Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 219 del 11/01/2010

Cassazione civile sez. lav., 11/01/2010, (ud. 01/12/2009, dep. 11/01/2010), n.219

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. LA TERZA Maura – rel. Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

T.F., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA

ANTONIO MANCINI 4/B, presso lo studio dell’avvocato FASANO

GIOVANNANTONIO, che lo rappresenta e difende, giusta mandato a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO S.P.A.;

– intimato –

nonche’ da:

ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO S.P.A., in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA

PIAZZA GIUSEPPE VERDI N. 10, presso lo studio dell’Avvocato TURCO

CHIARA, (c/o l’Ufficio della Funzione Affari Legali e Societari), che

lo rappresenta e difende giusta delega a margine del controricorso e

ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

T.F., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA

ANTONIO MANCINI 4/B, presso lo studio dell’avvocato FASANO

GIOVANNANTONIO, che lo rappresenta e difende, giusta mandato a

margine del ricorso;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 2004/2007 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 05/11/2007 R.G.N. 3661/05;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del

01/12/2009 dal Consigliere Dott. LA TERZA Maura;

udito l’Avvocato FASANO GIOVANNANTONIO;

udito l’Avvocato TURCO CHIARA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale accoglimento dell’incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con la sentenza in epigrafe indicata del 5 novembre 2007 la Corte d’appello di Roma riformando parzialmente la statuizione di primo grado rigettava, per il periodo successivo al 31 ottobre 1992, la domanda proposta da T.F. nei confronti del Istituto Poligrafico diretta alla inclusione dei compensi percepiti per lavoro straordinario nella base di calcolo sia dell’indennita’ di anzianita’ e del TFR, sia delle mensilita’ aggiuntive; la accoglieva invece per il periodo precedente, condannando l’Istituto al pagamento della somma di Euro 3.151,63.

La Corte territoriale, affermava che il compenso per lavoro straordinario non puo’ essere computato nel TFR dopo l’entrata in vigore del CCNL del 1992, giacche’ in questo era previsto, nella disposizione sulla “nomenclatura”, per “retribuzione” istituto a cui le norme sul TFR, sulle mensilita’ aggiuntive e sulle ferie facevano riferimento, doveva intendersi come quella corrisposta in relazione all’orario normale.

Avverso detta sentenza propone ricorso il T. con due motivi, mentre l’Istituto Poligrafico resiste con controricorso e ricorso incidentale, con un motivo, cui il lavoratore ha risposto con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Va preliminarmente disposta la riunione dei ricorsi ex art. 335 c.p.c..

Con il primo motivo del ricorso principale ci si duole del fatto che non sia stata ritenuta la inammissibilita’ della domanda subordinata del Poligrafico di limitazione della inclusione del compenso per lavoro straordinario sino al 1992, poiche’ formulata per la prima volta in appello.

Con il secondo motivo ci si duole che la medesima inclusione sia stata fissata solo fino al 31 ottobre 1992.

Con il ricorso incidentale ci si duole del ricalcolo, fino al 1992, degli istituti collaterali con l’inclusione del compenso per lavoro straordinario.

1. Entrambi i ricorsi sono improcedibili a causa del mancato deposito dei CCNL in forma integrale, avendo entrambe le parti depositato solo stralci, seppure ampi, delle normative contrattuali succedutesi nel tempo.

Invero, dopo alcune perplessita’ (Cass. n. 21080 del 04/08/2008, per cui l’onere di depositare i contratti e gli accordi collettivi su cui il ricorso si fonda va riferito sia alle norme collettive della cui violazione il ricorrente si duole attraverso le censure mosse alla sentenza impugnata, sia ad ogni altra norma collettiva utile per l’interpretazione delle prime, sempre pero’ che essa appartenga alla causa per essere stata dedotta e prodotta nei precedenti gradi di merito) la giurisprudenza maggioritaria di questa Corte (Cass. 11 febbraio 2008 n. 6432, n. 15495 del 02/07/2009, n. 2855 del 2009) si e’ orientata nel senso che e’ necessario il deposito del testo integrale del contratto. Cio’ in primo luogo in forza del dettato letterale dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (come modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40), il quale prevede che gli atti processuali, i documenti e i contratti o accordi collettivi su cui il ricorso si fonda devono essere depositati insieme al ricorso a pena di improcedibilita’, norma che non sembra prevedere deroghe, consentendo il deposito solo di stralci del contratto collettivo da interpretare.

