Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21916 del 27/10/2015


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 21916 Anno 2015
Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: ARIENZO ROSA

ORDINANZA

CO-

sul ricorso 19829-2014 proposto da:
PFIZER ITALIA SRL, in persona del Consigliere di Amministrazione,
elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR 19, presso Io
studio dell’avvocato RAFFAELE DE LUCA TAMAJO, (Studio
Toffoletto de Luca Tamaio e Soci), che la. rappresenta e difende
unitamente agli avvocati ALDO BOTTINI, FEDERICA PATERNO’,
FRANCO TOFFOLETTO giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente contro
FERRACCI FEDERICA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
GIUSEPPE FERRARI 2, presso lo studio dell’avvocato GIORGIO
ANTONINI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato
PIERGIOVANNI ALLEVA giusta procura speciale a margine del
controricorso;

60,4

Data pubblicazione: 27/10/2015

i

– controricorrente avverso la sentenza n. 84/2014 della CORTE D’APPELLO di
ANCONA, depositata il 03/02/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio
dell’08/07/2015 dal Consigliere Relatore Dott. ROSA ARIENZO;

riporta agli scritti ed insiste per la P.U.;
udito l’Avvocato Piergiovanni Alleva difensore della controricorrente
che si riporta agli scritti.
FATTO E DIRITTO
Con sentenza del 3.2.2014, la Corte di appello di Ancona respingeva il
gravame proposto dalla s.r.l. Pfizer Italia avverso la decisione di primo
grado che aveva dichiarato la nullità del termine finale apposto ai
contratti di lavoro dedotti in giudizio, intercorsi tra Ferracci Federica e la
indicata società, e la sussistenza tra le stesse di un rapporto di lavoro a
tempo indeterminato a far data dalla decorrenza del primo contratto di
somministrazione, condannando per l’effetto la resistente al ripristino del
rapporto di lavoro ed alla corresponsione, in favore della lavoratrice,
dell’indennità ex art. 32 I. 183/2010 nella misura di otto mensilità
dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre accessori di legge.
Riteneva la Corte che la dilazione dei termini di impugnazione di cui al
Decreto Milleproroghe era estesa a tutte le ipotesi indicate nell’art. 32
della legge 183/2010, incluse quelle previste ai commi 2, 3 e 4, non
potendo dubitarsi di tale applicazione anche alla ipotesi di cessazione
del rapporto di lavoro per scadenza del termine, equiparata, quanto al
rito, alla risoluzione per licenziamento, sussistendo analogia di ratio
legis, motivo ancor più preminente ed evidente con riferimento ad un

termine del tutto nuovo e suscettibile di non essere rispettato per motivi
ancor più giustificabili, trattandosi di ipotesi in precedenza non soggetta
ad alcuna decadenza.

Ric. 2014 n. 19829 sez. ML – ud. 08-07-2015
-2-

udito l’Avvocato Federica Paternò difensore della ricorrente che si

Osservava che le assunzioni a termine di lavoratori potessero avvenire
solo per assunzioni di specifiche professionalità non altrimenti rinvenibili
in azienda e che nella specie difettava anche il requisito della specificità
delle motivazioni poste a fondamento della stipulazione del contratto;
che era illegittima l’apposizione di un termine ad un contratto di
somministrazione in assenza di condizioni analoghe a quelle che

lavoro subordinato. Rilevava, altresì, che il datore di lavoro, anche nelle
vesti dell’impresa utilizzatrice, aveva l’onere di esporre e rappresentare
in giudizio l’assetto dell’impresa al momento della stipulazione del
contratto di durata temporanea e che il giudice del merito doveva
accertare se la soluzione organizzativa adottata era l’unica possibile,
evidenziando che la temporaneità dell’esigenza posta a fondamento
dell’assunzione era requisito essenziale della legittimità della
somministrazione.
La società ricorre avverso detta sentenza, affidando l’impugnazione a
nove motivi, cui resiste, con controricorso, la Ferracci.
Sono seguite le rituali comunicazioni e notifica della relazione redatta ai
sensi dell’art. 380 bis c.p.c., unitamente al decreto di fissazione della
presente udienza in Camera di consiglio. La ricorrente ha depositato
memoria ai sensi dell’art. 380 bis, 2° comma, c.p.c.
Con il primo motivo, la società denunzia violazione o falsa applicazione
dell’alt 6, comma ibis, 1. 604/1966 e dell’art. 11 delle Disposizioni sulla
legge in generale, rilevando l’erroneità dell’ interpretazione fornita dalla
Corte con riguardo alla ritenuta portata retroattiva della norma introdotta
dalla l. 10/2011 (art. 32 comma 1bis I. 183/2010), in evidente violazione
dell’art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale, e sostenendo che
nel caso di specie non poteva invocarsi il differimento dell’efficacia delle
disposizioni richiamate ad ipotesi per le quali già si era verificata la
decadenza.
Con il secondo motivo, deduce violazione o falsa applicazione dell’art.
32 I. 183/2010, dell’art. 6, comma 1 bis, della legge 604/1966 e dell’art.
12 delle Disposizioni sulla legge in generale, contestando la ritenuta
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avrebbero consentito l’apposizione di un termine ad un contratto di

