Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21907 del 21/10/2011

Cassazione civile sez. II, 21/10/2011, (ud. 13/10/2011, dep. 21/10/2011), n.21907

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. BIANCHI Luisa – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

CONDOMINIO DI VIA (OMISSIS), in persona

dell’amministratore pro tempore, rappresentato e difeso, in virtù di

procura speciale a margine del ricorso, dall’Avv. GAROFALO PIETRO,

per legge domiciliato nella Cancelleria civile della Corte di

cassazione, piazza Cavour, Roma;

– ricorrente –

contro

S.S., rappresentato e difeso, in forza di procura

speciale a margine del controricorso, dagli Avv. CARADONNA GIANFRANCO

e Piero Conti, elettivamente domiciliati nello studio di quest’ultimo

in Roma, via Filippo Corridoni, n. 23;

– controricorrente –

e sul ricorso proposto da:

S.S., rappresentato e difeso, in forza di procura

speciale a margine del controricorso, dagli Avv. Gianfranco Caradonna

e Piero Conti, elettivamente domiciliati nello studio di quest’ultimo

in Roma, via Filippo Corridoni, n. 23;

– ricorrente in via incidentale condizionata –

contro

CONDOMINIO DI VIA (OMISSIS), in persona

dell’amministratore prò tempore, rappresentato e difeso, in virtù

di procura speciale a margine del ricorso, dall’Avv. Pietro Garofalo,

per legge domiciliato nella Cancelleria civile della Corte di

cassazione, piazza Cavour, Roma ;

– controricorrente –

avverso la sentenza del Giudice di pace di Bari n. 4263 del 6

settembre 2005;

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 13

ottobre 2011 dal Consigliere relatore Dott. Alberto Giusti;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. GOLIA Aurelio, che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso principale e il rigetto del ricorso incidentale.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. – S.S. ha proposto opposizione avverso il decreto, provvisoriamente esecutivo, con il quale il Giudice di pace di Bari aveva ingiunto, allo stesso e ai fratelli F.V. e C., comproprietari di due unità immobiliari all’interno del Condominio di via (OMISSIS), il pagamento, in solido, della somma di Euro 618,51, per oneri condominiali relativi alla gestione dell’anno 2002, cosi come risultanti dal bilancio consuntivo approvato con delibera del 19 settembre 2003.

L’opponente, oltre a prospettare la nullità della delibera assembleare del 19 settembre 2003 (perchè viziata dalla mancata convocazione dello stesso all’assemblea e dal mancato invio di copia del verbale assembleare), ha dedotto l’insussistenza del rapporto di solidarietà passiva tra gli ingiunti, in quanto comproprietari delle predette unità immobiliari prò quota, e ha eccepito l’avvenuto pagamento degli oneri condominiali relativi alla sua quota di proprietà.

Il Condominio si è costituito, resistendo.

2. – Il Giudice di pace di Bari, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 6 settembre 2005, ha accolto la domanda, revocando parzialmente, limitatamente alla condanna solidale dell’opponente, il decreto ingiuntivo.

Respinte le contestazioni relative alla validità della delibera assembleare del 19 settembre 2003 (sia perchè all’assemblea aveva ritualmente partecipato, in luogo dell’opponente S., C.F., acquirente della quota del medesimo; sia perchè la delibera in questione, in ipotesi semmai annullabile in ragione del vizio dedotto e non nulla, non era stata impugnata nei termini), il Giudice di pace ha rilevato che l’obbligazione doveva considerarsi nella specie parziaria perchè le quote di comproprietà degli immobili condominiali erano pervenute ai rispettivi titolari in base a due distinti testamenti: il S. avendone acquistato i 2/4 in forza di successione dalla madre Ca.El., ed i germani F. 1/4 ciascuno in forza di successione dalla madre Ca.Gi.. “Nel caso in esame – ha concluso il primo giudice – il pagamento degli oneri condominiali afferisce ai condebitori prò quota, trattandosi di obbligazioni, inerenti la conservazione e manutenzione delle parti comuni dell’edificio (artt. 1104 e 1123 c.c.), propter rem, essendo strettamente connesse con la contitolarità del diritto di proprietà, che ha ciascun partecipante alla comunione su dette cose”.

