Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21904 del 21/10/2011

Cassazione civile sez. II, 21/10/2011, (ud. 27/09/2011, dep. 21/10/2011), n.21904

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – rel. Consigliere –

Dott. PROTO Cesare Antonio – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

P.A. (OMISSIS) elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA TIRSO 91, presso lo studio dell’avvocato PATRIZI GIOVANNI,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato PARODI LORENZO;

– ricorrente –

contro

PA.GI.;

– intimato –

sul ricorso 5735-2006 proposto da:

PA.GI. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA G. G. BELLI 36, presso lo studio dell’avvocato MAMFREDINI

ORNELLA, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato DI

SIBIO GIOVANNI;

– controricorrente ricorrente incidentale –

contro

P.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TIRSO 91,

presso lo studio dell’avvocato PATRIZI GIOVANNI, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato PARODI LORENZO;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 95J/2004 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 01/12/2004;

udita la relazione della causa svelta nella pubblica udienza del

27/09/2011 dal Consigliere Dott. CESARE ANTONIO PROTO;

udito il P.M. in persona dei Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAMBARDELLA Vincenzo che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale, assorbito l’incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso del 9/3/1994 l’architetto P. otteneva dal Presidente del Tribunale di La Spezia decreto ingiuntivo nei confronti di Pa.Gi. e di B.G. per il pagamento in via solidale della somma di L. 11.942.658 oltre interessi e spese a titolo di compenso per attività professionale (progetto per insediamenti produttivi in (OMISSIS)) svolta su incarico dei comproprietari dei terreni interessati all’intervento, tra i quali, appunto, anche il B. e il Pa. che, a differenza degli altri coobbligati, non avevano provveduto al pagamento. Pa.Gi. proponeva opposizione contestando l’entità della somma richiesta (anche sotto il profilo dell’indice di rivalutazione applicato, ben superiore rispetto a quello accertato dall’ISTAT) e la pretesa natura solidale dell’obbligazione in quanto i debitori del professionista erano tenuti ad autonome prestazioni.

Il Pa. chiamava in manleva Pa.Ba. che nei suoi confronti si era impegnato a sostenere gli oneri economici della prestazione.

Dopo la notifica del decreto l’altro obbligato, B.G., pagava la somma di L. 9.970.000 e con sentenza n. 868/02 il Tribunale di La Spezia respingeva l’opposizione e confermava il decreto per la parte che residuava da pagare dopo il pagamento del B..

Il Pa. proponeva appello (per omessa pronuncia sulla domanda di manleva, per mancata revoca del D.I. pur essendo stato accertato un debito inferiore rispetto a quello accertato nel D.I., per l’entità del debito accertato e per la sua qualificazione quale obbligazione solidale).

Il P. si costituiva, contestava i motivi di appello e proponeva appello incidentale avverso l’operata decurtazione delle somme monitoriamente richieste.

La Corte di Appello di Genova, con sentenza depositata in data 1/12/2004, in accoglimento dell’appello principale revocava il decreto ingiuntivo, accoglieva la domanda di manleva, condannava il Pa. a pagare la somma di L. 2.395.937 (Euro 1.237,40, pari alla somma che il giudice di appello riteneva non contestata dal Pa.) oltre interessi al tasso ufficiale di sconto (rigettando la richiesta di rivalutazione), rigettava l’appello incidentale del P. che condannava alle spese dei due gradi.