estensibilità del differimento dell’applicazione dei termini decadenziali
prevista dal comma 54 dell’art. 2 del d. I. 225/2010 al di là delle
fattispecie di cui all’art. 6, primo comma, della legge 604/66 e traendone
la conseguenza che nel caso esaminato doveva essere rilevata la
insanabile decadenza in cui era incorsa la Ferracci rispetto al termine di
deposito del ricorso di primo grado.

dell’art. 1 d. igs. 368/2001 e dell’art. 41 Cost., ai sensi dell’ari 360, n. 3,
rilevando che le motivazioni addotte dal giudice del gravame in ordine
alla esigenza di specificità dell’ indicazione della causale, con
riferimento alla necessità di considerare il contesto generale aziendale
dell’impresa in cui opera il lavoratore, non trovano fondamento nella
legge e contraddicono le finalità e la ratio della disciplina dettata dal d.
igs. 368/2001, ponendosi in contrasto con la tutela di interessi
costituzionalmente garantiti, tra i quali la tutela dell’iniziativa economica
privata di cui all’art. 41 Cost., e creando un onus probandi in capo al
datore di lavoro non previsto dal legislatore, specie con riferimento
all’evoluzione dell’istituto del contratto a tempo determinato che ha visto
venire meno il principio della causalità nominata. Rileva che anche la
giurisprudenza di legittimità ha ritenuto valide causali che fanno
riferimento all’esistenza di un “picco di attività” o a “punte di più intensa
attività non fronteggiabili con il ricorso al normale organico”, anche se
riferibili all’ordinaria attività dell’utilizzatore, ritenute idonee a consentire,
ai sensi dell’art. 20, co. 4, del d. Igs. 276/2003, il ricorso alla
somministrazione di lavoro a tempo determinato.
Con il quarto motivo, la ricorrente lamenta violazione o falsa
applicazione dell’art. 115 c.p.c., ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c.,
osservando che le ragioni indicate in contratto non sono state mai
specificamente contestate dalla Ferracci, limitatasi unicamente a
dedurre la mancanza di temporaneità delle stesse.
Con il quinto motivo, la società si duole della violazione e falsa
applicazione degli artt. 1 e 22, comma 2, del d. Igs. 276/2003,
evidenziando che il rinvio alla disciplina del contratto a termine non
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Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta violazione o falsa applicazione

possa trovare validamente applicazione nei termini indicati nella
sentenza impugnata, che ha omesso di considerare che gli istituti del
contratto a tempo determinato e del contratto di somministrazione sono
regolati da discipline diverse e rispondono ad esigenze diverse,
erroneamente valorizzando il richiamo legislativo alla disciplina del
contratto a termine contenuto nell’art. 22, comma 2, del D. Igs 276/2003

riferimento al rapporto di lavoro tra soniministratore e prestatore di
lavoro e non al contratto commerciale tra somministratore ed
utilizzatore.
Con il sesto motivo, viene dedotta la violazione o falsa applicazione
dell’art. 20, quarto Gomma, dell’art. 21, primo comma, lett. c) e dell’art.
27, I e secondo comma, del d. lgs. 276/2003, nonché dell’art. 41 Cost.,
osservando che, sulla base della interpretazione dottrinaria e
giurisprudenziale anche di legittimità, l’obbligo di indicazione delle
causali del contratto di somministrazione deve essere valutato in
maniera diversa e meno rigorosa rispetto a quello previsto dal
legislatore per l’ipotesi del contratto a termine e che, ai fini della
valutazione delle ragioni di cui all’art. 20, commi 3 e 4, che consentono
la somministrazione di lavoro, il controllo giudiziale è limitato
esclusivamente, in conformità ai principi generali, all’accertamento della
esistenza delle ragioni che la giustificano e non può essere esteso fino
al punto di sindacare nel merito valutazioni e scelte tecniche,
organizzative e produttive che spettano all’utilizzatore.
Con il settimo motivo, si ascrive alla decisione impugnata l’omesso
esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di
discussione tra le parti, censurandosi l’omessa valutazione della
documentazione in atti e delle risultanze istruttorie acquisite nel corso
del giudizio di primo grado in ordine alla dimostrazione delle esigenze
sottese alla stipulazione dei contratti di somministrazione oggetto di
discussione tra le parti.
Con l’ottavo motivo, viene denunziata violazione o falsa applicazione
dell’art. 20, comma 4, del d. lgs. 276/2003, nonché dell’ari. 12 delle
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per l’ipotesi di somministrazione a tempo determinato, ove si fa

