Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21919 del 21/09/2017


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Cassazione civile, sez. III, 21/09/2017, (ud. 28/04/2017, dep.21/09/2017),  n. 21919

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20335/2015 proposto da:

COMUNE CELENZA SUL TRIGNO in persona del Sindaco e legale

rappresentante p.t. Dr. V.A., elettivamente domiciliato

in ROMA, CIRC.NE TRIONFALE 123, presso lo studio dell’avvocato

MICHELE ROSELLI, rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPINA DI

RISIO giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

A.S., elettivamente domiciliato in ROMA, CORSO TRIESTE

87, presso lo studio dell’avvocato BRUNO BELLI, rappresentato e

difeso dagli avvocati LORENZO D’ANGELO, EMIDIO GUASTADISEGNI giusta

procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 545/2015 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 29/04/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

28/04/2017 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Vasto sezione specializzata agraria decidendo con sentenza n. 240/2014 sulla controversia, introdotta con domanda proposta da A.S., avente ad oggetto la condanna al risarcimento del danno patrimoniale (emergente e da lucro cessante), conseguente a ritardata immissione nel fondo concesso in affitto, imputabile a responsabilità precontrattuale o contrattuale del Comune di Celenza sul Trigno, rigettava la pretesa in relazione ad entrambi i profili della dedotta responsabilità, affermando che l’ente locale si era conformato ai principi di correttezza e buona fede nel corso delle trattative e che la ritardata immissione nel fondo dell’affittuario era dipesa da impossibilità temporanea sopravvenuta della prestazione determinata dalla sentenza del TAR Abruzzo che aveva annullato i provvedimenti con i quali il Comune aveva chiesto il rilascio del fondo al precedente assegnatario entro il 26.1.2012 in violazione del termine legale corrispondente con l’esaurimento dell’annata agraria in corso (26.11.2012).

La sentenza era riformata dalla Corte d’appello che, qualificata la fattispecie sub specie di responsabilità da inadempimento contrattuale, dichiarava inammissibili i motivi di gravame dell’ A. relativi ai profili di responsabilità precontrattuale, accertava la responsabilità dell’ente locale (in quanto era nota la situazione litigiosa con il precedente affittuario, mentre l’errore commesso dal Comune nella indicazione del termine di rilascio, doveva imputarsi a colpa, in quanto il provvedimento si poneva in contrasto con precedenti determinazioni dello stesso Comune, e con la disciplina legale vincolistica, essendo quindi prevedibile l’intervento demolitorio del TAR per vizi di illegittimità dell’atto amministrativo, e la protrazione del precedente rapporto fino al termine dell’annata agraria in corso), condannava l’Amministrazione pubblica al risarcimento del danno da lucro cessante per mancato sfruttamento del fondo nell’anno 2011/2012 liquidato in Euro 3.080,00 sulla scorta anche della c.t.p. in atti, mentre rigettava per difetto di prova la domanda di risarcimento del danno da perdita dei contributi comunitari.

La sentenza di appello è stata impugnata per cassazione dal Comune con due motivi, illustrati da memoria ex art. 380 bis c.p.c., n. 1.

Resiste con controricorso A.S..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo viene dedotta la violazione dell’art. 24 Cost., art. 111 Cost., comma 2, art. 112 c.p.c., art. 437 c.p.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5; la violazione del contraddittorio e del giusto processo; il vizio di omessa pronuncia su un fatto controverso e decisivo, motivazione apparente.

Dalla lettura della esposizione degli argomenti a sostegno del motivo emerge che la censura mossa alla sentenza di appello verte esclusivamente sulla qualificazione giuridica del titolo di responsabilità civile per danni fatto valere con la domanda introduttiva, e che la Corte d’appello avrebbe ricondotto a responsabilità contrattuale in difformità – secondo il ricorrente – dalle allegazioni in fatto e diritto dell’atto introduttivo che deponevano, invece, per la qualificazione dell’azione risarcitoria in termini di responsabilità precontrattuale ex artt. 1337 e 1338 c.c..

Il motivo è infondato.

L’affittuario ha, infatti, fatto valere, con il ricorso proposto in primo grado, entrambi i profili di responsabilità riferendosi indiscriminatamente tanto alla condotta tenuta dalla PA nella fase antecedente la stipula del contratto (per aver pubblicato il bando di gara senza rendere nota la situazione di attuale detenzione del fondo da parte del precedente assegnatario; per non aver prudentemente rinviato la pubblicazione del bando e lo svolgimento della gara in attesa del rilascio del fondo o della definizione del contenzioso), quanto alla condotta tenuta dalla Amministrazione locale successivamente alla stipula del contratto di affitto (non avendo la PA ottemperato alla obbligazione diretta a consentire la immissione dell’affittuario nel fondo).

