Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21893 del 09/10/2020

Cassazione civile sez. lav., 09/10/2020, (ud. 30/06/2020, dep. 09/10/2020), n.21893

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12216-2016 proposto da:

P.P., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato CLAUDIO LALLI;

– ricorrente –

contro

A.R.S.T. S.P.A. – Azienda Regionale Sarda Trasporti, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA TOSCANA 10, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO RIZZO,

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato STEFANO MANSO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 427/2015 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI,

depositata il 06/11/2015 R.G.N. 334/2014.

 

Fatto

RITENUTO

1. Che la Corte d’Appello di Cagliari, con la sentenza n. 427 del 2015, depositata il 6 novembre 2015, ha accolto per quanto di ragione sia l’appello proposto dall’Azienda Regionale Trasporti ARST s.p.a., nei confronti di P.P., sia l’appello incidentale proposto da quest’ultimo, avverso la sentenza emessa tra le parti dal Tribunale di Cagliari.

In parziale riforma della sentenza impugnata, che veniva confermata nel resto, il giudice di appello ha affermato che la nullità del termine apposto al contratto stipulato tra le parti in causa non dava luogo alla conversione del rapporto di lavoro, e ha compensato solo in parte le spese di entrambi i giudizi.

2. Il lavoratore aveva adito il Tribunale esponendo di aver lavorato alle dipendenze dell’ARST in qualità di operatore di esercizio e con mansioni di autista di autobus di linea, in virtù di un contratto a tempo determinato con durata dal 27 novembre 2009 al 30 giugno 2010.

Il ricorrente aveva dedotto la nullità della clausola di apposizione del termine, in quanto la stessa non riportava chiaramente la motivazione come richiesto dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1.

La nullità del termine era stata invocata anche in relazione al D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 3 non avendo l’ARST spa effettuato la valutazione dei rischi, ai sensi del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 4 e redatto il relativo documento.

3. L’ARST si costituiva in giudizio, resistendo alla domanda, esponendo, in particolare, la sussistenza di ragioni legittimanti l’assunzione a termine.

4. Il Tribunale ha ritenuto nulla la clausola di apposizione del termine per la violazione della disposizione del D.Lgs. n. 368 del 2001 sull’obbligo di specificare le ragioni di carattere tecnico, organizzativo, produttivo e sostitutivo che giustificano il ricorso al termine.

Il giudice di primo grado, affermando che il rapporto di lavoro del personale ARST aveva natura privatistica, dichiarava la sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato dal 27 novembre 2009, con il profilo di operatore di esercizio e parametro economico 140, e mansioni di conducente di autobus di linea.

Condannava la società al pagamento in favore del lavoratore, ai sensi della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, di un’indennità risarcitoria pari a 3 mensilità e mezzo dell’ultima retribuzione globale di fatto, con rivalutazione monetaria e interessi legali fino al saldo.

5. La Corte d’Appello ha affermato che l’ARST, pur dopo la trasformazione in spa avvenuta nel 2007 in esecuzione della L.R. n. 11 (recte: 21) del 2005, conservava una marcata connotazione pubblicistica in quanto a capitale interamente pubblico regionale ed assoggettata a controlli da parte della Regione, per cui, ferma restando la nullità della clausola appositiva del termine, non poteva darsi luogo alla trasformazione del rapporto di lavoro a termine in rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Persisteva, infatti l’obbligo di assumere per concorso di cui alla L.R. n. 16 del 1974, art. 23.

Ciò era coerente con la legislazione nazionale di cui al D.L. n. 112 del 2008, art. 18 convertito dalla L. n. 133 del 20108, che non trovava applicazione nella fattispecie. Non era applicabile il D.L. n. 702 del 1978, art. 5 in quanto l’ARST era una società a totale partecipazione regionale.

Nè sussisteva disparità di trattamento tra i contratti stipulati dalle società in house e quelli stipulati dai datori di lavoro privati, attese le esigenze di imparzialità e buon andamento delle società con connotazione pubblicistica.

6. Il giudice di secondo grado ha affermato che l’indennità di cui all’art. 32, comma 5, cit., era onnicomprensiva e satisfattiva di tutto il danno subito dal lavoratore, ed era correttamente commisurata in concreto nella fattispecie in esame.