Preleggi, evidenziandosi che l’art. 20 comma 4 d. Igs. 276/2003
individua come unica condizione causale di liceità del ricorso al
contratto di somministrazione a tempo determinato la sussistenza di
ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche
se riferibili all’ordinaria attività dell’utilizzatore, prescindendo dal
requisito delle temporaneità delle esigenze da soddisfare, richiamate,

previsto dall’art. 5, comma 4 bis, d. Igs 368/2001 riguarda solo i contratti
a tempo determinato e non anche la somministrazione.
Infine, con il nono motivo, la ricorrente si duole della violazione e falsa
applicazione dell’art. 32, comma 5, l. 183/2010, nonché dell’omesso
esame di un fatto decisivo, sul rilievo che la Corte del merito ha omesso
di valutare lo specifico motivo di appello sollevato con riferimento
all’ammontare dell’indennità, determinata in 8 mensilità dell’ultima
retribuzione globale di fatto, evidenziando che il comportamento
datoriale non era connotato da gravità tale da indurre alla
determinazione di una misura elevata dell’indennità forfetizzata, quale
quella cui era pervenuto il giudice del merito.
In ordine al primo ed al secondo motivo, deve osservarsi che l’art. 32
commi 1 – 4 della legge n. 183 del 2010, nel modificare l’assetto
normativo dettato dall’art. 6, commi 1 e 2, della legge 15 luglio 1966 n.
604, ha esteso il regime delle decadenze a fattispecie che prima della
legge 183 non ne erano toccate, compresa, per quel che qui interessa,
la fattispecie dei contratti di lavoro in somministrazione.

Sotto la dicitura “Decadenze e disposizioni in materia di contratto di
lavoro a tempo determinato” il legislatore è intervenuto per modificare, in
primo luogo, ed in via generale, la disciplina dell’impugnazione dei
licenziamenti.
E’ stato introdotto, accanto al termine di decadenza di sessanta giorni
per l’impugnazione stragiudiziale del licenziamento, già esistente, un
ulteriore termine di duecentosettanta giorni per la proposizione del
ricorso giurisdizionale.

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ud. 08-07-2015

invece, dal giudice del gravame. Rileva, poi, che il limite dei 36 mesi

Tali termini sono stati successivamente modificati dalla legge 28 giugno
2012 n. 92 (c.d. legge Fornero) rispettivamente in novanta e centottanta
giorni.
L’art. 32 della legge n. 183 dei 2010, poi, nei commi da 2 a 4, estende
questa nuova disciplina, formulata mediante la riscrittura dell’art. 6 cit.,
ad una serie di altre ipotesi e cioè”anche a tutti i casi di invalidità del

contrattuali ed atti datoriali.
In questo contesto, il quarto comma assoggetta all’obbligo di
impugnazione ed ai termini di decadenza ricordati: i contratti di lavoro a
termine stipulati ai sensi degli articoli 1, 2 e 4 del d. Igs. 6 settembre
2001, n. 368, in corso di esecuzione alla data di entrata in vigore della
presente legge, con decorrenza dalla scadenza del termine; i contratti di
lavoro a termine, stipulati anche in applicazione di disposizioni di legge
previgenti al d. Igs. 6 settembre 2001, n. 368, e già conclusi alla data di
entrata in vigore della presente legge, con decorrenza dalla medesima
data di entrata in vigore della presente legge; le cessioni di contratti di
lavoro avvenute ai sensi dell’articolo 2112 cod. civ. con termine
decorrente dalla data del trasferimento; ogni altro caso, compresa
l’ipotesi prevista dalli art. 27 del d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, in cui
si chieda la costituzione o l’accertamento di un rapporto di lavoro in
capo a un soggetto diverso dal titolare del contratto.
Come si evince dalla lettura del comma, mentre per i contratti a termine
in senso stretto la nuova disciplina si applica non solo a quelli in corso,
ma anche a quelli “già conclusi” cioè a quelli il cui termine sia scaduto
alla data di entrata in vigore della legge, per i contratti a termine in
somministrazione non vi è un’analoga previsione, il che significa che,
per questi ultimi, la nuova disciplina sulla decadenza si applica solo per
quelli in corso (o per quelli stipulati successivamente) alla data di entrata
in vigore della legge (24 novembre 2010) e non anche per quelli “già
conclusi”, per quelli cioè in cui il termine sia già scaduto ai 24 novembre
2010 (su questa lettura concorda Corte cost. n. 155/2014, che ha
affermato che il contratto di lavoro subordinato con una clausola viziata kic. 2014 n. 19829 sez. ML – ud. 08-07-2015
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licenziamento” (secondo comma), nonché (commi 3 e 4) ad altre forme