2. Le modifiche apportate al codice di rito, per cui il ricorso ex art. 360 c.p.c., n. 3 e’ consentito anche per violazione di accordi e contratti collettivi, si giustificano con l’esigenza di rafforzamento della funzione nomofilattica della Cassazione sul versante dalle contrattazione collettiva di diritto privato al fine, se non di eliminare, quanto meno di ridimensionare quelle zone di incertezza che hanno – in ragione sul piano istituzionale della mancata attuazione del disposto dell’art. 39 Cost. – caratterizzato non di rado le opzioni ermeneutiche della giurisprudenza di merito e di legittimita’. E’ sufficiente rammentare l’orientamento pregresso secondo cui “e’ fisiologico che due opposte interpretazioni dei giudici di merito di una medesima disposizione collettiva siano entrambe convalidate o censurate dalla Suprema Corte, a seconda del superamento o meno del controllo limitato alla verifica della correttezza della motivazione e del rispetto dei criteri ermeneutica di cui all’art. 1362 c.c. e seg.” (tra le tante Cass. 12 maggio 2006 n. 11037; Cass. 5 giugno 2003 n. 9024; Cass. 23 maggio 2001 n. 7039).

3. E’ altresi’ principio che trova concorde la giurisprudenza di legittimita’, ed anche la dottrina, quello per cui i canoni ermeneutici da utilizzare non sono quelli incentrati sull’art. 12 preleggi ma sui generali criteri codicistici di cui all’art. 1362 c.c. e seg., applicabili a tutti gli atti espressione dell’autonomia privata.

Conviene pero’ precisare quale sia l’ambito della interpretazione a cui la Corte di legittimita’ puo’ e deve procedere, giacche’, sul piano sistematico, questa questione e’ connessa con quella che ne occupa nella specie, in cui si tratta di dimostrare che la legge impone il deposito del contratto collettivo nella forma integrale.

Alcuni commentatori hanno rilevato che, quando la domanda sia stata fondata su una o piu’ specifiche disposizioni collettive, e solo su quelle si sia svolto il contraddittorio, alle medesime dovrebbe restringersi anche l’esame della cassazione, la quale, altrimenti, verrebbe indebitamente a conoscere di materiali non introdotti e non valutati nel giudizio di merito.

Se cosi’ fosse, sarebbe inutilmente oneroso esigere dal ricorrente il deposito integrale del ricorso, giacche’ la interpretazione dovrebbe essere ristretta nei limiti che hanno contrassegnato il giudizio di merito e quindi non vi sarebbe necessita’ di esame di clausole ulteriori.

4. Al riguardo conviene in primo luogo richiamare i rilievi gia’ svolti sul punto nei giudizi ex art. 420 bis c.p.c., per decidere se essi possano valere anche quando non si tratta di questa speciale procedura, ma del normale ricorso per cassazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, in cui si assume che la sentenza impugnata abbia violato o falsamente i contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro.

E’ stato precisato (Cass. n. 19560 del 2007) che, in sede di art. 420 bis c.p.c. la Corte di legittimita’ – nell’enunciare in funzione nomofilattica un principio – e’ tenuta ad operare come se l’oggetto del suo esame fosse una norma giuridica e non, invece, un negozio di natura privatistica. Si e’ aggiunto, nella sentenza citata, per quanto attiene specificamente ai poteri della Corte di Cassazione, che nell’interpretazione del contratto, essa non e’ condizionata dalle domande delle parti e dal loro comportamento, potendo ricercare liberamente all’interno del contratto collettivo (da depositarsi ex art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4) ciascuna clausola – anche se non oggetto dell’esame delle parti e del primo giudice – comunque ritenuta utile alla interpretazione.

Di conseguenza non si dubita che in quei procedimenti sia necessario depositare il contratto collettivo nella sua interezza (Cass. Sez. L, Sentenza n. 16619 del 16/07/2009).

5 Fermo restando che i canoni ermeneutici da applicare sono sempre gli stessi, e cioe’ quelli indicati dal codice civile, ci si chiede se la metodica da seguire si differenzi davvero a seconda che l’interpretazione delle pattuizioni sindacali avvenga ad opera dei giudici di legittimita’ nel corso di un ordinario giudizio ovvero attraverso l’iter procedurale disegnato dall’art. 420 bis c.p.c. (e con gli effetti determinati da tale norma e dall’art. 146 bis disp. art. c.p.c.).

