Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21894 del 28/10/2016


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Cassazione civile sez. lav., 28/10/2016, (ud. 05/07/2016, dep. 28/10/2016), n.21894

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15771/2011 proposto da:

C.A., C.F. (OMISSIS), in proprio e quale esercente la

potestà sul minore P.L., elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA ORAZIO 3, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO FACCINI,

rappresentata e difesa dall’avvocato ADELE MURINO, giusta delega in

atti;

– ricorrente –

contro

R.A., C.F. (OMISSIS), nella qualità di titolare della

ditta individuale omonima, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA

DI PIETRA 26, presso lo studio dell’avvocato GIANDOMENICO MAGRONE,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato PIERGIORGIO

MARTINET, giusta delega in atti;

– controricorrente –

e contro

PI.EL., FONDIARIA SAI S.P.A.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 430/2010 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 07/06/2010 R.G.N. 962/09;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/07/2016 dal Consigliere Dott. PAOLO NEGRI DELLA TORRE;

udito l’Avvocato CARMINE DONOFRIO per delega Avvocato ADELE MURINO;

udito l’Avvocato DANIELA JUOVENAL per delega Avvocato PIERGIORGIO

MARTINET;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELENTANO Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 430/2010, depositata il 7 giugno 2010, la Corte di appello di Torino respingeva l’appello incidentale proposto da Pi.El. nei confronti della sentenza del Tribunale di Aosta, che ne aveva accertato la responsabilità nella causazione del decesso di P.C. avvenuto l'(OMISSIS), allorquando il lavoratore, mentre immetteva calcestruzzo nel cassero di una fondazione, era stato colpito dal braccio meccanico dell’autopompa di proprietà e manovrata dallo stesso Pi..

La Corte osservava in proposito, come già il primo giudice, che il Pi., in quanto proprietario della macchina, era tenuto alla sua regolare manutenzione e che proprio il difetto di essa era stato all’origine della caduta improvvisa del braccio dell’autopompa, dovuta al “cedimento del pacco di guarnizioni montato sul pistone del secondo cilindro”, secondo quanto accertato dalle indagini peritali svolte in sede penale e nel primo grado di giudizio; inoltre, già qualche minuto prima del sinistro il braccio dell’autopompa si era abbassato e il Pi., anzichè bloccare immediatamente la lavorazione, aveva ritenuto di proseguire la gettata, dando assicurazioni ai lavoratori impegnati nel cantiere circa il buon funzionamento del macchinario.

La Corte di appello riteneva invece di accogliere l’appello incidentale proposto dal datore di lavoro R.A., che il Tribunale, seppure per una quota percentuale limitata al 20%, aveva ritenuto corresponsabile dell’infortunio, osservando come nella fattispecie concreta non fosse rilevante la problematica dei carichi sospesi (D.P.R. n. 547 del 1955, art. 186), non rientrando in tale categoria nè il braccio dell’autopompa, nè il materiale; d’altra parte, rilevava ancora la Corte, una responsabilità del R. non poteva neppure essere ravvisata nella mancata vigilanza sui rischi e sulla pericolosità della mansione affidata al P., posto che l’unica avvisaglia della presenza di qualche malfunzionamento o anomalia della macchina era individuabile nella circostanza occorsa pochi minuti prima dell’evento, quando il braccio della gru, con movimento lento e controllabile, si era abbassato fino a terra, e peraltro il Pi., manovrando il quadro comandi, era riuscito a risollevarlo: non era, quindi, ipotizzabile che nel brevissimo lasso di tempo intercorso tra il primo abbassamento e la caduta rovinosa del braccio sul corpo del lavoratore, il R. (neppure interpellato in proposito) potesse intervenire e bloccare l’operazione che si stava svolgendo.

La Corte infine, in parziale accoglimento dell’appello principale degli eredi, riteneva di elevare il risarcimento ad Euro 150.000 per ciascuno.

Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza C.A., in proprio e quale esercente la potestà sul minore P.L., affidandosi a tre motivi, illustrati da memoria; il R. ha resistito con controricorso, anch’esso illustrato da memoria.