quella, appunto, appositiva del termine – non può essere assimilato ad
altre figure illecite e che non è irragionevole la scelta legislativa di
applicare retroattivamente il più rigoroso e gravoso regime della
decadenza alla sola categoria dei contratti a termine già conclusi,
lasciando immutato per il passato il più favorevole regime previsto per
altre forme contrattuali o atti datoriali, come il recesso del committente

del lavoratore, la cessione del contratto di lavoro in caso di trasferimento
d’azienda e la somministrazione di lavoro irregolare).
É questa la situazione verificatasi nel caso in esame, perché, come
ammesso dalla stessa società ricorrente (pag. 3 della memoria ex art.
378 c.p.c.), l’ultimo contratto era scaduto il 31 ottobre 2010, quindi
precedentemente alla entrata in vigore della l. 183/2010 in data
24.11.2010.
Ciò fa si che i motivi di ricorso inerenti alla decadenza devono essere
rigettati, perché la disciplina che l’ha introdotta per la somministrazione
non è in radice applicabile al caso in esame e, di conseguenza, non si
pongono i problemi posti dal c.d. MIlleproroghe, che hanno come
presupposto la soggezione dello specifico contratto alla disciplina sulle
decadenze dettata dalla legge 183 del 2010.
Il terzo ed il quarto motivo, nonchè il sesto ed il settimo, pur nella
differente articolazione connessa alla prospettazione di vizi di violazione
o falsa interpretazione di norme di legge, ovvero a vizio di omesso
esame di un fatto decisivo per il giudizio, possono essere trattati
congiuntamente in ragione della connessione delle questioni che ne
costituiscono l’oggetto.
In tema di somministrazione di manodopera, il controllo giudiziario
sulle ragioni che la consentono è limitato all’accertamento della loro
esistenza, non potendo esso estendersi, ai sensi dell’art. 27, comma 3,
del d.lgs. n. 276 del 2003, al sindacato sulle valutazioni tecniche ed
organizzative dell’ utilizzatore, il quale è tenuto a dimostrare in giudizio
l’esigenza alla quale si ricollega l’assunzione del lavoratore,
instaurandosi, ove tale onere non sia soddisfatto, un rapporto a tempo
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nei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, il trasferimento

indeterminato con I’ utilizzatore della prestazione’ (Cass. 15.7.2011 n.
15610, Cass. 9.9.2013n. 20598).
Deve considerarsi che la disciplina della somministrazione di lavoro è
dettata dal D. Lgs. n. 276 del 2003, artt. da 20 a 28. Il primo di tali
articoli, l’art. 20, intitolato “condizioni di liceità”, definisce il contratto di
somministrazione e distingue tra somministrazione a tempo determinato

tempo determinato, le condizioni di liceità sono indicate al Gomma 4, con
questa disposizione: “la somministrazione a tempo determinato è
ammessa a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo,
organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili alla ordinaria attività
dell’utilizzatore”. L’articolo successivo, il 21, statuisce che il contratto di
somministrazione di manodopera deve essere stipulato in forma scritta
e deve contenere una serie di elementi. Tra gli elementi necessari, il
punto c) indica “i casi e le ragioni di carattere tecnico, produttivo,
organizzativo o sostitutivo di cui ai commi 3 e 4 dell’art. 20”. Il termine
“casi” è riferito al terzo comma concernente la somministrazione a
tempo indeterminato, consentita nella casistica delineata ai punti da a) e
i) di quel comma. Il termine “ragioni” è riferito al quarto comma,
concernente il contratto di somministrazione a tempo determinato,
ammesso solo in presenza di ragioni di carattere tecnico, produttivo,
organizzativo o sostitutivo.
Tutto ciò premesso, come già osservato in precedenti di questa Corte
(cfr, in tali termini, in particolare, Cass. 8.5.2012 n. 6933) “la risposta da
dare al problema concernente !a necessità o meno che le ragioni del
ricorso alla somministrazione siano specificate non può che essere
positiva”. Ed invero, la normativa prevede come “condizione di liceità”
che il contratto sia stipulato solo in presenza di ragioni rientranti in
quelle categorie ed impone di indicarle per iscritto nel contratto a pena
di nullità (art. 21, u.c.); inoltre, l’art. 27, comma 3, sancisce che il
controllo giudiziale è limitato “all’accertamento della esistenza delle
ragioni”(e quindi consiste proprio in tale verifica). La conseguenza di
tutto ciò è che tali ragioni devono essere indicate per iscritto nel
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e a tempo indeterminato. Con riferimento alla somministrazione a