3. – Per la cassazione della sentenza del Giudice di pace il Condominio ha proposto ricorso, con atto notificato il 23 dicembre 2005, sulla base di cinque motivi.

Ha resistito, con controricorso, l’intimato, il quale ha proposto, a sua volta, ricorso incidentale condizionato, affidato a due motivi.

Il Condominio vi ha resistito con controricorso.

In prossimità dell’udienza il Condominio ha depositato una memoria illustrativa.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. – Preliminarmente, il ricorso principale ed il ricorso incidentale devono essere riuniti, ai sensi dell’art. 335 c.p.c., essendo entrambe le impugnazioni riferite alla stessa sentenza.

2. – Il primo motivo del ricorso principale lamenta (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5) motivazione solo apparente con riferimento alla deroga della norma generale sulla solidarietà fra condebitori.

Il Giudice di pace non avrebbe chiarito perchè una circostanza estranea al rapporto obbligatorio (i differenti titoli di provenienza dei condomini comunisti) possa avere influito (ed in quale modo) sulla disciplina che normalmente dovrebbe regolare il rapporto obbligatorio medesimo.

Il secondo motivo del medesimo ricorso censura omessa motivazione sul fatto che il riparto previsto dall’art. 1104 c.c., opera solo nei rapporti interni tra i comunisti e non anche nei confronti dei terzi, fra cui deve essere compreso il condominio.

Con il terzo motivo (motivazione omessa o quanto meno insufficiente) il Condominio lamenta che a base della decisione sia stata posta una categoria – quella dei “contitolari” contrapposta a quella dei normali “comproprietari” – senza tuttavia chiarirsi in base a quale norma, o principio giuridico, la contitolarità debba ricevere una disciplina differente rispetto a quella prevista per la normale comproprietà.

Con il quarto motivo (violazione dell’art. 111 Cost., dell’art. 6 della CEDU e dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3) il Condominio si duole che il Giudice di pace abbia, d’ufficio, valorizzato il fatto che i titoli di provenienza dei comunisti fossero diversi, laddove il contitolare opponente aveva assunto che ciascuno dei comproprietari di un appartamento in condominio rispondesse esclusivamente in relazione alla sua quota.

Il quinto mezzo del ricorso principale (violazione del principio generale dell’ordinamento desumibile dall’art. 1294 c.c., nonchè della disposizione dell’art. 1104 c.c.) lamenta che la sentenza impugnata abbia violato un principio regolatore della materia, vale a dire l’applicabilità ai comproprietari, nei rapporti esterni verso il condominio, della disciplina derivante dall’art. 1294 c.c., a nulla rilevando che i titoli di acquisto della comproprietà siano, tra loro, differenti.

3. – Preliminare in ordine logico è l’esame del quinto motivo del ricorso principale.

La censura con esso veicolata è, innanzitutto, ammissibile, perchè il ricorrente prospetta la contrarietà della sentenza del giudice di pace, pronunciata secondo equità, ad un principio in cui si compendiano le linee essenziali della disciplina giuridica del rapporto dedotto in causa.

Essa è anche fondata.

3.1. – Questa Corte ha ripetutamente affermato che in tema di comunione ordinaria, i comproprietari, come condebitori di un’obbligazione contratta per la cosa comune, sono tenuti in solido nei confronti del creditore, a meno che dal titolo non risulti diversamente, e che ad essi si applica la disposizione generale dell’art. 1294 c.c., la quale non è derogata dalla normativa sulla comproprietà.

