Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21915 del 27/10/2015


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 21915 Anno 2015
Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: ARIENZO ROSA

ORDINANZA

C U•

sul ricorso 7424-2014 proposto da:
D’ANGELO SALVATORE, elettivamente domiciliato in ROMA,
VIALE DEI ,LE MILIZIE 9, presso lo studio dell’avvocato ENRICO
LUBERTO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato
GIOVANNI MANGANO giusto mandato a margine del ricorso;
– ricorrente contro
PFIZER ITALIA SRL, in persona del legale rappresentante pro
tempore elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LUIGI GIUSEPPE
FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato ARTURO
MARESCA, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato
FRANCO RAIMONDO BOCCIA giusto mandato a margine del
controricorso;
– controricorrente –

c( 5%

Data pubblicazione: 27/10/2015

.1.11. ~O

avverso la sentenza n. 2707/2013 della CORTE D’APPELLO di
ROMA, del 19/03/2013 depositata il 18/04/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
08/07/2015 dal Consigliere Relatore Dott. ROSA ARIENZO;
udito l’Avvocato LUBERTO ENRICO difensore del ricorrente che si

FATTO E DIRITTO
La causa è stata chiamata all’adunanza in camera di consiglio
dell’8.7.2015, ai sensi dell’art. 375 c.p.c. sulla base della seguente
relazione redatta a norma dell’art. 380 bis c.p.c.:
“Con sentenza del 18.4.2014, la Corte di appello di Roma respingeva il
gravame proposto da D’Angelo Salvatore, informatore sanitario
farmaceutico, avverso la decisione di primo grado che aveva rigettato il
ricorso proposto dal predetto inteso all’accertamento dell’illegittimità del
trasferimento del ramo d’azienda ed alla condanna della società Pfizer
Italia s.r.l. al ripristino del rapporto.
Rilevava la Corte di Ancona che per ramo d’azienda, come tale
suscettibile di autonomo trasferimento riconducibile alla disciplina
dettata per la cessione d’azienda, conformemente al richiamato
orientamento di legittimità, doveva intendersi ogni entità economica
organizzata in maniera stabile, che, in occasione del trasferimento,
conservasse la sua identità, e che la sua cessione doveva consentire
l’esercizio di una attività economica finalizzata al perseguimento di un
specifico obiettivo il cui accertamento presupponeva la valutazione
complessiva di una pluralità di elementi, tra loro in rapporto di
interdipendenza in relazione al tipo di impresa, consistenti nell’eventuale
trapasso di elementi materiali ed immateriali e del loro valore,
nell’awenuta riassunzione in fatto della maggior parte del personale da
parte della nuova impresa, nell’eventuale trasferimento della clientela
nonché nel grado di analogia tra le attività esercitate prima e dopo la
cessione. Osservava che dalla istruttoria svolta era emerso che la linea
Searle di informazione medico scientifica era organizzata in maniera
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riporta alla memoria;

analoga a quella esaminata dalla S. C. nella sentenza n. 1085/2012 e
che la linea ceduta era caratterizzata non dai farmaci ma
dall’organizzazione sul territorio e dalla competenza su una determinata
area terapeutica, non assumendo alcuna rilevanza la eventuale
diversità dei farmaci trattati dopo la cessione, né la mancata cessione

con certe categorie di clienti, medici generici, in un determinato
territorio.
Né poteva rilevare, ai fini della validità della cessione, la prognosi della
continuazione dell’attività produttiva, non essendo la cessione
condizionata all’onere del cedente di verificare la capacità e potenzialità
imprenditoriali del cessionario
Per la cassazione di tale decisione ricorre il D’Angelo, affidando
l’impugnazione a tre motivi, cui resiste, con controricorso, la società.
Con il primo motivo, si denunzia, ai sensi dell’art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.,
l’erroneo riconoscimento che la sesta linea fosse solo la Searle, laddove
dalla documentazione di provenienza aziendale allegata emergeva che
l’attività promozionale dei lavoratori trasferiti era identica a quella svolta
dagli ISF specialist rimasti in azienda con funzioni interscambiabili e che
nel passaggio alla Marvecspharma il rapporto di lavoro del ricorrente
poteva essere considerato legittimo solo ove vi fosse stata un
necessaria inerenza o professionalità relativa al prodotto di cui lo stesso
doveva prospettare le caratteristiche salutari ai fini della prescrizione del
medico.
Con il secondo motivo, si lamenta il vizio di cui all’art. 360, n. 3, c.p.c. e
quello di cui all’ad. 360, n. 5, c.p.c. in ordine al riconoscimento della
mancata ricostituzione del cd. ramo d’azienda per mancanza di
motivazione, posto che la ricostituzione dello stesso ramo ceduto era
idonea a far venir meno i presupposti della legittimità del trasferimento,
evidenziandosi che, contestualmente al trasferimento del ramo
d’azienda, la Pfizer aveva ricostituito lo stesso ramo, con attribuzione di
una diversa denominazione.