7. Per la cassazione della sentenza di appello ricorre il lavoratore prospettando tre motivi di ricorso.

8. Resiste l’ARST con controricorso.

9. Entrambe le parti hanno depositato memoria in prossimità dell’adunanza camerale.

Diritto

CONSIDERATO

1. Che con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione della L.R. autonoma Sardegna n. 16 del 1974, e della L.R. autonoma Sardegna n. 21 del 2005. Violazione e falsa applicazione dell’art. 117 Cost. Violazione della Legge Costituzionale n. 3 del 1948.

Illegittimità costituzionale della L.R. autonoma Sardegna n. 16 del 1974, in relazione agli artt. 3 e 117 Cost., e della Legge Costituzionale n. 3 del 1948.

2. Il ricorrente precisa che la censura è centrata sulla parte della sentenza relativa alla statuizione del divieto di conversione del contratto a termine in contratto di lavoro a tempo indeterminato, che la Corte d’Appello fa derivare dalla L.R. Sardegna n. 16 del 1974.

Il ricorrente deduce che la L.R. n. 16 del 1974, art. 23 non era più vigente al momento della stipula del contratto a termine in questione e che, comunque, lo stesso non prevedeva alcuna nullità per i contratti stipulati in violazione di quanto previsto, trattandosi di una mera norma programmatica.

Qualora si ritenesse che i contratti stipulati senza l’espletamento di concorso siano nulli, la normativa regionale dovrebbe essere rimessa alla Corte costituzionale per verificarne la legittimità, attesa la potestà legislativa delle Regione, ai sensi dell’art. 3 dello Statuto di autonomia, nella materia ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi della Regione e stato giuridico ed economico del personale.

La norma regionale sarebbe, altresì, in contrasto con la legislazione statale in materia di ordinamento civile (D.Lgs. n. 165 del 2001 e D.Lgs. n. 368 del 2001, che sanzionano l’abuso del ricorso al contratto a termine con la conversione, ovvero, con il risarcimento del danno), ex art. 117 Cost., e con la direttiva Europea che obbliga gli Stati membri a prevedere un’adeguata tutela per l’abuso di contratti a tempo determinato, e con le leggi nazionali di recepimento.

Inoltre, un lavoratore assunto con contratto a termine dall’ARST si troverebbe privo della tutela che invece spetta a un lavoratore di un ente pubblico economico, di un ente pubblico o di un soggetto privato, con violazione dell’art. 3 Cost.

Privo di rilievo, altresì, sarebbe la L. n. 133 del 2008, art. 2-bis.

3. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione della L.R. autonoma Sardegna n. 16 del 1974 e della L.R. autonoma Sardegna n. 21 del 2005, nonchè conseguente violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001 (per la ritenuta mancata abrogazione delle prime due norme ad opera del D.Lgs. n. 368 del 2001) nella parte in cui viene negata la conversione del contratto dichiarato nullo in relazione all’apposizione del termine in contratto a tempo indeterminato – omessa e comunque contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia costituito dalla esistenza o meno di un obbligo di assunzione per concorso.

Il ricorrente ricorda che la Corte d’Appello ha ritenuto l’illegittimità del termine per la mancanza di specifica motivazione in ragione dei principi di cui al D.Lgs. n. 368 del 2001, tuttavia non ha fatto applicazione di tale decreto legislativo con riguardo alla misura della conversione, richiamando l’obbligo di assunzione ex L.R. n. 16 del 1974, palesandosi, pertanto, la contraddittorietà della decisione.

In tal modo, il giudice di secondo grado aveva fatto applicazione di una giurisprudenza formatasi prima del 2001 (non rilevante nella specie, atteso che viene in rilievo un contratto stipulato dopo il 2001), dovendo trovare applicazione, con specifico riguardo all’aspetto sanzionatorio, il D.Lgs. n. 368 del 2001 e i principi affermati dalla Corte di giustizia. La L.R. n. 21 del 2005, nonchè il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36 ha abrogato la L.R. n. 16 del 1974.