Secondo Cass., sez. 2^, 5 giugno 1959, n. 1689, l’obbligazione relativa alle spese condominiali incombente sui proprietari prò indiviso di un appartamento ha carattere solidale, sia perchè l’obbligazione stessa viene determinata in funzione della porzione reale dell’immobile, sia perchè i comunisti prò indiviso di una porzione non possono essere considerati direttamente condomini.

Nella sentenza di questa seconda sezione 10 febbraio 1970, n. 335, si afferma che “i comproprietari prò indiviso di un appartamento sito in un edificio condominiale non possono essere considerati quali condomini singoli, ma nel loro insieme, e, dunque, non essendo consentita, riguardo il pagamento delle spese condominiali, un’ulteriore divisione, tutti sono unitariamente, e in modo indivisibile, obbligati rispetto il condominio”. A tale conclusione la sentenza giunge facendo leva in particolare: (a) sull’art. 68 disp. att. c.c., il quale prevede che le spese vanno corrisposte con riferimento al valore della singola entità immobiliare, considerata nella sua unitarietà; (b) sull’art. 67 disp. att. c.c., ai cui sensi qualora un piano o porzione di piano appartenga in proprietà indivisa a più persone, queste hanno diritto a un solo rappresentante nell’assemblea condominiale.

Alla stessa soluzione perviene Cass., sez. 2^, 21 ottobre 1978, n. 4769, secondo la quale i comproprietari di un appartamento in edificio condominiale sono debitori solidali, verso il condominio, per il pagamento delle spese di cui all’art. 1123 c.c., sicchè l’amministratore del condominio può esigere da ciascuno di essi l’intero ammontare del debito, salvo il regresso del solvens nei confronti dei condebitori, contitolari della stessa porzione di piano. In base a questa sentenza, “la circostanza che di quelle parti immobiliari individua il soggetto sia comproprietario, e non unico titolare, non lo esonera nè gli limita, verso il condominio, il debito. Secondo i principi della solidarietà passiva (art. 1294 cod. civ.), egli è tenuto per la totalità dell’obbligazione, salvo a ripetere dai condebitori (i contitolari delle sue parti immobiliari) la parte di ciascuno di essi (art. 1299 c.c.)”.

Da ultimo, il principio è stato ribadito da Cass., sez. 2^, 4 giugno 2008, n. 14813. In un caso – sempre di comunione ordinaria di un appartamento in condominio -nel quale il ricorrente si doleva della condanna al pagamento anche della quota di contributi che andava imputata all’altro comproprietario, questa Corte, nel rigettare la censura, rileva che il motivo non chiarisce “perchè nella specie dovrebbe essere derogato il principio generale di cui all’art. 1292 c.c., secondo il quale la solidarietà si presume nel caso di pluralità di debitori”.

3.2. – Il Collegio intende dare continuità a questo orientamento.

Venendo nella specie in evidenza la natura dell’obbligazione relativa alle spese condominiali facente carico ai proprietari prò indiviso di un appartamento, occorre tenere presente che l’obbligazione delle spese condominiali viene determinata con riferimento al valore della singola unità immobiliare dell’edificio in condominio, e cioè al valore del piano o porzione di piano “spettante in proprietà esclusiva ai singoli condomini”, come espressamente stabilito dall’art. 68 disp. att. c.c., agli effetti indicati dagli artt. 1123, 1124, 1126 e 1136 c.c.: il che è coerente con la stessa destinazione delle cose comuni, serventi a porzioni reali dell’immobile, e non già a quote ideali.

A ciò aggiungasi che, dal lato soggettivo, nel caso di comunione inquadrata nel condominio quale elemento complesso, la comunione medesima viene riguardata, sul piano del diritto positivo, più nel suo aspetto unitario che non in quello della scomposizione nei singoli diritti di proprietà sulla quota ideale, come è testimoniato dall’art. 67 disp. att. c.c., il quale prevede che i comproprietari abbiano un solo rappresentante nell’assemblea.

In altri termini, poichè l’obbligo del contributo grava sul titolare del piano o della porzione di piano inteso come cosa unica e poichè i comproprietari costituiscono, rispetto al condominio, un insieme, ciascuno è tenuto in solido verso il condominio.

