Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21897 del 09/10/2020

Cassazione civile sez. lav., 09/10/2020, (ud. 13/07/2020, dep. 09/10/2020), n.21897

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – rel. Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7153-2017 proposto da:

VALLE UMBRA SERVIZI S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIOVANNI PIERLUIGI

DA PALESTRINA 19, presso lo studio dell’avvocato MARCO PROSPERETTI,

che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

S.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dall’avvocato SIRO CENTOFANTI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2/2017 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 20/01/2017, R.G.N. 258/2015.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. La Corte di appello di Perugia ha confermato la sentenza del Tribunale della stessa città che, in parziale accoglimento del ricorso proposto da S.G. nei confronti della società Valle Umbra Servizi s.p.a., accertò l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato con la convenuta a decorrere dal 27 ottobre 2004 e dichiarò il diritto del lavoratore ad essere reintegrato nel posto di lavoro, inquadrato nel settimo livello del c.c.n.l. per i dipendenti del settore gas e acqua e condannò la convenuta al pagamento delle differenze retributive spettanti in relazione all’inquadramento riconosciuto, con interessi legali e rivalutazione monetaria, da quantificare in separato giudizio.

2. Il giudice di appello ha evidenziato che nel gravame non erano state censurate le ragioni poste a base della accertata esistenza di una somministrazione irregolare di manodopera ma, piuttosto, la valutazione data dal Tribunale al materiale probatorio. La Corte territoriale ha ritenuto poi che, diversamente da quanto affermato dalla ricorrente, le risultanze dell’istruttoria svolta erano state correttamente valutate dal primo giudice. In particolare la Corte di merito ha ritenuto generica la censura con la quale era stata contestata la prova dell’avvenuto esercizio, da parte della società che aveva appaltato il servizio, di un diretto potere direttivo e gerarchico sul lavoratore. Osservava infatti che l’appellante non aveva chiarito quali degli elementi di prova utilizzati dal primo giudice non sarebbero stati rilevanti. Inoltre ha ritenuto che la circostanza che il lavoratore non possedesse un badge per la registrazione dell’orario non era di per sè sufficiente a scalfire le risultanze dell’articolata prova testimoniale dalla quale il Tribunale aveva tratto il convincimento che questi era tenuto a rispettare l’orario di lavoro stabilito dalla società per i suoi dipendenti. La Corte di merito ha poi ritenuto irrilevante, al fine di stabilire l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato alle dirette dipendenze della committente, la circostanza che il lavoratore, formalmente dipendente delle società che avevano preso in appalto il servizio, si era di volta in volta dimesso al termine del singolo appalto per essere assunto dalla subentrante. In definitiva la Corte di appello ha ritenuto generiche ed inammissibili le censure e, per conseguenza, il gravame.

3. Inoltre il giudice di appello ha evidenziato che nel caso concreto non era ravvisabile alcuno degli elementi necessari per ritenere che tra le parti fosse intercorso un appalto di manodopera consentito ai sensi del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, art. 29 e che, perciò, correttamente la fattispecie era stata classificata come somministrazione irregolare. Ha poi ritenuto legittima la riduzione della domanda di differenze retributive ad una condanna generica ed ha escluso che in tale richiesta fosse ravvisabile una rinuncia. Quanto alla richiesta di applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5 ha ritenuto che la questione era stata tardivamente sollevata solo in appello e che, comunque, era infondata atteso che la domanda proposta aveva ad oggetto le differenze retributive maturate nel corso del rapporto ed inoltre la disposizione non si applica nel caso in cui non venga chiesta la conversione di un rapporto a tempo determinato.

4. La Valle Umbra Servizi s.p.a. propone ricorso per la cassazione della sentenza affidato a tre motivi ai quali resiste con controricorso S.G..

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

5. Il primo motivo di ricorso, con il quale è denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 99 e 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, è inammissibile.

