Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21904 del 30/07/2021

Cassazione civile sez. I, 30/07/2021, (ud. 07/10/2020, dep. 30/07/2021), n.21904

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22090-2019 proposto da:

E.A., domiciliato in ROMA, piazza Cavour n. 38, presso la

cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dell’Avv. Donatella Laureti, del foro di Pescara, che lo rappresenta

e difende con procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato

e domiciliato sempre ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– resistente –

avverso il decreto n. 1496/2019 del Tribunale di L’Aquila, depositato

il 10/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

07/10/2020 dal Consigliere Dott.ssa Milena FALASCHI.

 

Fatto

OSSERVA IN FATTO E IN DIRITTO

Ritenuto che:

– con provvedimento notificato il 16.01.2018 la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Ancona rigettava la domanda del ricorrente volta all’ottenimento dello status di rifugiato, della protezione c.d. sussidiaria o in subordine di quella umanitaria;

– avverso tale provvedimento interponeva opposizione E.A., che veniva respinta dal Tribunale di L’Aquila con decreto del 10.06.2010;

– la decisione impugnata evidenziava l’insussistenza dei requisiti previsti dalla normativa, tanto per il riconoscimento dello status di rifugiato quanto per la protezione sussidiaria e umanitaria, evidenziando, in primo luogo, che la narrazione, di avere abbandonato il proprio Paese nel 2016 per il timore che i parenti del patrigno lo volessero uccidere per scongiurare il rischio di una sua riappropriazione della fattoria, non integrava i presupposti dello status di rifugiato, né quelli per ottenere la protezione sussidiaria ovvero la protezione umanitaria, trattandosi di una vicenda privata e di un pericolo meramente supposto; aggiungeva che l'(OMISSIS) non era neanche interessato dall’attività terroristica di (OMISSIS), come da COI del maggio 2018. Ne’ era provata la concreta vulnerabilità del ricorrente attraverso la sua vicenda, non intrapreso un serio percorso di integrazione;

– propone ricorso per la cassazione avverso tale decisione E.A. affidato a due motivi;

– l’intimato Ministero dell’interno non ha svolto attività difensiva, depositando unicamente “atto di costituzione” al fine della partecipazione a eventuale udienza di discussione.

Atteso che:

– con il primo motivo il ricorrente lamenta ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1 nn. 3 e 5 la violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 3, 5, 6, 7 e art. 14, lett. b) e c), nonché del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8 e art. 27, comma 1 bis per avere il giudice qualificato la vicenda come di natura privata senza effettuare alcuna pertinente informazione nel Paese di origine, da assumere officiosamente, oltre a non avere esaminato la documentazione prodotta dallo stesso ricorrente. Aggiunge che il giudice non avrebbe tenuto in alcun conto la specificità della cultura africana che di per sé configurerebbe una ipotesi rilevante ai sensi del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c) per la presenza della mafia (OMISSIS), con conseguente diffusione dei suoi crimini al sud della (OMISSIS), nonché di esercizio di potere di controllo sociale sul territorio. Infine nel ribadire che il giudice valutare l’effettività delle minacce, rimarca che sarebbe stato necessario un accertamento sulla capacità delle autorità (OMISSIS) di offrire adeguata protezione dei propri cittadini.

La censura è priva di pregio.

Orbene, escluso rilievo ad evidenze di sostegno di ipotesi legittimanti il riconoscimento della protezione sussidiaria per le fattispecie di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. b) nella ritenuta natura privata della vicenda, quanto poi alla restante figura del rischio paese interata dall’art. 14, lett. c) D.Lgs. cit., vero è che il mezzo proposto non allega, nell’osservanza del principio di autosufficienza, di aver denunciato la sussistenza delle violazioni integrative dinanzi ai giudici di merito.

Nei giudizi di protezione internazionale, resta fermo per vero il dovere del richiedente di allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessaria a motivare la domanda anche quanto alle condizioni socio-politiche del Paese d’origine del richiedente ai sensi del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c), estremo che, in quanto assoggettato alla “integrazione” istruttoria officiosa, che il giudice del merito è tenuto a svolgere tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche di cui si dispone pertinenti al caso ed aggiornate al momento dell’adozione della decisione, non può essere, come tale, affidato in via esclusiva a quell’iniziativa (v. Cass. n. 13897 del 2019).

D’altra parte, il Tribunale con l’impugnato decreto ha congruamente valorizzato la situazione attuale del Paese di origine che in quanto tale non osta al rientro del richiedente, in difetto della individualizzazione del rischio. La situazione denunciata in ricorso, pur nella perturbata sua consistenza, non vale ad integrare l’indicato estremo e a censurare in modo concludente la decisione.

Ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. b) e c), , la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale va accertata in conformità della giurisprudenza della Corte di Giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), secondo cui il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria. Il grado di violenza indiscriminata deve aver, pertanto, raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione, correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia.

Nel provvedimento impugnato, il collegio giudicante ha puntualmente scongiurato questa eventualità, avvalendosi dei poteri officiosi di indagine e di informazione di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3, ha verificato l’assenza di esposizione a pericolo per l’incolumità fisica del ricorrente, stante una ritrovata capacità dell’ordinamento statuale di garantire protezione agli abitanti della regione di provenienza del richiedente ((OMISSIS));

– con il secondo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 32, nonché del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6 per non avere il Tribunale rinvenuto situazioni di particolare vulnerabilità ed omesso di verificare la sussistenza di un obbligo costituzionale o internazionale a fornire protezione in capo a persone che fuggono da Paesi nei quali vi siano sconvolgimenti sociali tali da impedire una vita senza pericoli per la salvaguardia della propria incolumità.

Anche siffatta censura non può trovare ingresso.

Questa Corte, infatti, ha già avuto occasione di chiarire, nella recente sentenza 23/02/2018, n. 4455, che, “se assunti isolatamente, né il livello di integrazione dello straniero in Italia né il contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani nel paese di provenienza integrano, di per sé soli e astrattamente considerati, i seri motivi di carattere umanitario, o derivanti da obblighi internazionali o costituzionali, cui la legge subordina il riconoscimento del diritto” alla protezione umanitaria, in quanto “il diritto al rispetto della vita privata – tutelato dall’art. 8 CEDU (…) – può soffrire ingerenze legittime da parte dei pubblici poteri per il perseguimento di interessi statuali contrapposti, quali, tra gli altri, l’applicazione e il rispetto delle leggi in materia di immigrazione, particolarmente nel caso in cui lo straniero (…) non goda di uno stabile titolo di soggiorno nello Stato di accoglienza, ma vi risieda in attesa che venga definita la sua domanda di determinazione dello status di protezione internazionale (Corte EDU, sent. 08.04.2008, ric. 21878/06 caso Nnyan. zi e. Regno Unito, par. 72 ss.)”.

La censura del ricorrente, invece, come si è visto, non va oltre l’allegazione di una generica criticità della situazione in cui versa la (OMISSIS), (OMISSIS) e della titolarità di rapporti di lavoro subordinato a tempo determinato e per pochi giorni qual bracciante agricolo.

Il ricorso e’, pertanto, da ritenere infondato, ma avendo la sentenza impugnata deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame dei due motivi di ricorso non offrendo elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa, va dichiarata l’inammissibilità del ricorso ex art. 360 bis c.p.c., n. 1, (Cass., Sez. Un., 21 marzo 2017 n. 7155).

Non v’e’ luogo a provvedere sulle spese processuali, non avendo l’intimato Ministero svolto attività difensiva.

Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile, il 7 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2021

 

 

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