Infatti, nelle obbligazioni contratte per (o relative al) la cosa in comunione ordinaria (art. 1100 c.c. e ss.) ricorrono tutte le condizioni per l’operatività della c.d. presunzione di cui all’art. 1294 c.c.: la pluralità di debitori legati da un vincolo di comunione (i contitolari del bene in comproprietà), l’unicità della prestazione e l’unità della fonte (l’eadem causa obligandi del diritto romano).

Non rileva il fatto che l’obbligazione derivi dalla legge anzichè dal contratto, perchè la regola della solidarietà riguarda ogni tipo di obbligazione e non soltanto le obbligazioni da contratto:

come tale, essa è destinata ad abbracciare anche l’obbligazione di partecipare alle spese per l’amministrazione della cosa comune, le quali trovano la loro fonte talvolta nella delibera dell’assemblea o nell’attività dell’amministratore, e talvolta direttamente nella legge.

E neppure rileva che il condebito si innesti su una situazione, la comunione ordinaria, dominata dal principio della quota. Infatti, la ripartizione prò quota delle spese comuni (ricavabile dal combinato disposto degli artt. 1101 e 1104 cod. civ.) concerne esclusivamente i rapporti interni tra comunisti, non implicando anche un’attuazione parziaria dell’obbligazione per quanto attiene ai rapporti esterni con il creditore.

Una conferma dell’operatività della regola della solidarietà nei confronti del creditore per le obbliga-zioni assunte dai comproprietari per la cosa comune, si ricava dall’art. 1115 c.c., il quale – nel richiamare la solidarietà non come semplice dato di fatto ma come effetto giuridico – contiene anche un tratto peculiare del debito dei comproprietari per la cosa comune rispetto al generale funzionamento dei condebiti ad attuazione solidale, con la previsione della facoltà accordata a ciascun partecipante di esigere l’estinzione delle obbligazioni in solido contratte per la cosa comune, prelevando la somma occorrente dal prezzo di vendita della cosa stessa.

Nè infine – per venire al caso di specie e alla ratio decidenti che sostiene la sentenza impugnata – è di ostacolo all’applicazione della regola della solidarietà il fatto che le quote dell’unità immobiliare siano pervenute ai comproprietari in forza di due distinti titoli successori, giacchè la diversità dei titoli di provenienza concerne il modo di acquisto del bene in comunione, ma non tocca la contitolarità del debito per le obbligazioni assunte dai comproprietari in relazione alla cosa comune nè incide sul modo di attuazione dell’obbligazione nei rapporti con il condominio creditore.

3.3. – Deve pertanto enunciarsi il seguente principio di diritto: “I comproprietari di una unità immobiliare sita in condominio sono tenuti in solido, nei confronti del condominio, al pagamento degli oneri condominiali, sia perchè detto obbligo di contribuzione grava sui contitolari del piano o della porzione di piano inteso come cosa unica e i comunisti stessi rappresentano, nei confronti del condominio, un insieme, sia in virtù del principio generale dettato dall’art. 1294 c.c. (secondo il quale, nel caso di pluralità di debitori, la solidarietà si presume), alla cui applicabilità non è di ostacolo la circostanza che le quote dell’unità immobiliare siano pervenute ai comproprietari in forza di titoli diversi. Trattandosi di un principio informatore della materia, al rispetto di esso è tenuto il giudice di pace, anche quando decide secondo equità ai sensi dell’art. 113 c.p.c., comma 2”.

3.4. – Ad avviso del Collegio, una siffatta definizione, da parte della sezione semplice, del caso sottoposto al suo esame non è precluso dal principio di diritto – espresso, in sede di risoluzione di contrasto, dalle sezioni unite con la sentenza 8 aprile 2003, n. 9148 – sulla natura parziaria e non solidale della responsabilità dei condomini per le obbligazioni contratte dall’amministratore in nome e per conto del condominio.