Ciò, sia che si consideri l’ARST come ente pubblico economico, sia come società per azioni, al momento della stipula del contratto.

Il ricorrente richiama l’orientamento della Corte di giustizia secondo il quale nell’applicare la direttiva sul contratto a termine, non può farsi differenza tra lavoratori pubblici e privati quanto alla sanzione prevista per i contratti a termine irrispettosi della direttiva CE 1999/70, che deve essere effettiva e tale da concretizzare un effetto dissuasivo per la ripetizione di tali violazioni contrattuali.

Il ricorrente deduce che la L.R. Sardegna n. 16 del 1974, nella parte in cui prevede l’obbligo del concorso pubblico è stata abrogata dal D.Lgs. n. 368 del 2001, applicabile nella specie, ma ancor prima dalla L.R. n. 21 del 2005, in quanto incompatibile con la stessa, sussistendo, diversamente, dubbio di legittimità costituzionale della disciplina regionale in relazione alla disciplina comunitaria e nazionale.

4. I primi due motivi di ricorso devono essere trattati congiuntamente in ragione della loro connessione. Gli stessi non sono fondati.

5. Preliminarmente, vanno esaminate le eccezioni di inammissibilità prospettate dalla ARST.

Con una prima eccezione, la società ha dedotto l’inammissibilità del ricorso per violazione del principio di autosufficienza, richiamando la giurisprudenza di legittimità in materia.

L’eccezione non è fondata. Come affermato da questa Corte, nel ricorso per cassazione il requisito della esposizione dei motivi di impugnazione – nella quale la specificazione dei motivi e l’indicazione espressa delle norme di diritto non costituiscono requisiti autonomi, avendo la seconda la funzione di chiarire il contenuto dei motivi – mira ad assicurare che il ricorso consenta, senza il sussidio di altre fonti, l’immediata e pronta individuazione delle questioni da risolvere, cosicchè devono ritenersi inammissibili quei motivi che non precisino in alcuna maniera in che cosa consista la violazione di legge che avrebbe portato alla pronuncia di merito che si sostiene errata, o che si limitino ad una affermazione apodittica non seguita da alcuna dimostrazione (Cass. n. 15263 del 2007).

Tale requisito, nella specie è soddisfatto atteso che dal complessivo svolgimento dei motivi è compiutamente dedotto il thema decidendum devoluto con l’impugnazione in relazione alla sentenza censurata.

In secondo luogo, la controricorrente ha eccepito l’improcedibilità e in subordine l’inammissibilità del ricorso per omessa impugnazione della sentenza nella parte in cui considera preclusiva alla possibilità di conversione del contratto a termine illegittimo, la disciplina prevista dal D.L. n. 112 del 2008, convertito dalla L. n. 133 del 2008.

Anche tale eccezione va disattesa, in quanto la motivazione della Corte d’Appello esamina, rispetto al contratto a termine in questione, in un ragionamento decisorio unitario, la disciplina regionale e statale che ha interessato i contratti a termine, l’ARST e le società partecipate, tra cui anche il D.L. n. 112 del 2008, di talchè l’impugnazione della sentenza di appello per falsa applicazione di legge, con cui viene contestata la sussunzione del contratto in questione nell’ambito della L.R. n. 16 del 1974, investe questa Corte della verifica della corretta applicazione delle fonti di diritto richiamate dal giudice di appello.

6. Può passarsi all’esame dei motivi di ricorso.

7. L’Azienda Regionale Sarda Trasporti, istituita con personalità giuridica di diritto pubblico dalla L.R. Sardegna 9 giugno 1970, n. 3 è stata successivamente disciplinata dalla L.R. Sardegna 20 giugno 1974, n. 16.

Era demandata all’ARST (L.R. n. 16 del 1974, art. 2) “L’impianto e la gestione nella Regione degli autoservizi di linea per il trasporto di persone e bagagli, di qualunque natura e durata (…)”.

