Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21922 del 07/09/2018

Cassazione civile sez. I, 07/09/2018, (ud. 06/07/2018, dep. 07/09/2018), n.21922

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 26364/2013 r.g. proposto da:

R.A., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso,

giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato

Francesco Punzo, presso il cui studio elettivamente domicilia in

Roma, al Viale Somalia n. 250;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI MARINEO, (p. iva (OMISSIS)), in persona del Sindaco pro

tempore, dott. B.P., rappresentato e difeso, giusta

procura speciale apposta a margine del controricorso, dall’Avvocato

Saverio Lo Monaco, con cui elettivamente in Roma, alla via Cosseria

n. 5, presso lo studio dell’Avvocato Laura Tricerri;

– controricorrente –

nonchè sul ricorso incidentale proposto da:

COMUNE DI MARINEO, come sopra rappresentato e difeso;

– ricorrente incidentale –

nei confronti di:

R.A., rappresentato e difeso come sopra;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza della CORTE DI APPELLO DI PALERMO, depositata il

26/07/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/07/2018 dal Consigliere dott. Eduardo Campese;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

Sorrentino Federico, che ha concluso chiedendo l’accoglimento, per

quanto di ragione, del ricorso principale, con assorbimento, o, in

subordine, rigetto di quello incidentale;

udito, per il controricorrente, l’Avv. M. Merlini, per delega

dell’Avv. Lo Monaco, che ha chiesto rigettarsi il ricorso del R.

ed accogliersi il proprio ricorso incidentale.

Fatto

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

1. Il Comune di Marineo affidò, nel corso dell’anno 1989, all’ing. R.A., la progettazione e direzione dei lavori per la realizzazione di un nuovo mattatoio comunale, approvando, altresì, anche il relativo disciplinare di incarico, contenente una clausola (l’art. 11) nella quale era stabilito che l’onorario sarebbe stato corrisposto solo dopo l’ammissione a finanziamento dell’opera, mentre il professionista s’impegnava a non pretendere alcun compenso, nemmeno per spese vive, qualora ciò non fosse avvenuto.

1.1. L’ing. R., nel giugno 1990, trasmise al comune il progetto esecutivo dell’opera, ma, qualche anno dopo, apprese, dalla lettura dei giornali, che l’ente locale aveva aggiudicato i lavori di ristrutturazione del vecchio mattatoio e, così, abbandonato il suo progetto. Pertanto, invitò il comune al pagamento delle proprie competenze e, in difetto, promosse la costituzione di un collegio arbitrale cui chiese la condanna del primo al pagamento delle proprie competenze a titolo di corrispettivo contrattuale e, in subordine, per inadempimento contrattuale. In ulteriore linea subordinata, a titolo di arricchimento senza giusta causa.

2. Pronunciando sui quesiti formulati, con lodo del 12 gennaio 1998, il collegio predetto accolse la domanda proposta in via subordinata dal professionista, e condannò il comune al risarcimento del danno per inadempimento, ma la Corte di appello di Palermo, adita dall’ente rimasto soccombente, dichiarò nullo quel lodo.

2.1. Secondo i giudici statali, nel caso di specie non si sarebbe potuto applicare l’istituto della finzione di avveramento della condizione, di cui all’art. 1359 c.c., perchè: a) la condizione del finanziamento non si sarebbe potuta ritenere avverata, solo perchè in un secondo momento sarebbe venuto meno l’interesse dell’ente locale al finanziamento; b) si trattava di una condizione mista, essendo l’efficacia del contratto subordinata alla verificazione di un evento futuro ed incerto dipendente, in parte, anche dalla volontà del comune, che, per ottenere il menzionato finanziamento, avrebbe dovuto richiederlo; c) non era configurabile un obbligo in capo al comune, il cui comportamento non sarebbe stato valutabile, ai sensi dell’art. 1358 c.c., secondo la clausola della buona fede.

3. Contro tale pronuncia, il R. propose ricorso per Cassazione, resistito dal Comune di Marineo, che formulò anche ricorso incidentale, e la Suprema Corte, con sentenza n. 14198 del 2004, accolse il ricorso principale, respinse quello incidentale, cassò la sentenza impugnata e rinviò la causa, anche per le spese, ad altra sezione della Corte d’appello di Palermo.

