Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21902 del 21/10/2011

Cassazione civile sez. II, 21/10/2011, (ud. 26/09/2011, dep. 21/10/2011), n.21902

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 1833/2006 proposto da:

C.E. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, PIAZZA B. BELOTTI 55, presso lo studio dell’avvocato AVERSANO

Ettore, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato CISARO

LUISA;

– ricorrente –

e contro

C.A. (OMISSIS), C.U.

(OMISSIS);

– intimati –

avverso la sentenza n. 1781/2005 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 05/07/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/09/2011 dal Consigliere Dott. VINCENZO MAZZACANE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 25-11-1999 C.E. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Varese i fratelli C.A. ed C.U. chiedendo dichiararsi l’intervenuta simulazione della vendita immobiliare del 22-4-1970 stipulata tra i defunti genitori delle parti C. A.M. ed S.A. e la società s.n.s. OMCA, atto dissimulante una donazione in favore dei convenuti.

L’attore chiedeva quindi, previa collazione in natura di tutti i beni mobili ed immobili, pronunciarsi la divisione giudiziale dell’eredità derivante dai patrimoni dei suddetti genitori.

I convenuti costituendosi in giudizio eccepivano in via preliminare, quanto alla domanda di simulazione del menzionato contratto di compravendita, la loro carenza di legittimazione passiva, atteso che acquirente dell’immobile risultava essere la società OMCA di Umberto Castiglioni & C. s.n.c. in liquidazione; sempre in via preliminare eccepivano l’estinzione in capo all’attore del diritto di accettazione dell’eredità patema e la conseguente pronuncia di accrescimento “ipso iure” della quota di proprietà per legge spettante ad C.E. sui beni oggetto della citata successione in proprio favore; nel merito, avuto riguardo unicamente ai beni relitti da S.A.R., dichiaravano di non opporsi alla dichiarazione di scioglimento della comunione ereditaria tra le parti ed alla attribuzione, previa stima e formazione dei lotti, delle quote spettanti “ex lege” a ciascun condividente.

Il Tribunale di Varese con sentenza non definitiva del 23-10-2000, accertato il difetto di legittimazione passiva dei convenuti, dichiarava l’inammissibilità della domanda di accertamento della simulazione del suddetto atto di vendita, e con separata ordinanza disponeva per il prosieguo del giudizio.

Nel frattempo C.E. aveva convenuto dinanzi allo stesso Tribunale la s.n.c. OMCA nonchè i fratelli A. ed C.U. chiedendo dichiararsi la nullità, inesistenza ed illegittimità ovvero la simulazione relativa o assoluta della vendita del 22-4-1970, richiamandosi espressamente alle conclusioni contenute nella precedente citazione.

Si costituivano in giudizio tutti i convenuti chiedendo il rigetto delle domande attrici.

Con sentenza non definitiva del 26-2-2002 il Tribunale adito dichiarava la prescrizione del diritto dell’attore di accettazione dell’eredità paterna, e con separata ordinanza disponeva l’espletamento di una CTU per la formazione di un progetto divisionale del patrimonio relitto della S..

Proposta impugnazione da parte di C.E. avverso entrambe le menzionate sentenze non definitive cui resistevano A. ed C.U. la Corte di Appello di Milano con sentenza del 5-7-2005 ha dichiarato inammissibile l’appello contro la sentenza n. 922/2000 ed ha rigettato il gravame nei confronti della sentenza n. 249/2002.

Per la cassazione di tale sentenza C.E. ha proposto un ricorso basato su cinque motivi; le parti intimate non hanno svolto attività difensiva in questa sede.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente, deducendo violazione dell’art. 342 c.p.c. e vizio di motivazione, censura la sentenza impugnata per aver dichiarato l’inammissibilità dell’appello dell’esponente avverso la sentenza non definitiva del Tribunale di Varese n. 922/2000 sostenendo che al riguardo dall’esame dell’atto risultava che nessun motivo era stato formulato.

C.E. assume in senso contrario che dalla lettura dell’atto di appello risultavano i seguenti motivi:

a) censura riguardante l’immediata spedizione a sentenza sull’eccezione preliminare dei convenuti già all’udienza di cui all’art. 180 c.p.c., senza concedere all’attore, in considerazione delle domande riconvenzionali svolte dai convenuti, di precisare le domande fino all’udienza di cui all’art. 183 c.p.c.;

b) espresso richiamo all’art. 182 c.p.c., che consentiva al giudice di primo grado di invitare l’attore a citare in giudizio la OMCA s.n.c. senza la necessità di introdurre un’altra causa;

c) l’espresso richiamo all’art. 102 c.p.c. che avrebbe dovuto indurre il giudice di primo grado ad autorizzare l’attore ad integrare il contraddicono nei confronti della OMCA s.n.c. dei due fratelli C. che si era interposta fittiziamente nella vendita suddetta allo scopo di eludere le aspettative successorie dell’esponente.