5.1. Sostiene la ricorrente che in primo grado l’Ing. S. aveva proposto un’azione di mero accertamento, ai sensi del D.Lgs. n. 376 del 2003, art. 27 dell’intervenuta costituzione tra le parti del rapporto di lavoro con la Valle Umbra Servizi s.p.a. (V.U.S. s.p.a.) a decorrere dal 27 ottobre 2004 con inquadramento nell’ottavo livello del c.c.n.l. di categoria o, in subordine, nel settimo e che la Corte di appello, e prima di lei il Tribunale, avevano invece accertato una simulazione dell’appalto tra la V.U.S. s.p.a. e le singole società succedutesi nel tempo nella conduzione dei servizi informatici, accertamento mai chiesto dal ricorrente in primo grado. Solo quale conseguenza di tale accertamento poi le sentenze di merito (sia in primo che in secondo grado) avevano riconosciuto che dissimulata vi era una somministrazione irregolare di manodopera in violazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 20 e art. 21, comma 1, lett. a), b), c), d) ed e).

5.2. Osserva il Collegio che la ricorrente trascura del tutto di riprodurre, seppure solo nei suoi passi più rilevanti, il contenuto del ricorso introduttivo del giudizio e del gravame proposto avverso la sentenza di primo grado. Resta così pregiudicata la possibilità per il Collegio di apprezzare sin dalla lettura del ricorso l’esistenza del vizio di ultrapetizione denunciato ed anche di comprendere se la questione era stata ritualmente sollevata davanti al giudice di appello, con conseguente inammissibilità della censura generica ed inidonea a consentire alla Corte un suo vaglio.

5.3. Ed infatti “in caso di denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, del vizio di pretesa violazione dell’art. 112 c.p.c. da parte del giudice di merito, per avere pronunciato su di una domanda non proposta, il giudice di legittimità è investito del potere di esaminare direttamente il ricorso introduttivo del giudizio, purchè ritualmente indicato ed allegato nel rispetto delle disposizioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, al fine di verificare contenuto e limiti della domanda azionata (cfr. Cass. 04/04/2014 n. 8008 e recentemente tra le altre Cass. 11/05/2020 n. 8712).

5.4. Peraltro, nel sintetizzare la domanda del ricorrente, la società deduce che si era denunciata l’esistenza di una dissimulata somministrazione di manodopera ed è proprio questa la domanda che è stata accolta sia in primo che in secondo grado restando demandato al giudice la qualificazione giuridica dei fatti allegati in giudizio. Ed infatti “la corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, che vincola il giudice ex art. 112 c.p.c., riguarda il “petitum” che va determinato con riferimento a quello che viene domandato nel contraddittorio sia in via principale che in via subordinata, in relazione al bene della vita che l’attore intende conseguire, ed alle eccezioni che, in proposito, siano state sollevate dal convenuto, ma non concerne le ipotesi in cui il giudice, espressamente o implicitamente, dia al rapporto controverso o ai fatti che siano stati allegati quali “causa petendi” dell’esperita azione, una qualificazione giuridica diversa da quella prospettata dalle parti.”(cfr. Cass. 10/05/2018 n. 11289 e 24/03/2011 n. 6757).

6. Con il secondo motivo la V.U.S. s.p.a. deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1144 c.c. (rectius 1414) in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. per avere la Corte ritenuto dissimulato tra le parti un contratto di somministrazione, dal giudice definita irregolare, sebbene ne mancassero i requisiti di legge. Inoltre denuncia la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 per avere la Corte omesso di motivare sulla natura irregolare della somministrazione.

6.1. Sostiene la ricorrente che la sentenza conterrebbe una motivazione meramente apparente circa la sussistenza dei requisiti di sostanza e di forma del contratto di somministrazione dissimulato con formali contratti di appalto di servizi informatici così incorrendo nelle denunciate violazioni di legge.