4. Quest’ultima, adita in riassunzione, ex art. 392 c.p.c., con sentenza del 26 luglio 2012, n. 1166, rigettò la domanda di nullità del lodo arbitrale e, in parziale riforma dello stesso, ridusse la somma liquidata al R. dal collegio arbitrale ad Euro 20.000,00, oltre interessi legali dal 15.12.1995 al soddisfo, statuendo, altresì, sulle spese processuali (comprensive di quelle relative al giudizio arbitrale ed al processo di legittimità) fino ad allora maturatesi.

4.1. Per quanto qui ancora di interesse, la stessa ritenne che: i) in applicazione dei principi di diritto stabiliti dalla citata pronuncia di legittimità, non poteva dubitarsi “non solo della validità del lodo (già dichiarato nullo dalla precedente sentenza di questa Corte), ma anche della correttezza della pronuncia del Collegio arbitrale sulla domanda di inadempimento ex art. 1358 c.c. proposta dall’ing. R.”; 2) circa il quantum risarcibile del “danno derivante dall’inadempimento”, doveva farsi riferimento non all’intero valore del progetto redatto dal professionista, ma, esclusivamente, alla chance di quest’ultimo di ottenere il pagamento del compenso spettantegli, atteso che la definitiva decisione sul finanziamento dell’opera sarebbe spettata agli enti finanziatori e non al comune; 3) il danno così qualificato doveva equitativamente liquidarsi, all’attualità, in Euro 20.000,00, oltre gli interessi legali dal 15 dicembre 1995 fino all’effettivo soddisfo.

5. Avverso la suddetta sentenza, non notificata, ricorre per cassazione il R., affidandosi a due motivi (il secondo dei quali svolto solo in via subordinata), resistiti dal Comune di Marineo che, a sua volta, propone ricorso incidentale con tre motivi, altresì, depositando memoria ex art. 378 c.p.c..

5.1. Il ricorso principale prospetta:

1) “Art. 360 c.p.c., n. 3. Violazione o falsa applicazione dell’art. 384 c.p.c., comma 2, e art. 1359 c.c., in relazione alla mancata conformità della decisione della Corte di appello di Palermo ai principi di diritto enunciati dalla Corte di cassazione”, assumendosi che, in applicazione di questi ultimi, una volta dichiarata fittiziamente avverata la descritta condizione di cui al contratto inter partes, “il diritto del professionista al compenso per l’opera prestata non sarebbe stato più sottoposto a condizione ma avrebbe dovuto essere liquidato dalla Corte di Appello nel suo intero ammontare” (cfr. pag. 13 del ricorso), pari a quello delle competenze professionali nella misura accertata dal collegio arbitrale e corrispondente all’intera parcella;

2) “Art. 360 c.p.c., n. 3. Violazione o falsa applicazione degli artt. 384 c.p.c., comma 2, artt. 1358 e 1359 c.c., in relazione al risarcimento del danno liquidato non per l’intero ammontare delle competenze professionali alla luce delle prove acquisite, ma per perdita di chance con valutazione equitativa”, sostenendosi che, essendo stati forniti, in corso di giudizio, elementi di prova utili a dimostrare che il progetto aveva tutte le possibilità di essere approvato, erroneamente la sentenza impugnata aveva riconosciuto il risarcimento del danno in relazione alla chance ivi individuata piuttosto che al suo intero ammontare.

5.2. Con i formulati motivi di ricorso incidentale, il Comune di Marineo deduce:

1) “Art. 360 c.p.c., n. 3. Violazione o falsa applicazione dell’art. 1358 c.c. in relazione al riconoscimento di responsabilità del Comune di Marineo alla luce delle prove acquisite”, ascrivendo alla corte distrettuale di aver ritenuto sussistente una sua responsabilità malgrado la documentazione prodotta dimostrasse il suo aver agito con diligenza e correttezza;

2) “Art. 360 c.p.c., n. 3, c.p.c.. Violazione o falsa applicazione degli artt. 2697 e 1226 c.c.”, relativamente al riconosciuto danno in favore del R., di cui, invece, era mancata qualsivoglia dimostrazione;

3) “Art. 360 c.p.c., n. 5. Omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa il quantum liquidato”, non avendo la predetta corte minimamente argomentato l’entità del risarcimento come equitativamente attribuito alla controparte.