contratto e devono essere indicate, in quella sede, con un grado di
specificazione tale da consentire di verificare se rientrino nella tipologia
di ragioni cui è legata la legittimità del contratto e da rendere possibile la
verifica della loro effettività. L’indicazione, pertanto, non può essere
tautologica, ne’ può essere generica. Non può risolversi in una parafrasi
della norma, ma deve esplicitare il collegamento tra la previsione

cit.). A tale esigenza di specificazione della causale si ricollega il
successivo controllo di effettività della esigenza che si intendeva
soddisfare presso la realtà aziendale facente capo all’utilizzatore.
Nel caso in esame, le ragioni del ricorso al lavoro in somministrazione
sono state ricondotte, in relazione a tutti i contratti di somministrazione a
tempo determinato intercorsi tra le parti, alla necessità, al cospetto
dell’incremento di domanda di determinati prodotti farmaceutici, di far
fronte o al conseguente incremento di produzione di alcuni farmaci, o
alla necessità di provvedere a confezionare prodotti a fronte di richiesta
di riconfezionarnento con determinate caratteristiche tecniche, ovvero
all’esigenza di portare avanti progetti di adattamento delle linee di
confezionamento a richieste specifiche provenienti dai mercati, o anche
per sostituzione di personale in ferie.
La indicazione delle ragioni in sede contrattuale non è stata ritenuta
sufficientemente specifica sul punto dai giudici del merito, in quanto la
ricorrente nulla di puntuale ha dedotto con riferimento alle specifiche
causali di ogni contratto, se non che dalla norma non si rileva una
esigenza di specificità nei sensi ritenuti e che non possa farsi rinvio alla
normativa di cui al d. lgs. 368/2001_
Quanto alla dedotta erronea applicazione

del principio di non

contestazione, è sufficiente osservare che il sistema di preclusioni del
processo civile tuttora vigente e di avanzamento nell’accertamento
giudiziale dei fatti mediante il contraddittorio delle parti, se comporta per
queste ultime l’onere di ,collaborare, fin dalle prime battute processuali, a
circoscrivere la materia controversa, evidenziando con chiarezza gli
elementi in contestazione, suppone che la Parte che ha l’onere di
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astratta e la situazione concreta. (cfr. in tali termini , Cass. 6933/2012

allegare e provare i fatti anzitutto specifichi le relative circostanze in
modo dettagliato ed analitico, così che l’altra abbia il dovere di prendere
posizione verso tali allegazioni puntuali e di contestarle ovvero di
ammetterle, in mancanza di una risposta in ordine a ciascuna di esse
(cfr. Cass. 15.10.2014 n. 21847, Cass. 16.11.2012 n. 20211). Peraltro,
se il giudice abbia ritenuto “contestato” uno specifico fatto e, in assenza

all’ammissione ed al conseguente espletamento di un mezzo istruttorio
in ordine all’accertamento del fatto stesso, la successiva allegazione di
parte diretta a far valere l’altrui pregressa “non contestazione diventa
inammissibile (cfr. Cass. 4249/2012).
Tuttavia, anche ritenendosi che le esigenze specificate siano ascrivibili
nell’ambito di quelle ragioni di carattere tecnico, produttivo,
organizzativo o sostitutivo che consentono, ai sensi del D.Lgs. n. 276
del 2003, art. 20, comma 4, il ricorso alla somministrazione di lavoro a
tempo determinato e che il riferimento alle stesse ben possa costituire
valido requisito formale del relativo contratto, ai sensi dell’art. 21,
comma 1, lett. c, della legge stessa, quanto appena esposto concerne il
problema della specificità delle ragioni indicate nel contratto
commerciale di somministrazione a spiegazione del ricorso alla
somministrazione, problema distinto essendo quello della verifica della
sussistenza in concreto di tali ragioni. Potrebbe, invero, accadere che
le ragioni siano indicate nel contratto in modo specifico e perfettamente
confacente a quanto richiesto dalla legge, ma che, poi, la concreta
utilizzazione del lavoratore non abbia alcun collegamento con tali
ragioni.
Anche sul punto la giurisprudenza di legittimità si è espressa (Cass. 8
maggio 2012, n. 6933, cui si rinvia anche per i richiami e,
successivamente, Cass. 9.9.2013 n. 20598, Cass. 1.8.2014 n. 17540,
Cass. 6.10.2014 n. 21001). La verifica della corrispondenza
dell’impiego concreto del lavoratore a quanto affermato nel contratto è
l’oggetto centrale del controllo giudiziario. Non vi sarebbe stato bisogno

