Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21901 del 21/10/2011

Cassazione civile sez. II, 21/10/2011, (ud. 26/09/2011, dep. 21/10/2011), n.21901

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 1711/2006 proposto da:

R.G. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, PIAZZALE CLODIO 14, presso lo studio dell’avvocato ORAZIANI

Gianfranco, che lo rappresenta e difende unicamente all’avvocato

RANDO GIAMBATTISTA;

– ricorrente –

contro

RO.GI. (OMISSIS), R.B.

(OMISSIS), r.g. (OMISSIS);

– intimati –

avverso la sentenza n. 2106/2004 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 06/12/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/09/2011 dai Consigliere Dott. VINCENZO MAZZACANE;

udito l’Avvocato COLUCCI Angelo con delega depositata in udienza

dell’Avvocato RANDO Giambattista difensore del ricorrente che si

riporta agli atti;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 31-10-1987 r.g.

conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Bassano del Grappa i fratelli G., B. e Ro.Gi. chiedendo procedersi alla divisione della comunione ereditaria tra di essi sussistente conformemente alle disposizioni contenute nel testamento pubblico del 10-8-1978 posto in essere dal padre R.P., che aveva lasciato all’esponente la quota disponibile di tutti i suoi beni.

R.G., costituendosi in giudizio, aderiva alla domanda di divisione, chiedendo peraltro condannarsi r.g. al rendiconto di tutte le rendite relative ai terreni ereditari percepite dall’apertura della successione, l’esclusione dall’asse ereditario del fabbricato (mappale 103) da lui goduto “uti dominus” per oltre un ventennio prima della morte del padre, e che fosse tenuto conto della donazione effettuata dal “de cuius” al fratello g. con compravendita di un immobile del 24-2-1973 per notaio Pelagatti, nella quale doveva ravvisarsi, attesa l’evidente sproporzione tra il valore del bene ed il prezzo ivi indicato, un “negotium mixtum cum donatione”.

R.B., pure costituitosi in giudizio, assumeva una posizione analoga a quella del fratello G., mentre Ro.

G. restava contumace.

Il Tribunale adito con sentenza del 31-8-1998, rigettata ogni diversa domanda, scioglieva la comunione ereditaria secondo il progetto divisionale redatto dal CTU. Proposto gravame da parte di R.G., nella contumacia di tutti gli appellati, la Corte di Appello di Venezia con sentenza del 6/12/2004 ha rigettato l’impugnazione.

Per la cassazione di tale sentenza R.G. ha proposto un ricorso affidato a quattro motivi; nessuna delle parti intimate ha svolto attività difensiva in questa sede.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente, deducendo falsa applicazione delle norme di diritto in materia di CTU, censura la sentenza impugnata per aver ritenuto infondate le doglianze sollevate dall’appellante avverso il progetto divisionale redatto dal CTU e fatto proprio dal giudice di primo grado in quanto prive di qualsiasi supporto tecnico o informativo; in realtà l’istante aveva prodotto nel giudizio di secondo grado la perizia del geometra B. del settembre 2000, dalla quale risultava che il valore complessivo dei beni caduti in successione al 1989 era di L. 876.076.000, laddove il CTU li aveva stimati al 1984 in sole L. 728.470.000, non tenendo conto della posizione del terreno e dei fabbricati e del loro valore commerciale, nè in particolare degli interventi di manutenzione che i fabbricati avevano ricevuto rispettivamente a cura e spese di G. e R.B..

La censura è infondata.

La Corte territoriale ha ritenuto le doglianze sollevate dall’appellante avverso la stima degli immobili costituenti la comunione ereditaria sussistente tra le parti prive di supporti tecnici o informativi, come tali inidonee a contrastare le valutazioni effettuate dal CTU, correlate a specifici indici, quali ubicazione, consistenza, grado di finiture, vetustà, manutenzione, libertà da persone e cose, nonchè alle vigenti norme urbanistiche, indici risultanti dalla somma di valori unitari per superficie convenzionale di vendita e per volume fuori terra; orbene, a fronte di tali circostanziate argomentazioni in ordine agli elementi utilizzati dal CTU per procedere ad una attendibile stima dei beni in questione, il ricorrente, limitandosi apoditticamente a contrapporre al riguardo le diverse valutazioni di una perizia di parte senza censurare specificatamente l’indagine compiuta dal suddetto CTU ed il metodo di stima adottato, svolge una censura rimasta su di un piano di estrema genericità, considerato altresì che la motivata adesione da parte del giudice alle conclusioni raggiunte dal CTU, come nella fattispecie, non richiedeva necessariamente una esplicita confutazione delle diverse valutazioni contenute in una perizia di parte, oltretutto depositata soltanto nel giudizio di secondo grado.

Con il secondo motivo R.G., denunciando insufficiente motivazione e falsa applicazione delle regole di diritto sulla domanda di rendiconto nei confronti di r.g., assume che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, l’esponente, sia nella perizia del geometra B. depositata nel giudizio di secondo grado sia in quella depositata ora in questa sede ma anche nel giudizio di primo grado, aveva sempre dedotto che i terreni ed i fabbricati occupati dal fratello g. avevano un valore nettamente superiore a quello del mappale 103 posseduto dal ricorrente “uti dominus”, così da giustificare la domanda di rendiconto; del resto solo il fratello g. aveva potuto percepire le rendite dei terreni caduti in successione senza mai fornire alcun rendiconto agli altri fratelli che ne avevano invece diritto.