Sono rimasti intimati il Pi. e Fondiaria-SAI S.p.A., peraltro ormai estranea al giudizio, non essendo stato proposto appello avverso il capo della sentenza di primo grado che aveva respinto le domande del Pi. nei confronti di tale compagnia di assicurazioni.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente censura la sentenza impugnata, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, per avere la Corte di appello erroneamente escluso l’applicabilità nella concreta fattispecie della norma di cui al D.P.R. n. 547 del 1955, art. 186, sulla violazione della quale, oltre che dell’art. 2087 c.c., il primo giudice aveva invece fondato l’affermazione di concorrente responsabilità del R., e comunque per avere offerto sul punto una motivazione carente e illogica.

Con il secondo motivo, deducendo violazione dell’art. 2087 c.c., e del D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, artt. 4 e 7,nonchè motivazione carente e illogica, la ricorrente censura la sentenza impugnata laddove ha escluso la prevedibilità, da parte del datore di lavoro, della caduta del braccio dell’autopompa e conseguentemente la possibilità per lo stesso di prevenire l’evento con l’adozione delle precauzioni imposte dalle norme richiamate e, sotto il profilo motivazionale, sostenuto tale conclusione senza tener conto delle istruzioni di sicurezza fornite dal costruttore del mezzo, che il R. avrebbe dovuto conoscere e far rispettare.

Con il terzo motivo, deducendo ancora violazione dell’art. 2087 c.c., e del D.Lgs. n. 626 del 1994, artt. 4 e 7, nonchè insufficiente e contraddittoria motivazione, la ricorrente censura la sentenza impugnata per avere la Corte di appello conferito valore esimente della responsabilità alla circostanza dell’assenza del R. al momento del verificarsi dell’infortunio, quando invece lo stesso, alla stregua delle norme richiamate, avrebbe dovuto sovraintendere di persona alle operazioni di getto del calcestruzzo o nominare un preposto, in grado di valutare i relativi fattori di rischio, e per essere caduta in contraddizione nello sviluppo del proprio ragionamento, avendo escluso, prima, che fosse prevedibile la caduta del braccio dell’autopompa e, poi, nel dichiarare la piena responsabilità del Pi., quale proprietario e manovratore del mezzo, rilevato che la situazione di anomalia e malfunzionamento della macchina era evidente e la decisione di proseguire la gettata ascrivile a gravissima negligenza.

Il primo motivo non può essere accolto.

Non trova, infatti, applicazione nella specie la disposizione di cui al D.P.R. n. 547 del 1955, art. 186, la quale, riguardando le manovre per il sollevamento e per il sollevamento-trasporto dei carichi “sospesi” (e cioè fissati in alto a distanza dal suolo), delinea una situazione di rischio per l’incolumità dei lavoratori palesemente diversa, a prescindere dal comune (ma generico) elemento della “eventuale caduta” a terra, rispetto a quella propria delle operazioni richieste dal getto del calcestruzzo in un cassero mediante l’uso di un’autopompa.

In particolare, al di là della difficoltà di comprendere tra i “carichi sospesi” tanto il braccio dell’autopompa, come il calcestruzzo (non potendo ascriversi a tale nozione nè il primo, in quanto il braccio era sollevato meccanicamente e serviva per veicolare il materiale nello scavo, nè il secondo, che scorreva attraverso la condotta dell’autopompa e non era, quindi, materiale sospeso: cfr. sentenza impugnata, p. 15, i cui rilievi sul punto si devono condividere) resta che il rischio specifico preso in esame dall’art. 186 cit., è quello che grava su una pluralità di soggetti presenti sul cantiere o luogo di lavoro, indipendentemente da un nesso di correlazione funzionale tra le mansioni svolte e il sollevamento (o sollevamento-trasporto) del carico, tanto da indurre a stabilire cautele di portata generale, consistenti, da un lato, e in via prioritaria, nel disporre le relative manovre “in modo tale da evitare il passaggio dei carichi sospesi sopra i lavoratori” (e, più in generale, “sopra i luoghi per i quali la eventuale caduta del carico può costituire pericolo”) e, dall’altro, ove tale passaggio non possa essere evitato, nell’adottare e porre in funzione dispositivi che, segnalando tempestivamente il compimento delle manovre in oggetto, consentano l’allontanamento delle persone che in conseguenza di esse possano trovarsi esposte ad una condizione di pericolo.