Ric. 2014 n. 19829 sez. ML – ud. 08-07-2015
-11-

r

di ogni tempestiva deduzione al riguardo, abbia proceduto

di una norma specifica a tal fine, perché valgono le regole generali
dell’ordinamento.
A tale riguardo, il terzo comma dell’art. 27 del D. Lgs. n. 276 del 2003
precisa che il giudice, se non può sindacare nel merito le scelte
tecniche, organizzative o produttive in ragione delle quali un’impresa
ricorre alla somministrazione, deve orientare il suo

giustificano il ricorso alla somministrazione. Il controllo giudiziario è
concentrato, quindi, nella verifica della effettività di quanto previsto in
sede contrattuale (sul punto, cfr., Cass. 6933 del 2012, cit.; 2521 dei
2012 cit.,15610 del 2011 e, da ultimo Cass. 8120 del 2013 nei sensi
riportati). Questo accertamento è di competenza del giudice di merito e
quindi, se motivato in maniera adeguata e priva di contraddizioni, non
può essere rivalutato in sede di legittimità.
Nel caso in esame la Corte di appello di Ancona, seppure
erroneamente ha ritenuto estensibile il controllo a scelte che rientrano
nella libera determinazione imprenditoriale, ha comunque rilevato,
nell’ambito della verifica della effettività delle ragioni indicate dalla
società, che le stesse ragioni non potevano essere considerate idonee,
perché non vi era alcuna specificazione in termini di allegazione e prova
con riguardo all’indicazione dei processi di organizzazione in atto, alle
esigenze della produzione della singola unità produttiva, alle condizioni
che rendevano necessario il ricorso anche ad assunzioni in sostituzione
di personale assente, con riferimento alle componenti identificative
essenziali delle causali, sia quanto al loro contenuto, che alla relativa
portata spazio temporale, e, più in generale, circostanziale, sì da
rendere possibile il controllo della loro effettività.
A fronte del ritenuto mancato assolvimento dell’onere di allegazione e
prova da parte dell’utilizzatrice, la motivazione in fatto della decisione
sul punto non è stata fatto oggetto di adeguata censura, poiché non si
specifica in quali termini siano stati in sede di gravame formulati puntuali
rilievi all’attività valutativa delle prove compiuta dal giudice di primo
grado, attraverso l’indicazione di fatti idonei alla detta contestazione,
Ric. 2014 n. 19829 sez. ML – ud. 08-07-2015
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controllo “all’accertamento delle ragioni che (la) giustificano”, cioè che

rilevanti ai fini di causa ed aventi valore di decisività, né si riproducono
le doglianze specificamente avanzate in conformità al principio di
autosufficienza.
E’ stato reiteratamente affermato da questa Corte (cfr., tra le altre le
recenti Cass. n. 14216/2013, Cass., s. u., n. 28547/2008; Cass. n.
22302/2008) che, in tema di ricorso per cassazione, a seguito della

6, c.p.c., oltre a richiedere la “specifica” indicazione degli atti e
documenti posti a fondamento del ricorso, esige che sia specificato in
quale sede processuale il documento, pur individuato in ricorso, risulti
prodotto. Tale specifica indicazione, quando riguardi un documento
prodotto in giudizio, postula che si individui dove sia stato prodotto nelle
fasi di merito e, in ragione dell’art. 369, comma 2 n. 4, c.p.c., anche che
esso sia prodotto in sede di legittimità.
in altri termini, il ricorrente per cassazione, ove intenda dolersi
dell’omessa o erronea valutazione di un documento da parte del giudice
del merito, ha il duplice onere — imposto dall’art. 366, comma 1, n. 6, – di
produrlo agli atti e di indicarne il contenuto. Il primo onere va
adempiuto indicando esattamente nel ricorso in quale fase processuale
ed in quale fascicolo di parti si trovi il documento in questione; il
secondo deve essere adempiuto trascrivendo o riassumendo nel ricorso
il contenuto del documento. La violazione anche di uno soltanto di tali
oneri rende il ricorso inammissibile ( Cfr. Cass. cit., 14216/2013).
In ogni caso, al di là della mancata produzione di documento ritenuto
decisivo nei termini richiesti con riguardo al giudizio di legittimità, va
rilevata i’ omessa riproduzione, nei termini di relativa proposizione, del
motivo di gravame che allo stesso documento si riferiva. Va, poi,
evidenziato che l’intervento di modifica del n. 5 dell’art. 360 cod. proc.
civ., come recentemente interpretato dalle Sezioni Unite di questa
Corte, comporta un’ulteriore sensibile restrizione dell’ambito di controllo,
in sede di legittimità, sulla motivazione di fatto.
Sotto altro profilo, deve considerarsi che la sentenza del 7 aprile 2014
n. 8053 delle Sezioni Unite di questa Corte ha chiarito, riguardo ai limiti
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riforma ad opera del D. Igs, n. 40 del 2006, il novellato art. 366, comma

