero se tali
attività rientrino nel concetto di cura e come tali rimangano ex
art. 39 CCNL di categoria a carico del lavoratore”.
4.- Allega, inoltre, la violazione dell’art. 39 CCNL 24 aprile 2001
del settore degli addetti alle Imprese fornitrici di servizi operanti

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violazione e falsa applicazione degli artt. 40-43 DLgs n.626/94,

nel settore ferroviario e dei trasporti anche con riferimento all’art.
1362 cc e difetto totale di motivazione.
Indica la società quale “punto decisivo” la “inesistenza del diritto
dei lavoratori di vedersi risarcite le prestazioni di mero lavaggio e
stiratura di indumenti privi di caratteristiche protettive ma
utilizzati in prestazioni che presentino rischi e di esposizione agli
agenti patogeni tenendo conto dell’accollo in capo al lavoratore

lavoro originariamente forniti a mente dell’art. 39 CCNL lettera
a”.
Formula la società, poi, il seguente quesito: lise alla luce dell’art.
39 CCNL di categoria, il lavoratore abbia diritto al risarcimento
del danno ed al rimborso spere per il lavaggio della tuta anche
quando l’attività sia consistita in semplice lavaggio e stiratura ed
abbia riguardato semplici indumenti di lavoro privi della
caratteristiche di DPI, ancorché utilizzati in protezioni a rischio di
esposizione di agenti patogeni, owero se in tal caso il
corrispettivo di tale attività sia già compreso nella determinazione
della retribuzione concordata in sede di CCNL tenendo conto
dell’accollo in capo al lavoratore dell’obbligo di curare la buona
conservazione degli indumenti di lavoro originariamente forniti a
mente dell’art. 39 CCNL lett. a)”.
5.-Con il sesto motivo lamenta il mancato esame di taluni
documenti inerenti la differenziazione della tuta ordinaria dal
d.p.i. e le prestazioni per le quali era sufficiente l’utilizzo della
prima. Occorre in tal caso subito rimarcare che la censura è priva
del necessario quesito cd. di fatto, omologo del quesito di diritto,
previsto dall’art. 366 bis c.p.c. anche per le censure inerenti la
motivazione della sentenza impugnata.
6.- Con il settimo ed ottavo motivo la società denuncia la
violazione e falsa applicazione degli artt. 1175, 1375, 1227 e
1223-1226 c.c.; chiede inoltre se la quantificazione del danno
subita dai lavoratori di Gorla debba essere riferita al mero danno

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dell’obbligo di curare la buona conservazione degli indumenti di

emergente pari ai costi vivi sostenuti dal danneggiato a causa
della inadempienza rilevata, ovvero debba comprendere anche il
lucro cessante del quale non sia stata fornita alcuna prova
neppure generica, avendo peraltro con la sua inerzia contribuito
alla sua causazione, ed essere altresì parametrato ad un
valore,ad esempio la paga oraria, per lavoro straordinario,
sproporzionato e non omogeneo rispetto al costo effettivo della

7.- Con il nono motivo la società, denunciando difetto totale di
motivazione, indica quale “punto” decisivo la ” liquidazione
equitativa del danno rapportato alla retribuzione oraria per lavoro
straordinario anziché al costo effettivo di lavaggio di una tuta da
lavoro ordinaria ed al tempo necessario per eseguirlo quale
risultante dal progetto Brunati Daniele ( doc. 2 della produzione
Gorla in primo grado) non esaminato dalla Corte territoriale”.
8.- Con il decimo motivo la società lamenta la violazione degli
artt. 2946-2948 cc, e sostiene che, partendo la decisione
impugnata dall’erroneo presupposto che la tuta da lavoro sia
equiparabile agli indumenti DPI e essendo, invece,

tale

equiparazione inammissibile, non si sarebbe dovuto affermare la
sussistenza di un inadempimento contrattuale, ma piuttosto
parlare di attribuzione a ciascun lavoratore di “una ulteriore
retribuzione per avere eseguito una prestazione non prevista in
contratto”, con conseguente applicazione della prescrizione
quinquennale ex art. 2948, n. 4, cc.
8-1 I motivi dei ricorsi, che vanno trattati unitariamente per la loro
stretta connessione dal punto di vista logico-giuridico, sono
infondati.
Mette conto, innanzitutto, osservare che quanto alla questione
del fatto notorio — concernente l’esistenza dei rischi per la salute
dei lavoratori – trova applicazione il principio, reiteratamente
affermato dalla giurisprudenza di legittimità (cfr, ex plurimis,
Cass., SU, n. 9961/1996; Cass., nn. 2700/1997; 26081/2005),

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attività anzidetta”.