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delle licenze, rilevando, invece, le modalità organizzative ed il rapporto

Con il terzo motivo, si deduce la violazione dell’art. 2112, comma 5, c.
c., ai sensi dell’ad. 360, n. 3, c.p.c., in relazione al concetto di
autonomia funzionale del ramo d’azienda oggetto di cessione,
rilevandosi che il manipolo di informatori trasferiti non poteva costituire
parte d’azienda intesa come un’entità economica con propria identità,

o accessoria, posto che con il passaggio gli informatori trasferiti non si
erano occupati dei prodotti medicinali per cui avevano ricevuto
dall’azienda cedente un training individuale e che anche il ricorrente era
passato da una società ad un’altra per svolgere di fatto un’attività
riduttiva rispetto a quella che svolgeva con la cedente. Osserva che il
cd. trasferimento era nulla più che un espediente per sbarazzarsi del
personale, essendo stato con esso posto in essere un’operazione
finanziaria nella consapevolezza che la cessionaria non aveva alcuna
potenzialità per potere impiegare i dipendenti trasferiti, non essendo
dotata di una struttura economica ed organizzativa tale da potere
assorbire il personale, come dimostrato dalla successiva messa n ClGS
del personale trasferito, poi posto in mobilità.
Il ricorso è infondato.
In termini generali, deve osservarsi che, in tema di trasferimento di
azienda, l’art. 2112 cod. civ. presuppone che il trasferimento dei beni,
materiali ed immateriali, destinati all’esercizio dell’impresa, – nella loro
funzione unitaria e strumentale e non nella loro autonoma individualità sia effettivo e reale, sicché non vi è un legittimo trasferimento di ramo d’
azienda ove vi sia la sua creazione fittizia proprio in vista della cessione
(cfr. Cass. 21.11.2012 n. 20422).
Nella specie deve aversi riguardo poi alla peculiarità della attività svolta
dagli informatori, che non è collegata all’esistenza di strumenti e beni
aziendali necessari allo svolgimento dell’attività, caratterizzata
unicamente dall’attività di promozione di farmaci, nel caso considerato
presso medici generici (linea generalista) – diversamente dalla linea
Nepsy — specialistica — costituente una articolazione funzionalmente
autonoma — in determinati ambiti territoriali. Era, quindi, necessario solo
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come insieme di mezzi organizzati per un’attività economica, essenziale

valutare che i lavoratori coinvolti dai trasferimento risultassero costituire
un gruppo coeso per professionalità, legami organizzativi preesistenti
alla cessione e specifico know how tale da individuarli come una
struttura unitaria funzionalmente idonea e non come una mera
sommatoria di dipendenti.

si riferiscono indistintamente a violazioni prospettate come violazione di
legge e come vizio di motivazione – sono volti, nella sostanza, a
sindacare un accertamento di fatto condotto dal giudice del merito, che
ha portato lo stesso a ritenere che fosse stata dimostrata, alla stregua
delle circostanze di fatto riferite dai testi escussi, l’autonomia del ramo
ceduto, funzionale alla organizzazione sul territorio e giustificata dal
collegamento con una determinata area terapeutica e con una categoria
individuata di clienti.
A tale ricostruzione il ricorrente ne contrappone una difforme, non
censurando puntualmente quella effettuata in sentenza, ma proponendo
una diversa valorizzazione degli elementi probatori raccolti, senza
neanche specificamente riportare per esteso il testo dei documenti il cui
contenuto sarebbe stato erroneamente valutato e senza precisare, in
relazione ad alcuni di essi (verbale del Consiglio di amministrazione
della Pfizer) se la relativa produzione sia avvenuta ritualmente nella fase
del merito.
Analogamente, le deposizioni dei testi richiamate (v. dichiaraz. teste
Linfante) sono riportate per stralci, rivelandosi inidonee a rappresentare,
ai sensi del nuovo testo dell’art. 360 n. 5 c.p.c., il fatto decisivo per il
giudizio oggetto di discussione tra le parti di cui si lamenta l’omesso
esame .
Peraltro, sempre con riguardo al nuovo testo dell’art. 360 n. 5 c.p.c.,
applicabile ratione temporis, non sono ravvisabili né contraddittorietà e
incoerenza della motivazione, né mancanza della stessa. La quaestio
facti rilevante in causa è stata, poi, trattata in conformità ai criteri
valutativi di riferimento, pur pervenendo il giudice del gravame a
conclusioni opposte a quelle indicate da parte ricorrente, osservandosi
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Tanto premesso, va osservato che i rilievi formulati dal D’Angelo — che