La Corte genovese riteneva, per quanto qui interessa con riferimento ai rapporti di debito e credito tra il P. e il Pa.:

che il primo giudice, avendo modificato l’entità della somma riconosciuta con il decreto ingiuntivo al ricorrente, avrebbe dovuto revocare il decreto ingiuntivo e non confermarlo;

che l’accordo tra il professionista e i clienti escludeva il carattere solidale dell’obbligazione assunta dai secondi verso il primo perchè ai clienti erano chieste somme diverse ragguagliate alle diverse dimensioni dei terreni di proprietà, perchè il P. non comunicava le somme ricevute dagli altri debitori nè questi comunicavano i loro pagamenti ai pretesi coobbligati, perchè gli altri pretesi coobbligati che avevano pagato il loro debito non erano stati destinatari di richieste giudiziali di pagamento, come sarebbe accaduto se fossero stati obbligati anche per i debiti dei due insolventi;

– che il P. non aveva dato prova dell’entità del proprio credito e delle attività svolte, limitandosi a produrre la taratura della parcella, ma il Pa. non aveva contestato l’importo della somma (L. 2.395.937) inizialmente richiesta dal P. ed entro questi limiti il credito doveva ritenersi accertato, ma non era dovuta la rivalutazione, data la natura di debito di valuta.

Il P. propone ricorso per Cassazione fondato su quattro motivi.

Resiste con controricorso il Pa., che propone ricorso incidentale condizionato all’eventuale accoglimento del secondo motivo di ricorso concernente l’esclusione della solidarietà passiva; al quale resiste con atto denominato controricorso a ricorso incidentale il ricorrente principale.

Il Pa. ha depositato memoria e il P. ha depositato un secondo atto pure esso denominato controricorso a ricorso incidentale.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente occorre riunire il ricorso principale e quello incidentale.

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce il vizio di motivazione perchè il giudice di appello non avrebbe adeguatamente motivato la decisione di revocare il decreto ingiuntivo nonostante l’infondatezza dell’opposizione e la circostanza che la modifica dell’importo del credito oggetto di ingiunzione fosse dovuta ad eventi successivi al decreto; deduce inoltre l’erroneità della decisione di rigettare l’appello incidentale relativo alla riduzione dell’importo del credito per fatti successivi al decreto ingiuntivo.

2. Il motivo è infondato perchè la Corte genovese ha correttamente motivato la revoca del decreto ingiuntivo rilevando che il decreto ingiuntivo doveva essere revocato (come d’altra parte si desume dalla disposizione dell’art. 653 c.p.c. per la quale se l’opposizione è accolta anche solo in parte l’unico titolo esecutivo è la sentenza) perchè l’opposizione era parzialmente fondata, tanto che veniva ridotto l’importo determinato con il decreto ingiuntivo; ha altresì correttamente motivato (rilevando la carenza probatoria in ordine al maggior credito contestato) sulle ragioni della riduzione dell’importo.

Occorre solo aggiungere che anche la giurisprudenza per la quale non andrebbe revocato il decreto ingiuntivo se la riduzione del credito avviene per effetto di eventi successivi al decreto, risalente nel tempo, è stata superata dalla decisione di questa Corte a S.U. (Cass. S.U. 7/7/1993 n. 7448) che, componendo un contrasto interpretativo, ha affermato il principio per il quale nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, che nel sistema delineato dal codice di procedura civile, si atteggia come un procedimento il cui oggetto non è ristretto alla verifica delle condizioni di ammissibilità e di validità del decreto stesso, ma si estende all’accertamento, con riferimento alla situazione di fatto esistente al momento della pronuncia della sentenza – e non a quello anteriore della domanda o dell’emissione del provvedimento opposto -, dei fatti costitutivi del diritto in contestazione, il giudice, qualora riconosca fondata, anche solo parzialmente, una eccezione di pagamento formulata dall’opponente (che è gravato dal relativo onere probatorio), con l’atto di opposizione o nel corso del giudizio, deve comunque revocare in toto il decreto opposto, senza che rilevi in contrario l’eventuale posteriorità dell’accertato fatto estintivo al momento dell’emissione suddetta, sostituendosi la sentenza di condanna al pagamento di residui importi del credito all’originario decreto ingiuntivo. Tale orientamento giurisprudenziale, al quale si ritiene di aderire pienamente, è stato poi univocamente confermato dalla successiva giurisprudenza di questa Corte (v., tra le prime, Cass. n. 4531/2000 e, tra le ultime, Cass. 13083/2008), tranne che in una risalente e isolata sentenza (Cass. 12521/1998).

3. Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1292, 1293, 1294 e 1311 c.c. e il vizio di motivazione perchè il giudice di appello avrebbe erroneamente ritenuto che l’obbligazione assunta dai quattro clienti del P. avesse natura parziaria e non solidale; nel motivo, in sintesi, si sostiene, che il giudice di appello avrebbe escluso la solidarietà nel lato passivo sulla base di argomentazioni non decisive e non convincenti, pur in presenza di un unico rapporto debitorio sorto da un contratto stipulato tra l’architetto P. da una parte e dai 4 clienti dall’altra.

4. Il motivo, quanto alla denunciata violazione di legge, è infondato:

– non è violato l’art. 1292 c.c., perchè il giudice di appello non ha posto in discussione la nozione della solidarietà, ma ha dichiaratamente applicato l’art. 1294 c.c. rilevando che le parti si erano accordate per escludere la solidarietà ed attribuire all’obbligazione di pagare una somma di denaro natura parziaria;

l’operazione ermeneutica, d’altra parte, è coerente con i principi generali in materia di obbligazioni: se l’obbligazione è divisibile (come era divisibile nel caso di specie, trattandosi dell’obbligazione di pagare una somma di denaro), salvo che dalla legge (espressamente) sia considerata solidale, il principio della solidarietà (passiva) va contemperato con quello della divisibilità stabilito dall’art. 1314 cod. civ., secondo cui se più sono i debitori ed è la stessa la causa dell’obbligazione, ciascuno dei debitori non è tenuto a pagare il debito che per la sua parte;

– non è violato l’art. 1293 c.c. perchè il giudice di appello ha dichiarato di tenere in considerazione il fatto che la richiesta ai clienti di somme diverse ragguagliate alla diversa consistenza dei loro terreni, non poteva essere da sola considerata circostanza decisiva, proprio per l’operare del principio dell’art. 1293 c.c. che non esclude la solidarietà nei casi in cui i debitori siano tenuti al pagamento con modalità diverse;

– non è stato violato, ma anzi applicato l’art. 1294 c.c. che stabilisce che “i condebitori sono tenuti in solido, se dalla legge o dal titolo non risulta diversamente”, perchè ha interpretato l’accordo contrattuale concludendo che con tale accordo era stata esclusa pattiziamente la solidarietà;

– non è violato l’art. 1311 c.c. perchè il giudice non ha applicato la suddetta norma avendo ritenuto che non di rinuncia di trattasse, ma di accordo che ab origine la escludeva.

Siccome il giudice di appello ha interpretato la volontà contrattuale e non sono state dedotte violazioni delle regole di ermeneutica contrattuale, residua l’esame del dedotto vizio di motivazione che, nella specie, non sussiste in quanto il giudice ha ampiamente motivato la propria decisione sulla base di tre circostanze (la richiesta ai clienti di somme diverse ragguagliate alle dimensioni dei terreni, la mancata comunicazione da parte del P. delle somme ricevute agli altri debitori e la mancata comunicazione reciproca, da parte dei debitori degli avvenuti pagamenti, il comportamento processuale del P. diretto a richiedere solo agli insolventi il pagamento del residuo e non a coloro che avevano pagato la propria parte) ritenute (non singolarmente, ma complessivamente considerate) decisive in merito alla volontà di tutte le parti, di attribuire natura parziaria all’obbligazione di pagamento della somma di denaro, già per sua natura divisibile.

La motivazione, dunque, sussiste, non è insufficiente, attesa la natura di per sè divisibile dell’obbligazione, non è illogica, atteso che la prestazione professionale realizzava interessi proporzionali alla superficie dei terreni interessati alla progettazione, e non è contraddittoria.

4. Con il terzo motivo si deduce violazione di legge con riferimento alla mancata applicazione della Circolare Min. LL.PP. n. 6679 dell’1/12/1969 nonchè il vizio di motivazione in ordine alla mancata applicazione di detta circolare.