della denuncia di omesso esame di una questio facti, che il nuovo testo
dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. consente tale denuncia
nei limiti dell’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario,
la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali,
che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere
decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito

In proposito, è stato altresì evidenziato che, nel rigoroso rispetto delle
previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n.
4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame
sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti
esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di
discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando
che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di
omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in
causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice,
ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze
probatorie (sent. cit.). Il “fatto storico” censurabile ex art. 360 n. 5 c.p.c.
non può, dunque, identificarsi con la pretesa erronea valutazione degli
elementi di causa espressa dalla Corte del merito.
In conclusione, convenendosi sulla correttezza della decisione quanto
alla ritenuta necessità del controllo di effettività delle ragioni poste a
fondamento del contratto di somministrazione e sulla genericità dei
riferimento alle punte di maggiore attività ed ai picchi produttivi
evidenziati, deve ritenersi che la ratio decidendi non sia stata scalfita da
una precisa denunzia che configuri un vizio della decisione al riguardo.
Con riferimento al quinto ed all’ottavo motivo, che vedono sulla
contestazione della temporaneità della esigenza che giustifica il ricorso
allo specifico strumento contrattuale, sostenendone la rilevanza solo
con riguardo al contratto a termine “diretto”, è sufficiente osservare che
la straordinarietà o eccezionalità dell’esigenza rispetto alla ordinaria
attività dell’utilizzatore è cosa diversa dalla permanente necessità del

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diverso della controversia).

carattere temporaneo dell’esigenza produttiva, che è richiesta anche per
tale tipologia contrattuale.
Non osta a tale ricostruzione – come sottolineato da Cass. I. 8. 2014 n.
17540, seppure a diversi fini – la sentenza della CGUE 11.4.13, Della
Rocca, emessa in sede di rinvio pregiudiziale, che ha escluso che la
direttiva 1999/70/CE relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP

determinato che si accompagni ad un contratto interinale. Ed invero, tale
inapplicabilità deriva solo dal tenore del preambolo dell’accordo quadro
e dall’esistenza di altra più specifica regolamentazione (la direttiva
2008/104) per il contratto a termine che si accompagni ad un contratto
interinale o di somministrazione e non già da una ritenuta sua
incompatibilità ontologica, a tutti gli effetti, con un puro e semplice
contratto a tempo determinato (cfr, in tali termini Cass. 17540/2014 cit.).
Nella specie, come già precisato, La Corte ha rilevato che la causale,
con specifico riguardo alla prestazione resa presso l’utilizzatrice, non
conteneva alcun riferimento al tipo e alla natura delle esigenze
organizzative, alla tipologia dei prodotti che avevano formato oggetto del
servizio e della sua gestione in relazione al rapporto causale tra i
progetti relativi ai farmaci ed il ricorso al contratto di somministrazione.
La mancanza di idonea specificazione delle esigenze, secondo la Corte,
impedisce al lavoratore prima ed al giudice poi di verificare la riferibilità
della causale alle ragioni previste dalla legge come legittimanti il ricorso
alla somministrazione di lavoro temporaneo. Infine, quanto alla prova
dedotta la Corte ha rilevato che essa non consentiva di accertare il
rapporto causale tra tale contratto e le prestazioni lavorative rese e le
argomentazioni sul punto risultano congrue ed immuni da vizi di
carattere logico-giuridico.
L’ ultimo motivo va dichiarato inammissibile, posto che, una volta
ritenuta l’applicabilità dell’art. 32, comma 5, I. 183/2010 al contratto di
somministrazione di manodopera a termine irregolare (cfr.,
specificamente, Cass. 29.5.2013 n. 13404, Cass. 17.1.2013 n. 1148 e,
da ultimo, Cass. 18046 del 2014, alle cui argomentazioni si rimanda
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sul lavoro a tempo determinato si applichi anche al contratto a tempo

anche per i riferimenti a C.G.U.E. C-290/12 dell’11.4.2013, pronunce
dalle quali il Collegio non ravvisa motivi validi per discostarsi), era onere
della ricorrente, al fine di valutare in che termini la decisione del giudice
del gravame fosse incorsa nei vizi denunciati, riportare in termini
specifici il contenuto delle censure sollevate dalla società in sede di
gravame avverso il capo della decisione di primo grado relativo alla