Il ricorrente rileva che neppure le controparti avevano eccepito la mancanza dei motivi nell’atto di appello.

La censura è infondata.

Premesso che la Corte territoriale ha ritenuto che nessun motivo di appello era stato formulato nei confronti della sentenza n. 922/2000 del Tribunale di Varese che aveva dichiarato l’inammissibilità della domanda di accertamento della simulazione della vendita del 22-4-1970 per difetto di legittimazione passiva dei convenuti in quanto estranei a tale negozio, si osserva che dall’esame diretto dell’atto di appello (consentito a questa Corte dalla natura procedurale del vizio denunciato) è agevole verificare che in effetti nessuna impugnazione è stata sollevata avverso tale statuizione; è poi appena il caso di evidenziare l’assoluta irrilevanza al riguardo delle argomentazioni sopra richiamate da parte del ricorrente in quanto non attinenti alla “ratio decidendi” della sentenza impugnata.

Con il secondo motivo il ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 475 c.p.c., e vizio di motivazione, assume che erroneamente il giudice di appello ha dichiarato la prescrizione del diritto dell’esponente di accettare l’eredità paterna, trascurando di considerare che C.E., chiamato per legge a tale eredità, aveva assunto il titolo di coerede insieme ai fratelli in atti pubblici, ovvero nei Registri immobiliari della Conservatoria di Varese e nel Catasto terreni, dove risultava trascritta ed annotata la sua qualità di comproprietario “pro quota” insieme ai suoi fratelli in quanto erede di C.A.M.; pertanto l’assunzione del titolo di erede in atti pubblici ai sensi dell’art. 475 c.p.c., equivaleva ad accettazione espressa dell’eredità.

Con il terzo motivo il ricorrente, deducendo violazione dell’art. 476 c.c. e vizio di motivazione, sostiene che la Corte territoriale ha fornito argomentazioni del tutto insufficienti su di un punto decisivo della controversia, relativo ad una accettazione quantomeno tacita dell’eredità paterna da parte dell’esponente; invero la sentenza impugnata, nel negare rilevanza al riguardo alle due denunce di successione presentate da C.U. nel 1980 e nel 1983 nelle quali il ricorrente veniva riconosciuto dal fratello denunciante erede “pro quota” della suddetta eredità, non ha considerato che dalla documentazione prodotta risultava che fin dal 1980 a nome di C.E. vi era stata presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari e presso il Catasto la votturazione, per la quota di 2/9, dei beni immobili già appartenenti ad C.A.M., cosicchè, risultando l’esponente erede in base ad atti pubblici, tale qualifica non avrebbe potuto più essere messa in discussione dalle controparti;

d’altra parte diversamente opinando non si spiegherebbe per quale ragione il ricorrente abbia pagato l’imposta di registro a seguito della trascrizione in suo favore presso la Conservatoria dei registri immobiliari della quota di sua pertinenza dei beni rientranti nell’eredità paterna, ed abbia poi pagato sempre l’imposta comunale sugli immobili ereditati ed a lui cointestati insieme ai fratelli.

Le enunciate censure, da esaminare contestualmente in quanto connesse, sono infondate.

La sentenza impugnata, premesso che la successione di C. A. si era aperta il (OMISSIS), data del suo decesso, e che il 10-6-1980 era stata presentata la dichiarazione di successione, in relazione all’eccezione dei convenuti di prescrizione del diritto dell’attore di accettare espressamente o tacitamente l’eredità paterna nei dieci anni successivi, ha disatteso la tesi dell’appellante che tendeva ad attribuire rilievo a tal fine al fatto che nella denuncia di successione effettuata dai fratelli e dalla madre C.E. fosse stato nominato tra i chiamati all’eredità, considerato che l’accettazione dell’eredità richiede una manifestazione di volontà implicita o esplicita dell’accettante, mentre la dichiarazione in questione, avente contenuto di scienza e non di volontà, proveniva dai coeredi, e che la presentazione della dichiarazione ai fini dell’imposta di successione ha natura e fini meramente fiscali, e non rileva come accettazione tacita dell’eredità; infine il giudice di appello ha affermato che i suddetti denuncianti avevano dichiarato che C.E. non aveva voluto partecipare alla suddivisione dell’imposta di successione, e che quindi essi avevano provveduto a denunciare la quota di 7/9 di loro spettanza, salva la facoltà del suddetto coerede di presentare una nuova denuncia relativa alla propria quota di 2/9.