6. Ritiene il Collegio che il primo motivo del ricorso principale ed il primo motivo di quello incidentale possono essere scrutinati congiuntamente perchè entrambi postulano l’accertamento della sussistenza, o meno, alla stregua dei principi sanciti dalla decisione di legittimità n. 14198 del 2004, della responsabilità del Comune di Marineo invocata dal R..

6.1. E’ necessario, allora, premettere che l’appena menzionata decisione, il cui dictum il R. assume essere stato disatteso dalla corte palermitana nella propria sentenza (oggi impugnata) n. 1166/2012, dopo aver ripercorso l’iter del processo fino a quel momento, ritenne (cfr., amplius, pag. 7-17) che: 1) la Corte di appello di Palermo, nella sentenza n. 462 del 23 febbraio 24 maggio 2000, ivi impugnata, aveva qualificato quello intercorso tra gli odierni contendenti come un raccordo sottoposto ad una condizione sospensiva mista, in quanto l’efficacia del contratto (e, quindi, il diritto di credito del professionista) era subordinata alla verificazione di un evento futuro ed incerto dipendente, in parte, dalla volontà di uno dei contraenti (in quanto la concessione del finanziamento dipendeva anche da comportamento del comune che, a giudizio degli arbitri, manifestò, successivamente, per segni inequivoci, la volontà di non avvalersene). Tale qualificazione era incensurabile in Cassazione perchè “…rientra nei poteri del giudice investito dell’impugnazione di nullità del lodo, anche nella fase rescindente del proprio giudizio, quello di dare ai fatti accertati dagli arbitri una diversa o ulteriore qualificazione, purchè funzionale all’accoglimento della domanda della parte attrice in impugnazione (nella specie: la domanda di annullamento del lodo per violazione di una regola giuridica) e senza l’esercizio di poteri di accertamento del fatto, che deve essere identico a quello contenuto nel lodo impugnato e non può subire modificazioni”; 2) non potesse condividersi l’assunto, ripreso anche da una parte della giurisprudenza di legittimità, secondo cui un congegno negoziale, sottoposto ad una condizione mista, non può avere ad oggetto un obbligo giuridico per il segmento non casuale attribuito alla volontà della parte (nella specie, il comune che aveva interesse, ma non il dovere, di attivarsi nel chiedere, il finanziamento dell’opera progettata dal professionista). Infatti, “la natura potestativa di uno dei due segmenti in cui si articola la condizione mista non può tradursi nella assoluta arbitrarietà di comportamento per quella parte che – in base all’accordo contrattuale – è chiamata ad esprimere quella volontà che costituisce anche una componente della condizione”; 3) “l’aspettativa del contraente interessato all’avveramento della condizione è tutelata dall’ordinamento, poichè alcune disposizioni codicistiche prevedono una peculiare disciplina in ordine al periodo di pendenza della condizione, e stabiliscono, in particolare, quale debba essere il comportamento delle parti nello stato di pendenza (art. 1358) o la sanzione (la cd. fictio di avveramento) in caso di mancanza di essa “per causa imputabile alla parte che aveva interesse contrario” al suo verificarsi (art. 1359). La prima disposizione obbliga, in particolare, la parte che ha una posizione forte all’interno del rapporto contrattuale a “comportarsi secondo buona fede per conservare integre le ragioni dell’altra parte””; 4) Cass. n. 9587 del 2000, esaminando un caso pressochè analogo a quello oggetto di questa controversia, – e benchè impegnata nella risoluzione del diverso problema della natura vessatoria (o meno) della clausola contrattuale di subordinazione del pagamento del compenso al professionista, progettista di un’opera per conto di un altro comune, al finanziamento dell’opera – ebbe già a riconoscere l’esistenza di un vero e proprio “obbligo giuridico” per il comune (e, in genere, per la P.A.) di assicurare un comportamento che non comprometta le ragioni dell’altro contraente (ossia, quello che ha interesse all’avverarsi della condizione) e che si sostanziava, anzitutto, nell’obbligo di presentazione della domanda di ammissione del progetto al finanziamento; 5) “tale obbligo, ovviamente, non discende dalla formulazione delle pattuizioni negoziali ma direttamente dalla legge, e cioè dall’art. 1358 c.c., il quale obbliga, come si è già detto, la parte che ha una posizione “forte” all’interno del rapporto contrattuale, a “comportarsi secondo buona fede per conservare integre le ragioni dell’altra parte”. Tale previsione, che è speciale, rispetto a quella generale di cui all’art. 1375 c.c., comportava, per la P.A., “il dovere di attivarsi in modo adeguato e conducente per ottenere il finanziamento dell’opera”, ingiustamente escluso, invece, dalla corte territoriale, per la sua presunta incompatibilità con la condizione mista”; 6) “gli obblighi di correttezza e buona fede, che nel rapporto contrattuale… hanno la funzione di salvaguardare l’interesse della controparte alla prestazione dovuta ed all’utilità che la stessa le assicura, imponendo una serie di “comportamenti di contenuto atipico”, vengono individuati mediante un giudizio applicativo di norme elastiche e soggetto al controllo di legittimità al pari di ogni altro giudizio fondato su norme di legge…. Tali obblighi, insomma, consistono nell’insieme dei principi giuridici puntualizzati dalla giurisdizione di legittimità, e vengono, quindi, ad assumere la consistenza di standard che rispetto a detti principi sono in rapporto essenziale ed integrativo”; 7) “con riferimento al comportamento della parte pubblica, nella pendenza della condizione del finanziamento delle opere, gli arbitri (prima) e la corte d’appello (poi) erano chiamati a controllare l’osservanza – da parte del comune – del principio del perseguimento dell’interesse pubblico, già individuato con la conclusione del contratto di progettazione, e necessitante del suo completamento con l’espletamento dei procedimenti amministrativi, conducenti al conseguimento del finanziamento dell’opera. Certo la P.A. può ben mutare le sue valutazioni, ma allora essa assume ogni responsabilità, per tale cambiamento di posizione in ordine all’interesse pubblico da perseguire, nei confronti di coloro con i quali ha contrattato e che, avendo riposto affidamento su quello, sono divenuti portatori di posizioni di diritto soggettivo o di aspettativa tutelata nascenti dal rapporto instaurato in via negoziale”; 8) “se la responsabilità della P.A., invocata per atto illegittimo risalente agli anni settanta, va inquadrata nello schema del danno ingiusto, di cui all’art. 2043 c.c., con riferimento al periodo successivo all’entrata in vigore della L. n. 241 del 1990 è invocabile la nuova concezione dei rapporti tra cittadino ed amministrazione, in virtù della quale la pretesa alla regolarità dell’azione amministrativa va valutata secondo i canoni contrattuali di correttezza e buona fede. E’ a tali canoni, integrati dalle previsioni stabilite dalla L. n. 241 del 1990, che deve improntarsi la valutazione del giudice di merito, il quale ha errato nell’escludere la possibilità di un qualsiasi controllo sul comportamento del comune, nella pendenza della condizione, in base all’erronea affermazione in diritto secondo la quale il comportamento dell’Amministrazione, in tali casi, sarebbe svincolato da qualsiasi doverosità”; 9) “…la Corte territoriale ha censurato il lodo arbitrale ravvisando un’altra violazione di legge, ossia una violazione dell’art. 1359 c.c., il quale esige, perchè sia integrata la fictio di avveramento della condizione, che, per la parte che abbia dato luogo a quella causa impeditiva del fatto dedotto in condizione, sussista, quale presupposto, sul piano dell’interpretazione negoziale (e senza che possano prendersi in considerazione fatti sopraggiunti nel corso dell’esecuzione del contratto), “un interesse contrario all’avveramento di essa”. Tale interesse contrario è stato escluso dalla Corte, previa l’identificazione della domanda – proposta dal professionista – come un’azione di inadempimento per avvenuto avveramento fittizio della condizione di finanziamento e non già per responsabilità ex art. 1358 c.c., tout court”; 10) erroneamente la corte territoriale aveva annullato il lodo sostenendo che, sul piano negoziale, non risultava l’esistenza di un contrario interesse del comune all’avveramento della condizione: così operando, infatti, essa si era sostituita al collegio arbitrale ed aveva compiuto una valutazione delle clausole contrattuali che non era di spettanza del giudice dell’impugnazione del lodo, salvo che le parti (e ciò non risultava dalla motivazione della sentenza) ne avessero censurato la ricostruzione in base alla violazione degli artt. 1362 c.c. e ss..