Occorre al riguardo muovere dalla considerazione che “il principio di diritto enunciato dalle sezioni unite”, al quale si riferisce il terzo comma dell’art. 374 cod. proc. civ. nel delineare un “vincolo in negativo” per la sezione semplice (nel senso che questa, se ritiene di non condividere la regula iuris espressa dalle sezioni unite, è tenuta a rimettere a queste ultime, con ordinanza motivata, la decisione del ricorso), è la generalizzazione dell’interpretazione ed applicazione della norma giuridica con riferimento ad una singola fattispecie: esprime, cioè, la concretizzazione della norma in relazione ad un caso nella sua valenza tipica e paradigmatica, e quindi suscettibile di riprodursi, attesa la valenza, appunto, “di principio” dell’enunciazione, con riguardo ad una generalità di casi concreti futuri.

Ora, mentre la questione decisa dalle sezioni unite investe la natura della responsabilità dei singoli condomini in ordine alle obbligazioni contratte dal rappresentante del condominio verso i terzi e il dictum da esse enunciato si risolve nell’affermazione secondo cui il terzo creditore, conseguita in giudizio la condanna dell’amministratore quale rappresentante dei condomini in relazione ad un’obbligazione contrattuale dallo stesso stipulata, può procedere esecutivamente nei confronti di questi ultimi non per l’intera somma dovuta, bensì solo nei limiti della quota di ciascuno; la questione esaminata in questa sede riguarda un caso tutt’affatto diverso, ossia se in tema di comunione ordinaria, le obbligazioni dei comproprietari, in particolare relativamente alle spese condominiali inerenti alla contitolarità prò indiviso di un appartamento facente parte di un condominio, ricadano o meno nella disciplina del condebito ad attuazione solidale.

Del resto, che le fattispecie, con i correlati referenti normativi, e quindi le questioni siano diverse, è convalidato dal fatto che l’ultima delle pronunce il cui orientamento qui si va a confermare (la sentenza 4 giugno 2008, n. 14813) è stata emessa dalla sezione semplice successivamente all’intervento nomofilattico delle sezioni unite.

3.5. – Occorre tuttavia farsi carico del fatto che il declsvm delle sezioni unite, superando risultati acquisiti in tema di solidarietà passiva nelle obbligazioni, prende le mosse dalla puntualizzazione che, in mancanza di una norma di legge che privilegi la comunanza della prestazione, la natura pecuniaria dell’obbligazione e la sua conseguente intrinseca divisibilità ex parte debltoris impediscono l’applicazione della presunzione di solidarietà tra condebitori.

Interrogandosi, in generale, sul “fondamento della solidarietà”, le sezioni unite sottolineano infatti che “l’obbligazione dei condomini (condebitori)…, consistendo in una somma di danaro, raffigura una prestazione comune, ma naturalisticamente divisibile”, e che “la solidarietà passiva… esige la sussistenza non soltanto della pluralità dei debitori e della identica causa dell’obbligazione, ma altresì dell’indivisibilità della prestazione comune”; di talchè, “in mancanza di quest’ultimo requisito e in difetto di una espressa previsione di legge” – non configurabile rispetto all’obbligazione assunta dal condominio versi i terzi – “la intrinseca parziarietà dell’obbligazione prevale”.

Il percorso argomentativo sul fondamento della solidarietà ex art. 1294 c.c., seppure centrale per giungere alla affermazione, da parte della citata sentenza n. 9148 del 2008, della natura parziaria della responsabilità dei condomini per le obbligazioni assunte verso i terzi dall’amministratore in nome e per conto del condominio, non costituisce l’unica ragione del decidere: pertanto quel sostegno motivazionale non è “principio di diritto” ex art. 374 c.p.c., comma 3, (non includendo questo tutte le giustificazioni adoperate dal massimo organo della nomofilachia a sostegno della risoluzione adottata), e non è capace di porsi – in altre situazioni di condebito per obbligazioni pecuniarie – con la forza e con il “vincolo” che assiste l’enunciazione delle sezioni unite.