8. In relazione a contratti a termine rispetto ai quali trovava applicazione ratione temporis la L.R. n. 16 del 1974, questa Corte (sentenze n. 5229 del 2017 e n. 6413 del 2017) ha affermato che l’art. 23 suddetta L.R., che prevede l’assunzione esclusivamente mediante concorso pubblico del personale dell’azienda di trasporto locale ARST, impedisce la conversione in contratti a tempo indeterminato dei contratti a termine illegittimamente stipulati con la stessa, e tale disposizione non viola l’art. 3 Cost., in quanto applicazione della generale forma di reclutamento per le figure soggettive pubbliche, posta a presidio delle esigenze d’imparzialità ed efficienza dell’azione amministrativa, nè confligge con la direttiva n. 1999/70/CE, poichè le misure nazionali atte a fronteggiare l’abusiva reiterazione dei contratti a termine possono essere anche diverse dalla suddetta conversione, purchè sufficientemente effettive e dissuasi.

9. L’ARST, con la L.R. Sardegna 7 dicembre 2005, n. 21 è stata trasformata “in società per azioni, a partecipazione azionaria pubblica e privata, con il vincolo della proprietà pubblica maggioritaria e con la denominazione di “ARST S.p.A”” (art. 30, comma 1).

La L. n. 21 del 2005, art. 30, comma 4, ha inoltre previsto che “le azioni della società di proprietà regionale sono attribuite all’Assessorato regionale degli enti locali, finanze e urbanistica che esercita i diritti di azionista secondo le direttive emanate dalla Giunta regionale”.

L’art. 47 medesima L.R. ha, quindi, abrogato la L.R. n. 16 del 1974.

Come affermato da Cass., n. 3621 del 2018, tale disposizione era chiara nell’estendere l’effetto abrogativo all’intera disciplina riguardante l’Azienda Regionale, salvo quanto previsto dall’art. 46, che “al fine di garantire che l’attuazione della presente legge comporti i minori costi per la collettività”, ha stabilito che “il trasferimento alla Regione ed alle autonomie locali delle funzioni e dei compiti in materia di trasporto pubblico locale e la trasformazione delle aziende di trasporto operanti in Sardegna si realizzano senza pregiudizio degli esistenti livelli occupazionali e con la garanzia di conservazione dei trattamenti economici e previdenziali goduti all’entrata in vigore della presente legge”.

10. Con la Delib. 2 agosto 2007, n. 30/43 la Giunta della Regione autonoma Sardegna deliberava “”di procedere alla trasformazione, ai sensi della L.R. n. 21 del 2005, art. 30 e secondo le procedure definite dal D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 115 dell'”Azienda Regionale Sarda Trasporti – ARST” in una società per azioni (…) “ARST S.p.A.”, dando atto che la stessa subentrerà in tutti i rapporti attivi e passivi dell’Azienda originaria e conserverà tutti i diritti e gli obblighi anteriori alla trasformazione, fermo restando che delle obbligazioni sorte anteriormente alla costituzione della società risponderà in ogni caso la Regione Autonoma della Sardegna (…)””.

11. Il quadro di riferimento normativo si modificava ulteriormente per effetto del D.L. n. 112 del 2008, art. 18, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 133 del 2008, che al comma 1 stabiliva che le società che gestiscono servizi pubblici locali a totale partecipazione pubblica adottano, con propri provvedimenti, criteri e modalità per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi di cui al D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 35, comma 3. Al successivo comma 2, prevedeva che le altre società a partecipazione pubblica totale o di controllo adottano, con propri provvedimenti, criteri e modalità per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi, anche di derivazione comunitaria, di trasparenza, pubblicità e imparzialità.

12. Questa Corte, con la citata sentenza n. 3621 del 2018, cui adde, Cass. n. 6772 del 2018, n. 6818 del 2018 – nonchè in relazione fattispecie analoga relativa a spa che gestiva il servizio pubblico di trasporto locale Cass., n. 3662 del 2019, punti 24 e 39 ssg. in particolare, che costituisce un successivo e consolidato arresto rispetto a Cass. n. 5063 del 2018 richiamata dal ricorrente nella memoria – ai cui principi si intende dare continuità ha affermato, che l’omesso esperimento delle procedure concorsuali previste dal comma 1 e di quelle selettive richiamate nel comma 2 determina la nullità del contratto ai sensi dell’art. 1418 c.c., comma 1, perchè la violazione attiene al momento genetico della fattispecie negoziale e, quindi, la stessa non può essere solo fonte di responsabilità a carico del contraente inadempiente, non avendo portata innovativa il D.Lgs. n. 175 del 2016, art. 19, comma 4.