La differenza tra i due procedimenti e’ indubbia, dal momento che quest’ultimo caso e’ funzionalizzato a provocare una pronunzia capace, seppure in via tendenziale, a fare stato in una pluralita’ di controversie c.d. seriali, perche’ interessanti la collettivita’ dei lavoratori destinatari della contrattazione collettiva di cui viene definito l’ambito applicativo. Tutto cio’ spiega – come si e’ gia’ avuto modo di osservare con la gia’ citata sentenza n. 19560 del 2007 – perche’ la Corte di Cassazione nella procedura ex art. 420 bis c.p.c., non risulti vincolata alla opzione ermeneutica del giudice di merito, pur fondata su una motivazione congrua e corretta sul piano logico, potendo la stessa Corte, a seguito di propria ed autonoma scelta, pervenire ad una diversa decisione di quella del primo giudice, non solo per quanto attiene alla validita’ ed efficacia del contratto, ma anche in relazione alla sua interpretazione, attraverso una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto gia’ vagliati dal giudice di merito, atteso che presupposto indispensabile della funzione nomofilattica (al cui rafforzamento e’ volta la suddetta disposizione di rito) e’ la certezza e la stabilita’ delle statuizioni giurisprudenziali, che rendono inammissibile che possano darsi, di una identica disposizione contrattuale, interpretazioni corrette – quanto a motivazioni e quanto ad applicazione dei criteri di cui all’art. 1362 c.c. – ed al tempo stesso tra esse contrastanti.

6. Sembra al Collegio che alla stessa conclusione si debba pervenire in relazione all’ambito dell’interpretazione che compete alla Corte nel caso in cui venga proposto ordinario ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., n. 3.

In primo luogo e’ stato osservato da alcuni commentatori che l’art. 420 bis c.p.c. non indica il tipo di controllo cui la Corte deve procedere quando e’ investita del ricorso per saltum sulla questione pregiudiziale, dandolo per presupposto proprio in base al precedente art. 360 c.p.c., n., senza il quale l’art. 420 bis c.p.c. non potrebbe operare; a tal fine le due disposizioni sono state introdotte contestualmente dal D.Lgs. n. 40 del 2006. In altri termini, il procedimento ex art. 420 bis trova necessario fondamento nella nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, e nulla autorizza ritenere che, nell’un caso, l’analisi della contrattazione collettiva debba essere piu’ limitato rispetto a quanto previsto per l’altro. E’ poi innegabile che la interpretazione resa ex art. 420 bis c.p.c., oltre avere effetto anticipatorio, abbia una maggiore forza cogente, stante il disposto dell’art. 146 bis disp. att. c.p.c. in cui richiamando il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 64, comma 7 si sancisce l’influenza della decisione della Corte in altri processi in cui si controverta sulla medesima questione. La statuizione ha quindi effetti diversi, tuttavia nessuna disposizione diversifica il processo interpretativo da applicare in caso di ricorso normale ed in caso del ricorso per saltum. Invero, la nomofilachia, cui le nuove norme sono finalizzate, sarebbe pregiudicata ove si ritenesse che, nell’un caso, l’interpretazione debba essere astretta alle clausole contrattuali esaminate nei gradi di merito, mentre, nell’altro, la interpretazione si possa svolgere a tutto campo, reperendo nel contratto altre clausole, non esaminate, che pero’ potrebbero risolvere ogni margine di incertezza. Il rischio starebbe nella emanazione di sentenze contrastanti, recanti cioe’ interpretazioni diverse sulla medesima questione e sulla base della medesima contrattazione collettiva, stante il diverso grado di affidabilita’ delle une rispetto alle altre, a causa della completezza o meno dell’indagine che la Corte ha svolto.

7. Peraltro, come si e’ gia’ avuto modo di osservare con la citata sentenza n. 19560 del 2007, nella giurisprudenza di legittimita’ e’ ormai costante – nell’interpretazione della disciplina contrattuale collettiva dei rapporti di lavoro, censurabile in sede di giudizio di cassazione solo per vizi di motivazione e violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale – l’affermazione che, sebbene la ricerca della comune intenzione delle parti debba essere operata innanzitutto sulla base del criterio dell’interpretazione letterale, assume valore preminente il criterio logico – sistematico di cui all’art. 1363 c.c., che impone di desumere la volonta’ dei contraenti come manifestata nella globalita’ delle clausole afferenti il contratto collettivo ed aventi immediata attinenza alla materia in contesa (cfr. in tali termini tra le altre: Cass. 22 giugno 2006 n. 14461; Cass. 9 maggio 2006 n. 10636; Cass. 21 marzo 2006 n. 6264, cui adde, in epoca piu’ risalente, Cass. 24 luglio 1998 n. 7296). Ossia, stanti gli innegabili limiti sul versante istruttorio che la Corte di Cassazione incontra nell’ambito della procedura interpretativa, assume un rilievo particolare il criterio logico sistematico della interpretazione complessiva delle clausole stesse.