La regula. iuris delle sezioni unite si basa, infatti, su ulteriori e concorrenti ragioni:

(a) sul fatto che l’art. 1115 c.c. “non riguarda il condominio negli edifici e non si applica al condominio, in quanto regola l’ipotesi della vendita della cosa comune”, ossia “la cosa comune soggetta a divisione”, laddove “le cose, gli impianti ed i servizi comuni del fabbricato… sono contrassegnati dalla normale indivisibilità ai sensi dell’art. 1119 c.c., e, comunque, dalla assoluta inespropriabilità”;

(b) sulla circostanza che l’art. 1123 c.c., “interpretato secondo il significato letterale e secondo il sistema in cui si inserisce, non distingue il profilo esterno e quello interno”;

(c) sul rilievo che – stante “il difetto di struttura unitaria del condominio, la cui organizzazione non incide sulla titolarità individuale dei diritti, delle obbligazioni e della relativa responsabilità” – “l’amministratore vincola i singoli nei limiti delle sue attribuzioni e del mandato conferitogli in ragione delle quote”;

(d) sulla sottolineatura, ancora, che “le obbligazioni dei condomini sono regolate da criteri consimili a quelli dettati dagli artt. 752 e 1295 c.c., per le obbligazioni ereditarie, secondo cui i coeredi concorrono al pagamento dei debiti ereditar in proporzione alle loro quote”;

(e) su ragioni – infine – di “giustizia sostanziale” e di analisi economica del diritto, atteso che “la solidarietà avvantaggerebbe il creditore il quale, contrattando con l’amministratore del condominio, conosce la situazione della parte debitrice e può cautelarsi in vari modi”, laddove la parziarietà “non costringe i debitori ad anticipare somme a volte rilevantissime in seguito alla scelta (inattesa) operata unilateralmente dal creditore”.

Quel che più conta è che lo stesso principio di diritto enunciato dalle sezioni unite (l’assenza di solidarietà nella responsabilità dei singoli condomini per le obbligazioni assunte dall’amministratore nei confronti del terzo) potrebbe addirittura riposare su una premessa ulteriore ed opposta rispetto a quella espressa dal complesso motivazionale della citata sentenza, ossia – come è stato messo in luce in dottrina – valorizzando il processo di unificazione dell’amministrazione delle cose comuni e l’organizzazione del gruppo, in cui si identifica la stessa identità del condominio (ben al di là del modello della comunione ordinaria), e ricostruendo l’obbligazione contratta per la gestione delle cose comuni come obbligazione soggettivamente semplice: il che porterebbe a ritenere che a detta unificazione, ottenuta all’esterno nei rapporti con i terzi, faccia poi seguito una rifrazione del debito nelle posizioni dei singoli condomini, i quali confidano ragionevolmente nel fatto che ad essere assunte sono obbligazioni collettive, il cui peso si intende condividere, ma appunto collettivamente e non uti singuli.

3.6. – Tanto premesso, il collegio – nel ribadire l’applicabilità del principio di cui all’art. 1294 c.c., alle obbligazioni per la cosa comune che fanno capo ai comproprietari in comunione ordinaria – non ritiene persuasiva la tesi che la solidarietà passiva, a parte le ipotesi speciali espressamente volute dal legislatore, dipenda dalla (e si leghi indissolubilmente alla) indivisibilità della prestazione e sia preordinata a proteggere, in fase esecutiva, soltanto l’unità della prestazione indivisibile.

La regola della solidarietà passiva è stata infatti introdotta dal codice civile del 1942 in conseguenza della commercializzazione delle obbligazioni civili al fine di rafforzare, nella fase di attuazione del rapporto obbligatorio, tanto le probabilità per il creditore di vedere soddisfatto il suo interesse creditorio al bene oggetto della prestazione quanto la “comunione di interessi” dalla quale, nella realtà della vita, “più debitori… obbligati per un solo debito…

sono legati intimamente” (Relazione al codice civile, n. 597).