al riguardo che, in tema di ricorso per cassazione, l’allegazione di
un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle
risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di
legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui
censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di
discrimine tra le distinte ipotesi di violazione di legge in senso proprio a
causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa,
ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o
contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal
fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata
dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass. n. 7394 del
2010, 16698 del 2010, 8315 del 2013). E l’ipotesi considerata rientra
certamente nel paradigma da ultimo delineato, posta la necessaria
valutazione dei termini dell’avvenuta cessione e della autonomia e
rilevanza funzionale del ramo ceduto, alla stregua delle risultanze
istruttorie, per valutarne la sussumibilità nella fattispecie normativa di
riferimento.
La sentenza impugnata si sottrae, pertanto, alla censura mossa, e
risulta rispettosa dei principi affermati da questa Corte di Cassazione,
che ha, in materia di trasferimento di parte (c.d. ramo) di azienda,
precisato che tanto la normativa comunitaria (direttive CE nn. 98/50 e
2001/23) quanto la legislazione nazionale (art. 2112 c.c., comma 5,
sostituito dal D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, art. 32) perseguono il
fine di evitare che il trasferimento si trasformi in semplice strumento di
sostituzione del datore di lavoro, in una pluralità di rapporti individuali,
con altro sul quale i lavoratori possano riporre minore affidamento sul
piano sia della solvibilità sia dell’attitudine a proseguire con continuità
l’attività produttiva, osservando che la citata direttiva del 1998 richiede,
pertanto, che il ramo d’azienda oggetto del trasferimento costituisca
un’entità economica con propria identità, intesa come insieme di mezzi
organizzati per un’attività economica, essenziale o accessoria, e,
analogamente, l’art. 2112 c.c., comma 5, si riferisce alla “parte
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omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti. li

d’azienda, intesa come articolazione funzionalmente autonoma di
un’attività economica organizzata”.
Deve, quindi, trattarsi di un’entità economica organizzata in modo stabile
e non destinata all’esecuzione di una sola opera (cfr. Corte di Giustizia
CE, sentenza 24 gennaio 2002, C-51/00), ovvero di un’organizzazione
capaci di tradursi in beni o servizi determinati, là dove, infine, il motivo
del trasferimento ben può consistere nell’intento di superare uno stato di
difficoltà economica (cfr., Cass. 8.6.2009 n.13171).
La Corte del merito ha fatto corretta applicazione anche del dictum
giurisprudenziale, che – dopo avere ribadito che per “ramo d’azienda”,
come tale suscettibile di autonomo trasferimento riconducibile alla
disciplina dettata per la cessione d’azienda, deve intendersi ogni entità
economica organizzata in maniera stabile la quale, in occasione del
trasferimento, conservi la sua identità – ha anche precisato che (come
affermato anche dalla Corte di Giustizia, sentenza 24 gennaio 2002, C51/00 Temco) tale trasferimento deve consentire l’esercizio di una
attività economica finalizzata al perseguimento di uno specifico
obbiettivo, il cui accertamento presuppone la valutazione complessiva di
una pluralità di elementi, tra loro in rapporto di interdipendenza in
relazione al tipo di impresa, consistenti nell’eventuale trapasso di
elementi materiali o immateriali e del loro valore, nell’avvenuta
riassunzione in fatto della maggior parte del personale da parte della
nuova impresa, dell’eventuale trasferimento della clientela, nonché del
grado di analogia tra le attività esercitate prima e dopo la cessione, in
ciò differenziandosi dalla cessione del contratto ex art. 1406 c.c., che
attiene alla vicenda circolatoria del solo contratto, comportando la sola
sostituzione di uno sei soggetti contraenti e necessitando, per la sua
efficacia, del consenso del lavoratore ceduto (cfr. Cass. 17 marzo 2009
n. 6452).
Quanto al terzo motivo, riferito al vizio di violazione di legge con
riguardo alla erronea considerazione di circostanze ritenute
obiettivamente idonee a dimostrare il perseguimento del carattere
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quale legame funzionale che renda le attività dei lavoratori interagenti e