La censura è infondata.

Il giudice di appello ha ritenuto in proposito decisivo il rilievo secondo cui l’appellante non aveva contestato la maggiore redditività dell’appartamento da lui acquistato rispetto alla quota a lui spettante dei redditi percepiti da r.g.; orbene il ricorrente, sostenendo di aver sempre dedotto nel giudizio di primo grado che i terreni goduti dal fratello g. avevano un valore superiore all’immobile da lui posseduto, implicitamente ammette di aver omesso tale deduzione nei motivi di appello; nè tale carenza, attinente all’oggetto ed ai limiti dell’impugnazione proposta, può evidentemente essere superata da eventuali argomentazioni in tal senso contenute in una perizia di parte depositata nel giudizio di appello; d’altra parte nella prospettazione dei ricorrente l’obbligo di r.g. di fornire il rendiconto relativamente al periodo di godimento esclusivo da parte sua dei beni ereditari – obbligo di per sè certamente sussistente – è subordinato alla deduzione di aver sempre evidenziato il maggior valore dei beni goduti dal fratello rispetto al valore dell’immobile posseduto dall’esponente, deduzione, come si è visto, esclusa dalla Corte territoriale.

Con il terzo motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata per aver rigettato la richiesta dell’esponente di espletamento di una CTU finalizzata a stimare il valore dell’immobile apparentemente acquistato da r.g.; invero l’accertamento della mancata corrispondenza tra il prezzo indicato nella apparente compravendita ed il reale valore del bene venduto a quest’ultimo dal padre delle parti R.P. avrebbe configurato sicuramente la prova della simulazione dell’atto; in questo senso la perizia depositata in appello unitamente a quella aggiornata prodotta nel presente giudizio costituivano prova certa della non congruità dei valori indicati dal CTU e fatti propri dal Tribunale.

R.G. evidenzia come ulteriore elemento idoneo alla presunzione della simulazione del suddetto atto di vendita il fatto che nel testamento redatto nel 1978 il “de cuius” faceva espresso riferimento alla sua volontà di voler favorire il figlio g.

rispetto agli altri figli per essersi comportato meglio nei suoi confronti.

La censura è infondata.

La sentenza impugnata ha disatteso l’assunto dell’appellante in quanto basato soltanto sulla mancata ammissione di una CTU di natura sicuramente esplorativa in mancanza di ulteriori elementi di prova, tra i quali non poteva essere compreso il menzionato testamento, successivo di ben cinque anni alla stipula della compravendita del 1973.

Si è quindi in presenza di un accertamento di fatto sorretto da sufficiente e logica motivazione, come tale insindacabile in questa sede, dove il ricorrente insiste nelle deduzioni svolte in grado di appello senza censurare specificatamente le argomentazioni svolte dal giudice di appello.

Deve inoltre rilevarsi che, avendo agito R.G. quale erede legittimo di R.P. allo scopo di far ricomprendere l’immobile oggetto della suddetta compravendita tra i beni facenti parte dell’asse ereditario (non avendo proposto una domanda di reintegrazione della propria quota, e non avendo agito quindi quale legittimario), egli soggiace a tutte le limitazioni previste dalla legge per la prova della simulazione tra le parti, atteso che gli eredi, versando nelle stesse condizioni del “de cuius”, non possono legittimamente essere qualificati come terzi rispetto al negozio;

deve pertanto escludersi, tra l’altro, la prova per presunzioni invocata dal ricorrente.

Con il quarto motivo R.G., deducendo insufficiente e contraddittoria motivazione, sostiene che erroneamente il giudice di appello ha rigettato le istanze istruttorie richieste dall’esponente con riferimento alla domanda relativa al riconoscimento della proprietà esclusiva del mappale 103 per intervenuta usucapione ventennale sulla base del rilievo che l’esponente non avrebbe censurato la valutazione del giudice di primo grado sulla natura di detenzione della originaria apprensione dell’immobile da parte dell’appellante; al contrario l’attuale ricorrente nell’atto di appello si era lamentato di tale assunto del Tribunale, avendo ribadito di aver posseduto “uti dominus” per oltre venti anni il bene in questione prima del decesso del padre ed avendo confermato la doglianza nella comparsa conclusionale.

La censura è inammissibile, non avendo il ricorrente trascritto nel ricorso le circostanze che formavano oggetto della prova al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare; invero per il principio di autosufficienza del ricorso questa Corte deve essere in grado di compiere tale controllo sulla base delle deduzioni contenute nel ricorso stesso, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative.

Il ricorso deve quindi essere rigettato.

Non occorre procedere ad alcuna statuizione in ordine alle spese di giudizio, non avendo le parti intimate svolto alcuna attività difensiva in questa sede.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 26 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 21 ottobre 2011

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