Si assume che l’adeguamento ISTAT riferito alla data dell’incarico, calcolato in parcella; era previsto quale voce autonoma nella tariffa professionale degli architetti e non era richiesto come una prestazione aggiuntiva richiesta per effetto della svalutazione; si aggiunge che la voce tariffaria trova il suo fondamento normativo nella circolare n. 6679 del Ministero LL.PP. dell’1/12/1969, essendo prevista all’art. 1 e, di conseguenza, la decisione sarebbe viziata per violazione di legge.

5. Il motivo è infondato.

La dedotta violazione di legge non sussiste.

La L. 4 marzo 1958, n. 143 prevede, art. unico, comma 1, il periodico aggiornamento non con circolari, ma con Decreti Ministeriali delle tariffe degli onorari e delle indennità in questione; ed infatti, laddove si è voluto stabilire una adeguamento obbligatorio, si è provveduto con specifico decreto ministeriale (v. ad es. D.M. 11 giugno 1987, n. 233). La mancata osservanza dei criteri dettati in sede amministrativa (tali essendo il contenuto e la portata dell’invocata circolare ministeriale), ai fini della determinazione di spettanze non può assurgere a “violazione di legge”, tenuto conto della natura dell’atto in questione, non costituente fonte normativa di primo o di secondo grado integrativa della legge, ma solo un atto della P.A. proponente criteri non obbligatori (cfr. Cass. 5/8/2005 n. 16505). In conclusione, l’invocata tariffa urbanistica ha carattere meramente contrattuale e non sussiste, quindi, la denunciata violazione di legge.

Non sussiste neppure il vizio di motivazione perchè l’assoluta genericità della pretesa di ottenere l’adeguamento ISTAT, senza che fosse invocata l’applicazione della suddetta circolare,esimeva dal motivare sul perchè l’atto amministrativo non richiamato non dovesse essere applicato.

6. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. e il vizio di motivazione perchè le spese del giudizio di primo e secondo grado avrebbero dovuto essere compensate avuto riguardo alla reciproca soccombenza di entrambe le parti, nonostante all’esito del giudizio il Pa. era stato comunque condannato a pagare al P. una somma di denaro, ancorchè inferiore a quella da quest’ultimo richiesta.

7. Il motivo è fondato: il procedimento è iniziato per il mancato pagamento del debito da parte del Pa. il quale ha contestato l’eccessività della pretesa, ma comunque non aveva pagato neppure la somma dovuta.

Per contro, molte delle pretese del P. sono state rigettate e ciò imponeva come richiesto dall’odierno ricorrente, la compensazione delle spese dei due gradi alla quale può provvedere direttamente ai sensi dell’art. 384 c.p.c. questa Corte non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto e potendo decidersi sulla base degli stessi elementi di fatto già noti alle parti e già valutati (anche se erroneamente) dal giudice del merito.

8. In conclusione, devono essere rigettati i primi tre motivi di ricorso e, di conseguenza, deve dichiararsi assorbito il ricorso incidentale condizionato all’accoglimento del secondo motivo di ricorso.

In accoglimento del quarto motivo, esclusa la fondatezza dell’eccezione di inammissibilità del ricorso principale (in quanto dal ricorso emergono con sufficiente specificità le ragioni di censura e le conseguenti richieste) in riforma della sentenza impugnata e decidendosi nel merito, devono essere compensate le spese dei due gradi di giudizio per la reciproca soccombenza e per lo stesso motivo devono compensarsi le spese di questo giudizio di cassazione.

P.Q.M.

Riuniti i ricorsi rigetta i primi tre motivi del ricorso principale, accoglie il quarto, dichiara assorbito il ricorso incidentale e in relazione al motivo accolto cassa senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla statuizione sulle spese dei due gradi di giudizio e, pronunciando nel merito, le compensa per entrambi i gradi.

Dichiara interamente compensate le spese di questo giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 27 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 21 ottobre 2011

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