7. La censura è inammissibile. Dalla sentenza impugnata si evince che sin dal primo grado era stato allegato che i contratti di appalto dissimulavano una somministrazione irregolare (cfr. la prima pagina della motivazione della sentenza di appello in fine) e lo stesso giudice di appello dà atto della genericità delle censure formulate volte a sottolineare solo una parziale, e di parte, utilizzazione delle emergenze istruttorie da parte del primo giudice. Nel motivo di ricorso non è spiegato invece se ed in che termini la questione era stata affrontata dal giudice di primo grado e non è chiarito in che termini era stata specificatamente devoluta al giudice di appello. Ne consegue che non è possibile comprendere se sulla statuizione si fosse o meno formato un giudicato interno ovvero se la questione fosse ancora liquida in tutti i suoi aspetti davanti alla Corte di merito.

7.1. Va al riguardo ricordato che la Cassazione non è vincolata all’interpretazione compiuta dal giudice di appello con riguardo ad una statuizione contenuta nella sentenza di primo grado ed ha il potere-dovere di valutare direttamente gli atti processuali per stabilire se, rispetto alla questione su cui si sarebbe formato il giudicato, la funzione giurisdizionale si sia esaurita per effetto della mancata devoluzione della questione nel giudizio di appello, con conseguente preclusione di ogni esame della stessa. Tuttavia è onere del ricorrente che contesti la statuizione dedurre di aver ritualmente impugnato la statuizione e – per il principio di autosufficienza – indicare elementi e riferimenti atti ad individuare, nei suoi termini esatti e non genericamente, il contenuto dell’atto di appello a questo preciso proposito, non essendo tale vizio rilevabile “ex officio” (cfr. Cass. 15/03/2019 n. 7499). E’ ius receptum infatti che i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio d’appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d’ufficio. Il ricorrente, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione avanti al giudice del merito, ma anche di indicare in quale atto del precedente giudizio lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminarne il merito. Pertanto, poichè la ricorrente nel caso in esame è rimasta inadempiente all’onere di specificazione della censura il Collegio non è in grado di sapere quali fossero gli esatti termini delle questioni devolute e la censura, generica, va dichiarata inammissibile.

8. Con l’ultimo motivo di ricorso, infine la società denuncia la violazione delle disposizioni in tema di stabilizzazione dei rapporti di lavoro nei confronti di società avente natura pubblicistica.

8.1. Deduce la ricorrente che la VUS s.p.a. è una società a capitale interamente pubblico, i cui soci sono i ventidue Comuni del comprensorio di (OMISSIS), che si occupa della gestione del servizio idrico integrato, della distribuzione del gas metano e del servizio di igiene urbana e che, attraverso i suoi 400 dipendenti, eroga quotidianamente servizi pubblici ad oltre 400.000 abitanti del bacino. Evidenzia che la natura pubblica della società emergerebbe da una serie di elementi sintomatici desumibili dallo stesso Statuto della società che confermano che la stessa costituisce una propaggine e/o estensione operativa delle pubbliche amministrazioni per le quali rende il servizio.

Ritiene perciò che erroneamente la Corte ha ritenuto di poter procedere alla stabilizzazione dei rapporti, non applicabile a soggetti emanazioni di pubbliche amministrazioni quale sarebbe appunto la società ricorrente.

9. Anche tale censura è inammissibile per le ragioni già esposte con riguardo agli altri motivi. Ed infatti nè dalla lettura del ricorso nè dalla sentenza della Corte di appello è possibile comprendere se la questione fosse stata già sottoposta all’attenzione del giudice di merito. Va ribadito che laddove manchi ogni riferimento da parte della sentenza della Corte di appello a tale specifica questione, questa, in assenza di una puntuale indicazione del come dove e quando sia stata sollevata nel corso del giudizio di merito deve essere ritenuta nuova e perciò inammissibile.

10. In conclusione per le ragioni sopra esposte il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis citato D.P.R., se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 5.250,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori dovuti per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis citato D.P.R., se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 13 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 ottobre 2020

 

 

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