Al contrario, la funzione della indivisibilità va colta nell’esigenza di assicurare l’unità della prestazione, data l’inidoneità del suo oggetto ad essere suscettibile di essere frazionato in porzioni idonee a conservare proporzionalmente la stessa funzione economica dell’intera prestazione.

E poichè, appunto, il fondamento della solidarietà passiva non risiede nell’esigenza di tutelare l’adempimento unitario di una obbligazione avente per oggetto una cosa o un fatto non suscettibile di divisione, bensì in quella di rafforzare le probabilità per il creditore di conseguire la prestazione, sia questa divisibile o indivisibile, è da escludere che l’indivisibilità della prestazione costituisca un necessario predicato dell’idem debitum.

Ne deriva che la naturale divisibilità dell’obbligazione pecuniaria dei comproprietari di un appartamento sito in un condominio di contribuire agli oneri condominiali, non impedisce di configurare la solidarietà del vincolo tra quei contitolari.

4. – L’accoglimento del quinto motivo del ricorso principale assorbe l’esame degli altri motivi con esso articolati.

5. – Passando al ricorso incidentale condizionato, con il primo motivo si deduce contraddittoria motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, circa i punti decisivi della controversia rappresentati dalla mancata convocazione del S. alla delibera assembleare del settembre 2003, dalla mancata comunicazione del relativo verbale, dalla mancanza di qualità di condomino del medesimo alla data della delibera, nonchè omessa motivazione sulla pacifica conoscenza da parte dell’amministratore delle quote di comproprietà e ripartizione in base alle medesime delle spese, anche nel rendiconto posto a base dell’ingiunzione; il tutto in relazione alla dedotta invalidità ed inefficacia nei confronti dell’opponente della delibera medesima e comunque sulla richiesta di revoca del decreto ingiuntivo nei confronti del S..

5.1. – Il motivo è inammissibile, perchè – essendo impugnata una pronuncia secondo equità del giudice di pace, ai sensi dell’art. 113 c.p.c., comma 2, – la censura veicolata non prospetta un’ipotesi equiparabile a quella di inesistenza della motivazione, ossia di mera apparenza della motivazione o di concreta impossibilità di comprenderne la ratio decidendi, a causa di una radicale e insanabile contraddittorietà.

6. – Il secondo mezzo del ricorso incidentale condizionato denuncia violazione della norma processuale di cui all’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per omessa pronuncia su una domanda ed eccezione proposta dall’opponente ed in particolare sulla eccezione di invalidità della delibera.

6.1. – Il motivo è infondato, perchè – come emerge per tabulas dalla lettura della sentenza impugnata – il Giudice di pace ha esaminato la domanda di nullità della delibera, ma ha ritenuto che essa non poteva trovare ingresso nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, perchè, essendo dedotto un vizio comportante non la nullità, ma l’annullabilità della delibera, questa avrebbe dovuto essere impugnata “nei termini previsti e nelle sedi competenti”.

7. – Il ricorso principale è accolto e l’incidentale condizionato rigettato.

La sentenza impugnata è cassata.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito con il rigetto dell’opposizione a decreto ingiuntivo.

Le spese processuali, tanto del giudizio di merito quanto di quello di cassazione, seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, accoglie il ricorso principale per effetto della fondatezza del quinto motivo, assorbito l’esame delle rimanenti censure, e rigetta il ricorso incidentale condizionato;

cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’opposizione a decreto ingiuntivo proposta da S.S..

Condanna quest’ultimo al pagamento delle spese processuali sostenute dal Condominio, che liquida, per la fase di merito, in complessivi Euro 550, di cui Euro 300 per diritti ed Euro 200 per onorari, oltre a spese generali e ad accessori di legge, e, per la fase di legittimità, in complessivi Euro 500, di cui Euro 300 per onorari, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 13 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 21 ottobre 2011

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