fraudolento della traslazione, si osserva che, non solo le circostanze
richiamate non sono tutte state oggetto di specifica deduzione nelle fasi
di merito, ma anche che la deduzione di circostanze idonee a
configurare indici sintomatici della elusione di norme imperative non si
rivelano sufficienti ai fini voluti, considerato quanto già affermato da

alla mancanza di solidità economica della azienda presso la quale era
stato attuato il trasferimento.
È stato affermato che non è possibile enucleare un precetto che
imponga un divieto di cessione in tali ipotesi dalle disposizioni che
regolano il trasferimento d’ azienda (art. 2112 c.c.) e che non è in frode
alla legge, ne’ concluso per motivo illecito – non potendo ritenersi tale il
motivo perseguito con un negozio traslativo, di addossare ad altri la
titolarità di obblighi ed oneri conseguenti -, il contratto di cessione
dell’azienda a soggetto che, per le sue caratteristiche imprenditoriali e in
base alle circostanze del caso concreto, renda probabile la cessazione
dell’attività produttiva e dei rapporti di lavoro (cfr. Cass. 2 maggio 2006
n. 10108). Va al riguardo evidenziato che l’evento della cessione di
azienda è certamente in grado di incidere fortemente sui diritti dei
lavoratori, in particolare sull’occupazione sicché il legislatore, con l’art.
2112 c.c., e con la L. n. 428 del 1990, ari. 47, ha predisposto una serie
di cautele, che vanno dalla previsione della responsabilità solidale del
cedente con il cessionario, in relazione ai crediti maturati dai dipendenti,
all’intervento delle organizzazioni sindacali, non ponendo alcun limite,
nel rispetto dell’art. 41 Cost.. Ne consegue che la validità della cessione
non è condizionata alla prognosi della continuazione dell’attività
produttiva, e, di conseguenza, all’onere del cedente di verificare le
capacità e potenzialità imprenditoriali del cessionario (cfr., in termini,
Cass. 10108/2006 cit.).
Alla stregua delle esposte considerazioni, si propone il rigetto del
ricorso”.
Sono seguite le rituali comunicazioni e notifica della suddetta relazione,
unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in Camera di
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questa Corte con riferimento a fattispecie in cui si era conferita rilevanza

consiglio. La società ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’ari.
380 bis, 2° comma, c.p.c.
Il Collegio ritiene di condividere il contenuto e le conclusioni della
riportata relazione, osservando che i rilievi svolti nella memoria di parte
ricorrente non siano capaci di scalfire il contenuto della suddetta

corretta applicazione di orientamenti giurisprudenziali consolidati nella
stessa richiamati.
Alla stregua delle svolte considerazioni, deve pervenirsi al rigetto del
ricorso.
Le spese del presente giudizio vanno poste, per il principio della
soccombenza, a carico del ricorrente, nella misura liquidata in dispositivo.
Essendo stato il ricorso proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013
occorre dare atto della sussistenza dei presupposti per l’applicabilità
dell’ad. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo
introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228. Invero,
in base al tenore letterale della disposizione, il rilevamento della
sussistenza o meno dei presupposti per l’applicazione dell’ulteriore
contributo unificato costituisce un atto dovuto, poiché l’obbligo di tale
pagamento aggiuntivo non à collegato alla condanna alle spese, ma al
fatto oggettivo – ed altrettanto oggettivamente insuscettibile di diversa
valutazione – del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per
l’impugnante, dell’impugnazione, muovendosi, nella sostanza, la
previsione normativa nell’ottica di un parziale ristoro dei costi del vano
funzionamento dell’apparato giudiziario o della vana erogazione delle, pur
sempre limitate, risorse a sua disposizione (così Cass., Sez. Un., n.
22035/2014). Nella specie il rigetto del ricorso induce a ritenere la
sussistenza degli indicati presupposti.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese del presente giudizio, liquidate in euro 100,00 per esborsi, euro
3000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge,
nonché al rimborso delle spese generali in misura del 15%.
Ric. 2014 n. 07424 sez. ML – ud. 08-07-2015
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relazione, sia sotto il profilo logico giuridico che con riguardo alla

Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto
della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dega
ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello
dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, in data 8.7.2015

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