Indipendentemente dalla espressione “responsabilità precontrattuale e contrattuale” ripetutamente riportata nell’atto introduttivo e riprodotta ancora nelle conclusioni rassegnate in primo grado (ove si richiede di riconoscere la “responsabilità contrattuale ed extracontrattuale” dell’ente locale), osserva il Collegio che nel ricorso è specificamente indicata, quale fatto costitutivo della responsabilità civile del Comune, anche la mancata esecuzione delle

obbligazioni contrattuali. Nel ricorso al paragr. 1 è infatti riportato che l’ A. “in data 10.11.2011 ebbe a sottoscrivere con il Comune di Celenza sul Trigno….contratto di affitto di terreni agricoli di proprietà comunale soggetti ad uso civico della durata di anni 6 (sei) e con scadenza 10 novembre 2017” ed al paragr. 3 che “Malgrado la formale regolarità dell’atto…..l’assegnatario è stato realmente immesso nel possesso dei terreni descritti solo lo scorso 26 novembre 2012”.

Inoltre, che la domanda vertesse alternativamente su entrambe le ipotesi trova ulteriore riscontro nella individuazione del danno patrimoniale di cui si chiede il risarcimento e che viene posto dall’ A. “in diretto nesso causale con la dichiarata sospensione della efficacia del contratto di affitto stipulato e procrastinazione della immissione in possesso dei terreni assegnati” (ricorso introduttivo paragrafo 15), venendo quindi indicata in modo inequivoco la eziologia tra le conseguenze patrimoniali pregiudizievoli ed il fatto della ritardata immissione nel possesso del fondo, integrante violazione di un obbligazione che non può che trovare fonte esclusivamente nel vincolo contrattuale -e non anche nella condotta tenuta nello svolgimento della fase della trattativa-, e dunque non può che dare luogo a responsabilità per inadempimento del contratto, essendo appena il caso di osservare come il danno da mancato sfruttamento agricolo del suolo (paragrafo 17) e per mancato introito delle quote PAC, corrisponde al mancato utile ed ai mancati contributi comunitari che l’affittuario avrebbe potuto conseguire in dipendenza della corretta esecuzione delle obbligazioni scaturenti dal contratto concluso (cd. danno da interesse positivo), ontologicamente diverso essendo invece il danno “per la perdita di altre occasioni favorevoli andate deluse” (che si aggiunge al ristoro del danno emergente da “interesse negativo”) che l’ A. avrebbe potuto richiedere, a titolo di responsabilità precontrattuale, ove il contratto di affitto non fosse stato concluso.

La richiesta risarcitoria, come sopra individuata, ha dunque per oggetto un danno che è derivato dall’inadempimento del contratto (e più specificamente dalla mancata esecuzione della obbligazione di consegna dell’immobile) e non dal comportamento della PA anteriore alla stipula del contratto, risultando quindi fondata la pretesa risarcitoria formulata nell’atto introduttivo (anche) sulla responsabilità contrattuale del Comune.

Corretta deve ritenersi, pertanto, la individuazione dell’oggetto del “thema decidendum” effettuata dal primo Giudice in base alla proposizione – in via alternativa – nel ricorso delle azioni di responsabilità precontrattuale e contrattuale, ed invece effettuata dal Giudice d’appello in relazione alla sola responsabilità contrattuale, non incontrando nella specie limiti il potere qualificatorio del secondo Giudice, in difetto di precedenti vincoli determinati dalla pronuncia del primo giudice in ordine alla esatta qualificazione della domanda risarcitoria.

Consegue la infondatezza anche della censura dedotta dal Comune per violazione dell’art. 437 c.p.c., comma 2, atteso che il quarto motivo di gravame proposto dall’ A. – in relazione al profilo di responsabilità del Comune per inadempimento all’obbligo di tempestiva consegna del fondo all’affittuario – con l’atto di appello, non integrava “domanda nuova”, non consentita in grado di appello, non essendo stati dedotti con la impugnazione fatti nuovi che non erano stati già allegati con le difese svolte nel precedente grado di giudizio, riferentisi come si è visto anche ai profili di responsabilità per inadempimento contrattuale del Comune.

Il secondo motivo deduce la violazione degli artt. 1218,1223,1227,1338 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La censura riflette la impostazione del precedente motivo: sostiene il ricorrente che, avendo dedotto l’ A. soltanto profili di responsabilità precontrattuale, la Corte d’appello ha errato a liquidare il danno nella misura dell’interesse positivo come se il contratto fosse stato concluso e correttamente eseguito.

La infondatezza dell’indicato presupposto, accertata in esito all’esame del precedente motivo – dovendo ritenersi estesa la domanda introduttiva anche al profilo della responsabilità contrattuale del Comune, determina in conseguenza la infondatezza anche del secondo motivo.

In conclusione il ricorso deve essere rigettato e la parte ricorrente condannata alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità.

Rilevato che dagli atti il processo risulta esente, non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (controversia agraria).

PQM

 

rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.800,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 28 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 21 settembre 2017

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