Il secondo e il terzo motivo di ricorso, che possono esaminarsi congiuntamente in quanto entrambi coinvolgono questioni connesse alla portata applicativa del D.Lgs. n. 626 del 1994, artt. 4 e 7, risultano invece fondati e devono essere conseguentemente accolti. Ed invero la sentenza impugnata, nell’escludere qualsiasi responsabilità del datore di lavoro (e nello statuire di conseguenza la piena ed esclusiva responsabilità del Pi., quale proprietario e addetto alla manovra del mezzo), non ha tenuto in considerazione l’articolato insieme di previsioni e cautele poste dal D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, in vigore al tempo dell’infortunio, per il caso di contratto di appalto o contratto d’opera (art. 7) e cioè di affidamento, quale ricorre anche nel caso di specie, di lavori all’interno dell’azienda, ovvero dell’unità produttiva (cui è certamente da assimilarsi il cantiere di costruzione, nel settore dell’edilizia), ad imprese appaltatrici o a lavoratori autonomi. Tali previsioni e cautele risultano chiaramente dirette ad evitare, attraverso la parcellizzazione del processo produttivo, la frammentazione della responsabilità per la sicurezza e l’igiene degli ambienti di lavoro, costituendo il datore di lavoro/committente, nella cui disponibilità essi permangono, quale co-attore del perseguimento degli obiettivi delineati dalla legge.

Infatti, il datore di lavoro, in caso di affidamento di lavori a terzi, è tenuto a verificare l’idoneità tecnico-professionale delle imprese appaltatrici o dei lavoratori autonomi in relazione ai lavori da affidare in appalto o contratto d’opera e a fornire agli stessi soggetti dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell’ambiente in cui sono destinati ad operare (art. 7, comma 1); ed inoltre è tenuto sia a “cooperare” all’attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro incidenti sull’attività lavorativa oggetto dell’appalto, sia a “coordinare” gli interventi di protezione e prevenzione dai rischi cui sono esposti i lavoratori (art. 7, comma 2).

Ne consegue che, in attuazione di tali precisi obblighi di fare, e anche indipendentemente dall’osservanza del dovere generale di protezione sancito dalla “norma di chiusura” di cui all’art. 2087 c.c., il datore di lavoro, ove risulti committente di tutto o di parte del processo produttivo, non può esimersi, sotto un primo profilo, da una verifica attenta e concreta dell’idoneità tecnico-professionale dell’appaltatore o del prestatore d’opera, la quale non può arrestarsi ad una ricognizione di precedenti professionali che tale idoneità possano convalidare, ma deve comprendere una valutazione di adeguatezza attuale dei requisiti tecnico-materiali, incluso il controllo delle eventuali macchine da impiegare nell’attività oggetto di affidamento o la richiesta di documentazione a comprova della loro efficienza; sotto altro profilo, ove non gli sia possibile una vigilanza diretta o tramite altro dipendente dotato della necessaria esperienza e preparazione, non può esimersi da un’opera di individuazione del rischio specifico collegato all’uso dei mezzi meccanici da impiegare nell’azienda o unità produttiva e da una conseguente opera di informazione dei lavoratori che vi sono addetti.

La sentenza deve, pertanto, essere cassata, in accoglimento del secondo e del terzo motivo di ricorso, e la causa rinviata, anche per le spese alla Corte di appello di Torino in diversa composizione, la quale, procedendo a nuovo esame del materiale probatorio, si atterrà al seguente principio di diritto: “In tema di infortuni e di sicurezza sul lavoro, l’esternalizzazione in tutto o in parte del processo produttivo non esclude che il datore di lavoro possa essere ritenuto responsabile dell’evento, ove egli non dia prova di avere – secondo le previsioni del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 7 – adeguatamente verificato l’idoneità tecnico-professionale del soggetto cui l’opera è affidata e di avere concorso alla prevenzione del rischio specifico implicato nella realizzazione della medesima, anche mediante un’idonea opera di informazione dei lavoratori addetti”.

PQM

la Corte accoglie il secondo e il terzo motivo di ricorso, rigetta il primo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Torino in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 5 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 28 ottobre 2016

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