secondo cui in tema di prova per presunzioni (la quale
rappresenta uno strumento, normativamente concesso al giudice,
che permette di arrivare alla conoscenza di un fatto per il quale
non sia possibile dare una diretta dimostrazione, attraverso un
procedimento logico)non occorre che i fatti su cui si fonda la
presunzione siano tali da far apparire l’esistenza del fatto ignoto
come l’unica conseguenza possibile dei fatti accertati in giudizio,

canone di probabilità, con riferimento ad una connessione di
avvenimenti possibile e verosimile secondo un criterio di
normalità; né, a tal riguardo, l’apprezzamento del giudice di
merito circa l’esistenza degli elementi assunti a fonte della
presunzione e circa la rispondenza di questi ai requisiti di
idoneità, gravità e concordanza richiesti dalla legge, è sindacabile
in sede di legittimità, salvo che risulti viziato da illogicità o da
errori nei criteri giuridici; ciò nella specie, non è dato riscontrare.
Va,poi, annotato che la Corte territoriale ha accertato in fatto la
funzione protettiva svolta dagli indumenti per cui è causa, con
una valutazione in concreto che prescinde dalla loro awenuta
qualificazione o meno in tal senso da parte delle fonti contrattuali
richiamate dalle ricorrenti, sicché le critiche svolte, anche sotto il
profilo della violazione di legge e di contratto collettivo, si
risolvono nell’inammissibile richiesta di un riesame di circostanze
fattuali già vagliate dai Giudici del merito, con motivazione
coerente con i dati acquisiti ed immune da vizi logici; peraltro i
relativi quesiti di diritto presentano altresì evidenti motivi di
inammissibilità, presupponendo a sua volta i suddetti
accertamenti fattuali non consentiti in questa sede di legittimità.
Mette conto evidenziare,inoltre, quanto agli altri profili di
censura, che, come affermato dalla giurisprudenza di questa
Corte, i lavoratori hanno diritto alla retribuzione dell’attività
lavorativa prestata ed al rimborso delle spese sostenute, per la
pulizia degli indumenti di protezione, forniti dal datore di lavoro,

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è sufficiente che il fatto ignoto sia desunto alla stregua di un

risultando affetta da nullità parziale, per contrasto con norme
imperative, la clausola, in senso contrario, del contratto collettivo
che, sostituita di diritto dalle stesse norme inderogabili, concorre
a conformare i contratti individuali di lavoro, sui quali si fondano i
diritti alla retribuzione ed al rimborso spese dei lavoratori (cfr., ex
plurimis, Cass., n. 14712/2006; 18537/2007; 11729/2009;
23314/2010; cfr., altresì, Cass., n. 11139/1998).

inteso addossare ai lavoratori le spese di lavaggio dei DPI (il che
nella specie deve escludersi, perché prevedere che il lavoratore
debba avere cura della buona conservazione degli indumenti non
significa di per sé che debba provvedere al loro lavaggio), una
siffatta previsione, siccome contraria a norme imperative, non
potrebbe comunque esonerare il datore di lavoro dall’onere delle
spese di cui qui si controverte
Né è condivisibile la tesi secondo la quale

il danno da

inadempimento non dovrebbe essere quantificato alla luce della
perdita subita dal danneggiato quale conseguenza immediata e
diretta dell’inadempimento (cfr., art. 1223 cc), bensì alla stregua
dei costi di cui sarebbe stato onerato il soggetto inadempiente se
avesse adempiuto correttamente alle proprie obbligazioni. A
tanto aggiungasi che, in ogni caso, in violazione del principio di
autosufficienza del ricorso per cassazione, neppure sono state
indicate le fonti probatorie relative agli i elementi di conteggio
della spesa occorrente per il lavaggio degli indumenti.
Circa la liquidazione equitativa è assorbente la considerazione
che il relativo motivo, così come il quesito svolto, sono
inammissibili, sia perché fanno riferimento ad un ipotetico
risarcimento da lucro cessante di cui non vi è traccia nella
sentenza impugnata, sia perché presuppongono un accertamento
di fatto sulla sproporzione del risarcimento liquidato, senza che
sia neppure fornita l’indicazione delle fonti probatorie che
dovrebbero sostenere tale assunto.

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Ne consegue che quand’anche la contrattazione collettiva avesse

Da ultimo va osservato, per quanto concerne la questione della
prescrizione, che il motivo, come l’interpello di diritto che allo
stesso accede, sono inammissibili, siccome fondati su un
presupposto contrario all’accertamento fattuale svolto dai Giudici
del merito (irretrattabile alla luce del mancato accoglimento delle
relative e già esaminate doglianze), ossia che gli indumenti de
quibus non fossero qualificabili come DPI; nella quale

datoriale, neppure avrebbe potuto essere accolta la pretesa
azionata.
In conclusione il ricorso deve essere rigettato, rimanendo, nelle
svolte considerazioni, assorbite tutte le ulteriori critiche.
L’opinabilità insita nelle valutazioni fattuali rilevanti ai fini del
decidere, di cui è testimonianza l’esito tra loro difforme, delle
pronunce di merito, consiglia la compensazione delle spese del
presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese del presente
giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 4 giugno
2014

insussistente ipotesi, del resto, difettando l’inadempimento

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