Nelle decisioni della S. C. appena citate si è osservato, tra l’altro, che la
norma in questione richiama in senso ampio l’istituto del contratto di
lavoro a tempo determinato, con formulazione unitaria, riferendosi ai
“casi” di conversione del contratto a tempo determinato”, senza
associare tale espressione all’indicazione di normativa specifica di
riferimento e senza riguardo ad ulteriori elementi selettivi, ciò che rende
irrilevante la circostanza che in alcuni di questi casi alla conversione del
rapporto a tempo indeterminato si unisca anche una conversione
“soggettiva”, nel caso della somministrazione e del lavoro temporaneo
nei riguardi dell’utilizzatore. L’indennità omnicomprensiva,
commisurata ad un importo variabile tra un minimo di 2,5 ed un
massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, con
norma interpretativa, art. 1 comma 13 I. 28 giugno 2012 n. 92, è stata
indicata come idonea a ristorare per intero il pregiudizio subito dal
lavoratore, comprese le conseguenze retributive e contributive relative
al periodo compreso tra la scadenza del termine e la pronuncia del
provvedimento con quale il giudice abbia ordinato la “ricostituzione” del
rapporto di lavoro. L’utilizzazione del termine da ultimo indicato denota
che li concetto di conversione comprende tanto i provvedimenti di natura
dichiarativa, tanto quelli di natura costitutiva, quale quello previsto dal d.
lgs 276 del 2003, con riferimento alla somministrazione irregolare.
L’introduzione di una indennità comunque dovuta, a prescindere da un
danno effettivo ed i cui limiti sono stati parametrati dal legislatore tra un
minimo ed un massimo (tenendo conto del vantaggio per il lavoratore
derivante dal mantenimento della regola di «conversione»), comporta il
superamento del sistema in cui la liquidazione del risarcimento andava
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determinazione dell’indennità risarcitoria.

effettuata caso per caso dal giudice anche mediante il ricorso a
presunzioni semplici sull’aliunde perceptum e percipiendum. .
Tanto premesso, si ribadiscono le considerazioni svolte sulla
prospettazione del vizio, che non consente di valutare in termini di
ammissibilità la censura proposta, che, tenuto conto della mancanza di
ogni riferimento alla spettanza ovvero alla misura della detta indennità

formulata, a prescindere dai rilievi svolti, invocando eventualmente un’
omessa pronuncia, ai sensi dell’art. 112 c.p.c, con richiamo al vizio di
cui all’art. 360, n. 4, c.p. c.
Alla stregua di tali considerazioni , deve pervenirsi al rigetto del ricorso.
Le spese del presente giudizio vanno poste, per il principio della
soccombenza, a carico della ricorrente, nella misura liquidata in
dispositivo. Ne va disposta la distrazione in favore dei procuratori
dichiaratisi antistatari.
Essendo stato il ricorso proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013
occorre dare atto della sussistenza dei presupposti per l’applicabilità
dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo
introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228. invero,
in base al tenore letterale della disposizione, il rilevamento della
sussistenza o meno dei presupposti per l’applicazione dell’ulteriore
contributo unificato costituisce un atto dovuto, poiché l’obbligo di tale
pagamento aggiuntivo non è collegato alla condanna alle spese, ma al
fatto oggettivo – ed altrettanto oggettivamente insuscettibile di diversa
valutazione – del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per
l’impugnante, dell’impugnazione, muovendosi, nella sostanza, la
previsione normativa nell’ottica di un parziale ristoro dei costi del vano
funzionamento dell’apparato giudiziario o della vana erogazione delle, pur
sempre limitate, risorse a sua disposizione (così Cass., Sez. Un., n.
22035/2014). Nella specie il rigetto del ricorso induce a ritenere la
sussistenza degli indicati presupposti.
P.Q.M.

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nella sentenza oggetto della presente impugnazione, doveva essere

La Corte rigetta H ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese del presente giudizio, liquidate in euro 100,00 per esborsi, euro
3500,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge,
nonché al rimborso delle spese generali in misura del 15%, con
distrazione nei confronti dei procuratori antistatari.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, dei d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto

ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello
dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, in data 8.7.2015

della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della

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