Orbene il convincimento ora espresso è corretto ed immune dalle censure sollevate dal ricorrente, dovendosi escludere, alla luce degli elementi acquisiti agli atti, che C.E. abbia accettato, nè espressamente nè tacitamente, l’eredità paterna.

Sotto un primo profilo, invero, è del tutto irrilevante il fatto che quest’ultimo risulti comproprietario “prò quota” preso la Conservatoria dei Registri Immobiliari di Varese dei beni ereditari, posto che la relativa trascrizione è conseguenza della denuncia di successione da parte degli altri coeredi, e non è riconducibile quindi ad alcun atto posto in essere dall’attuale ricorrente, cosicchè è esclusa in radice una accettazione espressa della suddetta eredità da parte di C.E., considerato che ai sensi dell’art. 475 c.c., l’atto pubblico o la scrittura privata in cui il chiamato assume il titolo di erede deve consistere in un atto scritto che provenga personalmente dal chiamato stesso o nella cui formazione abbia avuto parte (Cass. 24-2-2009 n. 4426).

Neppure è poi configurabile nella specie una accettazione tacita dell’eredità da parte di C.E., occorrendo ai riguardo un atto da parte del chiamato all’eredità che presupponga la sua volontà di accettare o un suo comportamento consistente in una serie di atti incompatibili con la volontà di rinunciare o che siano concludenti e significativi della volontà di accettare, come la voltura catastale, essendo invece inidonei alto scopo atti di natura meramente fiscale, come la denuncia di successione (Cass. 7/7/1999 n. 7075; Cass. 11-5-2009 n. 10796), ed essendo in tal senso irrilevante la ribadita circostanza della intestazione fin dal 1980 presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari e presso il Catasto in favore di C.E. della quota di 2/9 dell’eredità paterna, essendo pacifico che tale volturazione non è ascrivibile ad alcun atto o comportamento dell’attuale ricorrente.

Quanto invece al profilo di censura con il quale il ricorrente deduce, sempre ai fini dell’invocata accettazione tacita dell’eredità paterna, di aver pagato l’imposta di registro e l’imposta comunale riguardo agli immobili a lui cointestati insieme agli altri fratelli (senza comunque specificare quando avrebbe iniziato a corrispondere tali imposte), si rileva che in proposito viene sollevata una questione, che implica un accertamento di fatto, non trattata dalla sentenza impugnata; pertanto il ricorrente, al fine di evitare una sanzione di inammissibilità per novità della censura, aveva l’onere – in realtà non assolto – non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di appello, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo avesse fatto, per dar modo a questa Corte dt controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa.

Con il quarto motivo C.E. denuncia violazione dell’art. 2730 c.c., ed omessa motivazione sulla circostanza da lui dedotta secondo cui l’attribuzione incondizionata della qualità di erede dell’esponente fatta dai suoi fratelli nelle denunce di successione in atti si configurava come una confessione stragiudiziale, contenendo consapevolmente da parte loro la dichiarazione di un fatto ad essi sfavorevole.

La censura è infondata.

Invero la qualità di erede può conseguire soltanto all’accettazione dell’eredità nei modi previsti dall’ordinamento (art. 470 c.c., e segg.), accettazione che, se espressa, si configura come un negozio unilaterale non recettizio e, se tacita, presuppone un comportamento concludente del chiamato all’eredità; è quindi evidente che la qualità di erede, per gli effetti che comporta nella sfera patrimoniale del chiamato, deve pur sempre essere ricondotta alla volontà di quest’ultimo, e non può dunque scaturire da dichiarazioni di terzi.

Con il quinto motivo il ricorrente, deducendo violazione dell’art. 2937 c.c., rileva che la Corte territoriale ha omesso di motivare sul motivo di appello con il quale l’appellante aveva sostenuto che le controparti avevano rinunciato all’eccezione di prescrizione del diritto dell’esponente di accettare l’eredità paterna a seguito di fatti incompatibili con la volontà di avvalersene dopo che quest’ultima sarebbe maturata; al riguardo segnala tra l’altro la denuncia di successione dell’eredità paterna nella quale i fratelli avevano dichiarato che erede doveva considerarsi anche il fratello C.E..

La censura è inammissibile.

Invero, poichè la questione prospettata, che implica un accertamento di fatto, non risulta trattata dalla sentenza impugnata, il ricorrente, al fine di evitare una sanzione di inammissibilità per novità della censura, aveva l’onere – in realtà non assolto – non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di appello, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo avesse fatto, per dar modo a questa Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa, Il ricorso deve pertanto essere rigettato.

Non occorre procedere alla pronuncia sulle spese del giudizio non avendo le parti intimate svolto alcuna attività difensiva in questa sede.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 26 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 21 ottobre 2011

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