Orbene, se fosse precluso alla Corte, anche in sede di ricorso ordinario, di applicare il criterio sistematico, interpretando le clausole le une per mezzo delle altre, la decisione che ne sortirebbe sarebbe sicuramente meno affidabile e meno “resistente” rispetto ad altri interventi, sentenze rese ex art. 420 bis c.p.c., che si possono invece giovare di questo fondamentale criterio ermeneutico.

8. Si e’ obiettato da alcuni commentatori che la presa in considerazione, da parte della Corte, di clausole non valutate dai giudici di merito, potrebbe pregiudicare il contraddittorio, dal momento che i contratti collettivi non sono stati interamente equiparati alla legge.

Si puo’ rispondere che – data per scontata la non equiparazione del contratto collettivo alla legge (prova ne sia la diversa tipologia dei canoni ermeneutici, cui gia’ si e’ fatto cenno) – tuttavia il legislatore ha investito la Corte in relazione alla indubbia efficacia precettiva della fonte contrattuale, in funzione della sua “proiezione” diretta a disciplinare una serie di contratti individuali di lavoro.

Ed allora, per consentire alle parti di interloquire su clausole non considerate in sede di merito, si potrebbe ricorrere all’art. 384 c.p.c., penultimo comma, (cfr. disposizione analoga per il giudizio di merito introdotta dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 45, comma 11) provocando il contraddittorio sulla questione, come non si dubiterebbe di dover fare nel caso si trattasse di norme di legge, in forza del principio, piu’ volte enunciato, per cui il giudice ha l’obbligo di rilevare d’ufficio l’esistenza di una norma di legge idonea ad escludere o a fondare, alla stregua delle circostante di fatto allegate ed acquisite agli atti, il diritto vantato dalla parte, senza che su tale obbligo possa esplicare rilievo la circostanza che nei gradi di merito le questioni controverse abbiano investito altri e diversi profili (Sez. un. n. 10933 del 7 novembre 1997).

9. In ogni caso, e’ necessario il deposito del contratto collettivo nazionale in forma integrale, pena la improcedibilita’ del ricorso, come la norma di legge prevede, per cui, solo all’esito di questa produzione ed al suo esame complessivo, sara’ possibile aprire il contraddittorio sulle parti del contratto non esaminate in sede di merito.

Quanto alle modalita’ del deposito, la disposizione (art. 369 c.p.c., n. 4) impone di farlo unitamente al ricorso, ma e’ ben possibile che nel ricorso medesimo si indichi che la copia del contratto collettivo e’ gia’ inserita nel fascicolo dei gradi di merito in atti, indicazione necessaria affinche’ la Corte lo reperisca agevolmente, nell’ambito di quel sistema di collaborazione tra le parti ed il giudice, funzionale alla speditezza ed alla chiarezza del procedimento, introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006. Ancora in relazione alle modalita’ di deposito, si e’ gia’ affermato (Ordinanza n. 2855 del 5 febbraio 2009) che “L’onere di depositare i contratti e gli accordi collettivi su cui il ricorso si fonda – imposto, a pena di improcedibilita’, dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, nella nuova formulazione di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006 – non puo’ dirsi soddisfatto con il deposito, oltre il termine di cui all’art. 369 c.p.c., comma 1, dei fascicoli di parte di primo e secondo grado, contenenti il contratto, per estratto, in allegato al ricorso di primo grado, a nulla rilevando che il contratto sia stato depositato, a sua volta, dal ricorrente incidentale, atteso che, ove venisse ammessa tale equipollenza nella produzione, verrebbe disattesa la lettera del citato art. 369 c.p.c., che sancisce l’improcedibilita’, senza eccezioni”.

10. Conclusivamente entrambi i ricorsi vanno dichiarati improcedibili, dovendosi affermare il principio di diritto per cui la produzione di meri stralci del contratto collettivo nazionale di lavoro non corrisponde alla prescrizione di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4. La reciproca soccombenza consiglia la compensazione delle spese.

P.Q.M.

LA CORTE Riunisce i ricorsi e li dichiara improcedibili. Compensa tra le parti le spese del giudizio.

Cosi’ deciso in Roma, il 1 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2010

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