6.1.1. In definitiva, secondo la riportata Cass. n. 14198 del 2004, la sentenza innanzi ad essa impugnata doveva essere cassata (con rinvio) perchè, da un lato, aveva contravvenuto ai principi di diritto stabiliti in materia di limiti al controllo delle determinazioni arbitrali, invadendo l’autonomia del collegio privato, e, dall’altro, aveva violato i principi vigenti in materia di comportamento delle parti nello stato di pendenza della condizione.

6.2. Orbene, è noto che al giudice di rinvio è impedito il rimettere in discussione, anche soltanto implicitamente, gli enunciati contenuti nella sentenza di cassazione o quelli che ne costituiscono il necessario presupposto (cfr., ex aliis, Cass. n. 16171 del 2015). Nel giudizio di rinvio, infatti, resta precluso l’esame di ogni questione logicamente pregiudiziale ed incompatibile non rilevata dalla Corte Suprema o perchè non investita della sua decisione da un motivo di ricorso o anche perchè la questione, pur se in astratta ipotesi rilevabile d’ufficio, non lo è stata. La pronuncia di legittimità può essere, dunque, rimessa in discussione nel giudizio suddetto solo in base a fatti sopravvenuti al passaggio in decisione della causa in appello o a mutamenti normativi successivi alla pubblicazione della sentenza di cassazione (cfr. Cass. Cass. 25153 del 2017; Cass. n. 17167 del 2002; Cass. n. 11614 del 1998).

6.2.1. Da tutto quanto fin qui detto consegue, dunque, che, nella specie, il nuovo giudice di rinvio, per ottemperare a quanto prescrittogli dalla descritta pronuncia di legittimità n. 14198 del 2004, avrebbe dovuto, avvalendosi delle previsioni normative di cui agli artt. 1358 e 1359 c.c., e ferma la qualificazione giuridica (su cui, ormai, si era formato il giudicato) dell’accordo inter partes come sottoposto ad una condizione sospensiva mista: a) valutare la correttezza, o non, della condotta del Comune di Marineo pendente condizione; b) statuire, all’esito, sulla spettanza, o meno, del diritto del R. non al pagamento del corrispettivo contrattualmente pattuito, bensì del mero risarcimento del danno da inadempimento contrattuale.

6.2.2. In ordine a questo secondo profilo, infatti, va ricordato che il lodo (cfr. pag 1, 7 e 8 della sentenza impugnata) aveva respinto la domanda, ivi formulata in via principale dall’odierno ricorrente, di condanna del comune al pagamento delle competenze professionali, da lui reclamate invocando la fictio di avveramento della condizione apposta nel disciplinare di incarico, a titolo di corrispettivo ab origine pattuito, ed aveva accolto quella, dal medesimo proposta in via subordinata, di risarcimento derivante da inadempimento: il R. non aveva impugnato detta decisione, sicchè sulla descritta domanda in quella sede respinta non è oggi possibile discutere nuovamente, residuando, invece, come si è anticipato, come oggetto di lite quella risarcitoria.

6.3. E’ utile rammentare, infine, che la giurisprudenza di legittimità ha ripetutamente chiarito che, in sede di ricorso per cassazione avverso la sentenza che abbia deciso sull’impugnazione per nullità del lodo arbitrale, al fine di verificare se detta sentenza sia affetta da violazioni di legge e sia adeguatamente motivata in relazione ai motivi di impugnazione del lodo, la Suprema Corte non può apprezzare direttamente il lodo arbitrale, ma solo la decisione emessa dalla corte di appello.