Quindi, una volta affermato che per le società a partecipazione pubblica, quale è l’ARST spa, con riguardo alle fattispecie a cui è applicabile il D.L. n. 112 del 2008, art. 18, commi 1 e 2, il previo esperimento delle procedure concorsuali e selettive condiziona la validità del contratto di lavoro, non può che operare il principio secondo cui anche per i soggetti esclusi dall’ambito di applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36 la regola della concorsualità imposta dal legislatore, nazionale o regionale, impedisce la conversione in rapporto a tempo indeterminato del contratto a termine affetto da nullità.

13. Tanto premesso, rileva il Collegio che nella fattispecie in esame viene in rilievo il D.L. n. 112 del 2008, art. 18 conv. dalla L. n. 133 del 2008 (atteso che il contratto a termine per cui è causa veniva stipulato dal 27 novembre 2009 al 30 giugno 2010).

La suddetta disposizione al comma 1 stabilisce che le società che gestiscono servizi pubblici locali a totale partecipazione pubblica adottano, con propri provvedimenti, criteri e modalità per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi di cui al D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 35, comma 3.

Al successivo comma 2, prevede che le altre società a partecipazione pubblica totale o di controllo adottano, con propri provvedimenti, criteri e modalità per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi, anche di derivazione comunitaria, di trasparenza, pubblicità e imparzialità.

14. Come si è accennato, questa Corte con la sentenza n. 3621 del 2018, cui adde n. 3662 del 2019, ha esaminato una fattispecie analoga, affermando i seguenti principi, ai quali si intende dare continuità:

con l’art. 18 il legislatore nazionale, pur mantenendo ferma la natura privatistica dei rapporti di lavoro, sottratti alla disciplina dettata dal D.Lgs. n. 165 del 2001, ha inteso estendere alle società partecipate i vincoli procedurali imposti alle amministrazioni pubbliche nella fase del reclutamento del personale, perchè l’erogazione di servizi di interesse generale pone l’esigenza di selezionare secondo criteri di merito e di trasparenza i soggetti chiamati allo svolgimento dei compiti che quell’interesse perseguono;

l’omesso esperimento delle procedure concorsuali previste dal comma 1 e di quelle selettive richiamate nel comma 2 determina la nullità del contratto ai sensi dell’art. 1418 c.c., comma 1, perchè la violazione attiene al momento genetico della fattispecie negoziale e, quindi, la stessa non può essere solo fonte di responsabilità a carico del contraente inadempiente;

va esclusa la portata innovativa del D.Lgs. n. 175 del 2016, art. 19, comma 4, che, nel prevedere espressamente la nullità dei contratti stipulati in violazione delle procedure di reclutamento, ha solo reso esplicita una conseguenza già desumibile dai principi sopra richiamati in tema di nullità virtuali;

una volta affermato che per le società a partecipazione pubblica il previo esperimento delle procedure concorsuali e selettive condiziona la validità del contratto di lavoro, non può che operare il principio richiamato secondo cui anche per i soggetti esclusi dall’ambito di applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36 la regola della concorsualità imposta dal legislatore, nazionale o regionale, impedisce la conversione in rapporto a tempo indeterminato del contratto a termine affetto da nullità; diversamente opinando si finirebbe per eludere il divieto posto dalla norma imperativa che, come già evidenziato, tiene conto della particolare natura delle società partecipate e della necessità, avvertita dalla Corte Costituzionale, di non limitare l’attuazione dei precetti dettati dall’art. 97 Cost. ai soli soggetti formalmente pubblici bensì di estenderne l’applicazione anche a quelli che, utilizzando risorse pubbliche, agiscono per il perseguimento di interessi di carattere generale;

non si ravvisano il denunciato contrasto con la direttiva 1999/70/CE e la eccepita illegittimità costituzionale della normativa per violazione dell’art. 3 Cost. La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha da tempo chiarito che spetta alle autorità nazionali adottare misure adeguate per far fronte agli abusi nella reiterazione dei contratti a termine e che queste ultime possono essere anche diverse dalla conversione in rapporto a tempo indeterminato, purchè rispettino i principi di equivalenza e siano sufficientemente effettive e dissuasive per garantire l’efficacia delle norme adottate in attuazione dell’Accordo quadro recepito dalla direttiva;

nè, poichè la L.R. n. 16 del 1974 non disciplina la fattispecie, hanno rilevanza i prospettati dubbi di legittimità costituzionale.