6.3.1. Nella specie, dunque, il sindacato di legittimità andrà condotto esclusivamente attraverso il riscontro – da riferirsi esclusivamente alla suddetta domanda risarcitoria – della conformità ai principi imposti da Cass. n. 14198 del 2004 al nuovo giudice di rinvio, e della adeguatezza e logicità della motivazione della sua sentenza, e non potrà riguardare il convincimento espresso dalla corte del merito sulla correttezza e congruità della ricostruzione dei fatti e della valutazione degli elementi istruttori operata dagli arbitri (cfr., ex multis, Cass. n. 10809 del 2015; Cass. 19324 del 2014; Cass. 15086 del 2012; Cass. n. 11950 del 2003; Cass. n. 5057 del 2000; Cass. n. 8528 del 1998, in relazione al vizio di omessa pronuncia Cass. n. 15086/2012; Cass. nn. 2201, 6028 e 6986 del 2007, quest’ultima nel senso che la Cassazione non può sindacare la soluzione delle questioni di merito da parte del giudice della impugnazione del lodo).

6.4. Tanto premesso, la sentenza impugnata ha ritenuto (cfr. pag. 910) non potersi dubitare “non solo della validità del lodo arbitrale (già dichiarato nullo dalla precedente sentenza di questa Corte), ma anche della correttezza della pronuncia del Collegio arbitrale sulla domanda di inadempimento ex art. 1358 c.c. proposta dall’ing. R.”.

6.4.1. Invero, ha proseguito la citata sentenza, “Dall’ampia motivazione del Collegio arbitrale sul punto, basta riportare solo questa parte: “Da quanto documentalmente accertato e dai fatti come sopra esposti, risulta chiaramente come il Comune di Marineo non abbia, in concreto, posto in essere tutte le iniziative necessarie ed idonee per il conseguimento del fine che era comune ad entrambi i contraenti. Sono certamente sintomatici di un siffatto comportamento omissivo, sotto certi aspetti, e contrario all’interesse del professionista, sotto altri: 1) il mancato inserimento dell’opera nei programmi triennali delle OO.PP. a partire dall’anno 1994, con il contestuale inserimento della diversa e contraria opera di manutenzione ed adeguamento della vecchia struttura; 2) la mancata richiesta di finanziamento all’organo competente che non poteva non essere individuato (attesa l’espressa previsione in delibera) nell’Assessorato Regionale alla Sanità; 3) la richiesta di finanziamento dei lavori di manutenzione del mattatoio già esistente ed insistente nella stessa area destinata alla realizzazione del nuovo mattatoio””.

6.4.2. La corte distrettuale, dunque, così motivando, ha sostanzialmente condiviso il riportato convincimento degli arbitri sul punto, evidentemente giudicandone – con valutazione qui non sindacabile giusta gli insegnamenti giurisprudenziali in precedenza richiamati – corretta e congrua la ricostruzione dei fatti e la valutazione degli elementi istruttori da essi operata.

6.4.3. Da tanto consegue, quindi, la ritenuta sussistenza, in applicazione dei già indicati principi ad essa imposti da Cass. n. 14198 del 2004, di una responsabilità, ex artt. 1358 – 1359 c.c., del comune odierno controricorrente che, in quanto titolare di una posizione “forte” all’interno del rapporto contrattuale con il R. (e, come tale, portatore di un interesse contrario all’avveramento della condizione, come già sancito dagli arbitri con valutazione che, secondo la citata Cass. n. 14198 del 2004, non avrebbe potuto essere sostituita dal diverso accertamento effettuato dalla corte di appello con la sua sentenza n. 462/2000, in quella sede cassata), avrebbe dovuto “comportarsi secondo buona fede per conservare integre le ragioni dell’altra parte”. L’ente suddetto, invece, come sancito dalla corte distrettuale, era venuto meno all’obbligo giuridico, sul medesimo gravante, appena descritto – di tenere, cioè, un comportamento tale da non compromettere le ragioni del R., ossia di colui che aveva interesse all’avverarsi della condizione – e che doveva sostanziarsi, anzitutto, nell’obbligo di presentazione della domanda di ammissione del progetto da lui redatto al finanziamento.

6.4.4. In contrario, peraltro, non possono trovare condivisione le argomentazioni esposte nel primo motivo di ricorso incidentale del predetto comune, la cui corrispondente censura di violazione o falsa applicazione di legge (art. 1358 c.c.) deve, pertanto, essere respinta.

6.4.4.1. Esso, infatti, per come concretamente sviluppato, lungi dal contenere – come avrebbe imposto la corretta formulazione del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 24298 del 2016, secondo cui, diversamente, alla Corte sarebbe impedito di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione), ovvero con i principi dettati al giudice di rinvio da Cass. n. 14198 del 2004, si risolve, essenzialmente, in una critica al complessivo governo del materiale istruttorio operato dalla corte a quo.

6.4.4.2. La censura di cui al motivo in esame, dunque, mira esclusivamente a rimettere in discussione il convincimento – che, come tale, è invece incensurabile – espresso dal medesima Corte (ed ancor prima dal collegio arbitrale) circa la ritenuta sussistenza della responsabilità del Comune di Marineo ex art. 1358 – 1359 c.c., ed oblitera completamente la costante giurisprudenza di legittimità che esclude che la denuncia di violazione di legge possa essere mediata dalla riconsiderazione delle risultanze istruttorie (cfr. Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2015; Cass. n. 8315 del 2013; Cass. n. 16698 del 2010; Cass. n. 7394 del 2010; Cass., SU. n. 10313 del 2006). Ne consegue, pertanto, la sua inammissibilità, atteso che, pur denunciando, apparentemente, violazione di legge ad opera del provvedimento impugnato, mostra di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nel menzionato provvedimento, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (cfr. Cass. n. 21381 del 2006, nonchè la più recente Cass. n. 8758 del 2017).

6.5. Una volta sancita la responsabilità del menzionato comune nei termini in precedenza descritti, l’altro aspetto su cui la corte palermitana, in sede di rinvio da Cass. 14198 del 2004, avrebbe dovuto statuire – alla stregua dei principi ad essa imposti da quest’ultima e tenuto conto della mancata impugnazione del lodo, da parte del R., in ordine al rigetto della domanda principale, formulata innanzi al collegio arbitrale, di pagamento del corrispettivo pattuito – riguardava la spettanza, o meno, del diritto dello stesso R. non al pagamento del compenso contrattualmente stabilito, bensì del mero risarcimento del danno da inadempimento contrattuale.

6.5.1. In proposito, giova ricordare che la menzionata decisione di legittimità, dopo aver espressamente chiarito che la violazione dell’art. 1358 c.c. poteva anche avere conseguenze diverse da quelle del successivo art. 1359, aveva sostanzialmente lasciato al giudice di rinvio la verifica, oltre che della sussistenza, o non, dell’inadempimento del comune (presupposto della predetta domanda risarcitoria del R.), anche della sua qualificazione, ossia della sua riconduzione alla prima (1358 c.c.) o alla seconda (art. 1359 c.c.) delle predette norme.

6.5.2. La corte distrettuale, dunque, dopo aver ritenuto sussistente, per quanto si è detto in precedenza, una condotta inadempiente del comune, ha optato – come consentitole, per quanto si è già riferito, da Cass. n. 14198 del 2004 – per la riconduzione della conseguente richiesta risarcitoria all’art. 1358 c.c. (cfr. Cass. n. 13469 del 2010) ed ha provveduto alla liquidazione del corrispondente danno.

6.5.2.1. In una siffatta operazione, peraltro, non necessariamente avrebbe dovuto utilizzare come corrispondente parametro l’entità originaria del compenso pattuito tra le parti (dovendosi ribadire che sulla originaria domanda principale – pagamento del corrispettivo ab origine pattuito formulata dal R. innanzi al collegio arbitrale non sarebbe stato più possibile discutere per quanto si è specificamente ricordato in precedenza), sicchè l’avvenuta quantificazione di quel danno, effettuata in via equitativa indubbio essendone l’an, da un lato, non appare in contrasto con l’applicazione dei principi ad essa imposti da Cass. n. 14198 del 2004, che nessuna regola di diritto aveva imposto, su questo specifico aspetto, al giudice di rinvio; dall’altro, risulta compatibile con la tipologia di prestazione eseguita, ed in ogni caso non appare sindacabile, quanto alla sua concreta entità, in questa sede implicando valutazioni tipicamente di merito.

6.6. Le suesposte considerazioni conducono, allora, al rigetto anche del primo motivo del ricorso principale.

7. Analoga sorte merita il secondo motivo del medesimo ricorso, che lamenta l’erroneità (a) dell’avvenuta liquidazione del danno ex art. 1358 c.c., invece che alla stregua del successivo art. 1359, e, comunque, (b) dell’utilizzo del criterio equitativo rapportato alla perdita di chance ed alla dimostrazione della sufficienza dei fondi a disposizione dell’ente (assessorato alla Sanità) che avrebbe dovuto concretamente finanziare l’esecuzione dei lavori di cui al progetto realizzato dal R..

7.1. In proposito, infatti, oltre a ribadire quanto si è precedentemente detto in ordine alla libertà di scelta – quanto al criterio risarcitorio da adottare una volta accertato l’inadempimento del comune – lasciata al giudice di rinvio da parte della più volte menzionata Cass. n. 14198 del 2004, deve soltanto aggiungersi che la censura de qua, benchè prospettata sub specie di violazione di legge, mostra di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nel provvedimento impugnato, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (cfr. le già citate Cass. n. 21381 del 2006, nonchè la più recente Cass. n. 8758 del 2017). Essa, inoltre, nemmeno rispetto il principio di autosufficienza quanto all’asserita mancanza di contestazioni in ordine alle specifiche circostanze ivi descritte (cfr. Cass. n. 24062 del 2017; Cass. n. 15961 del 2007).

8. Parimenti infondati, infine, risultano il secondo (violazione o falsa applicazione degli artt. 2697 e 1226 c.c.) ed il terzo (omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione sul quantum liquidato) motivo del ricorso incidentale del Comune di Marineo, esaminabili congiuntamente perchè evidentemente connessi.

8.1. Da un lato, infatti, l’esistenza di un danno patito dal Marineo è indiscutibile, come testimoniato anche dall’offerta risarcitoria, avanzata da quell’ente, di cui si è espressamente dato conto nella sentenza impugnata; dall’altro, va ribadito che la determinazione dell’entità di tale danno è compatibile con la tipologia di prestazione eseguita, oltre che qui non sindacabile perchè implicante accertamenti in fatto evidentemente preclusi in sede di legittimità.

9. In definitiva vanno respinti entrambi i ricorsi, principale ed incidentale, potendosi, inoltre, procedere, attesa la reciproca soccombenza, alla integrale compensazione delle spese del giudizio di legittimità, altresì dandosi atto – mancando ogni discrezionalità al riguardo (cfr., tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra molte altre: Cass., Sez., U. 27/11/2015, n. 24245; Cass., Sez., U. 20/06/2017, n. 15279) – della sussistenza dei presupposti per l’applicazione, a carico del R. e del Comune di Marineo, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (applicabile ratione temporis, essendo stati i rispettivi ricorsi, principale ed incidentale, proposti successivamente al 30 gennaio 2013), in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione: norma in forza della quale il giudice dell’impugnazione è vincolato, pronunziando il provvedimento che definisce quest’ultima, a dare atto della sussistenza dei presupposti (rigetto integrale o inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) per il versamento, da parte dell’impugnante soccombente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione proposta, a norma del detto art. 13, comma 1 bis.

PQM

rigetta entrambi i ricorsi, principale ed incidentale, e compensa interamente tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1,comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del R. e del Comune di Marineo, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto, rispettivamente, per il ricorso principale e quello incidentale, giusta lo stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile della Corte Suprema di Cassazione, il 6 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 7 settembre 2018

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