15. Con il terzo motivo di ricorso è prospettata la violazione del principio di effettività del risarcimento del danno e conseguente falsa applicazione della liquidazione equitativa. Conseguente violazione degli artt. 1218,1219,1224,1225 e 1226 c.c.

Prospetta il ricorrente che la Corte d’appello avrebbe violato il principio di effettività del risarcimento come norma vivente del diritto comunitario.

Il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36 della cui vigenza rispetto alla fattispecie in esame il ricorrente dubita in ragione della sopravvenienza del D.Lgs. n. 368 del 2001, non disciplina in modo chiaro e concreto il risarcimento non sancendo un principio di risarcimento automatico, di tal chè il criterio della sanzione risarcitoria prevista, astrattamente legale, non può integrare quella misura effettiva voluta dal legislatore Europeo e confermata dalla CGUE.

Il ricorrente richiama quindi la sentenza CGUE 7 settembre 2006 (Marrosu Sardino) ed il giudizio presupposto, e prospetta che deve trovare applicazione il D.Lgs. n. 368 del 2001, ben potendo una legge ipotizzare diverse metodologie di assunzione alla pubblica amministrazione rispetto al concorso, poichè l’art. 97 Cost., u.c. sancisce tale regola “salvo i casi stabiliti dalla legge”.

La domanda di pagamento di tutte le mensilità dalla scadenza del contratto alla sentenza diviene una domanda di un risarcimento effettivo del danno.

Il giudice di appello ha riconosciuto il risarcimento, anche prescindendo dalla reiterazione di contratti a termine, in una misura equitativa forfettaria senza specificare nulla di più oltre il richiamo del cd. jobs act, applicando una norma non pertinente alla fattispecie, senza considerare le norme del codice civile che regolano l’inadempimento del debitore e i criteri di quantificazione del danno risarcibile, non specificando il periodo nel quale il danno si può intendere risarcito.

16. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile.

Occorre premettere quanto segue.

La L. n. 183 del 2010, art. 32 abrogato dal D.Lgs. n. 81 del 2015, è applicabile “nei casi di conversione del contratto a tempo determinato” e, quindi, non può essere invocato qualora, come nella fattispecie, si discuta di un rapporto affetto da nullità, non convertibile, che produce unicamente i limitati effetti di cui all’art. 2126 c.c. (Cass. 3621 del 2018).

Tuttavia, sulla relativa statuizione della Corte d’Appello l’ARST non ha proposto ricorso incidentale sul punto, e l’impugnazione del ricorrente è rivolta ad ottenere una diversa liquidazione.

17. Tanto premesso, si rileva che il motivo così come proposto è inammissibile per un duplice ordine di motivi.

Il ricorrente si duole del criterio di liquidazione del danno adottato dalla Corte d’Appello, in quanto il risarcimento, equitativo e forfettario, non sarebbe effettivo come, invece, nel caso della corresponsione di tutte le retribuzioni dalla scadenza del contratto alla sentenza.

In tal modo, tuttavia, prescinde, sia pure quanto al profilo risarcitorio, dall’intera ratio decidendi della statuizione del giudice di appello che ha come inscindibile presupposto logico-giuridico la legittima impossibilità di dare corso alla trasformazione e riconoscere al lavoratore un posto di lavoro a tempo indeterminato, a cui consegue la non assimilabilità della mancata trasformazione a voce di danno.

Quanto all’applicazione del D.Lgs. n. 183 del 2010, art. 32 statuizione che va ribadito non è stata impugnata dalla resistente ARST, il ricorrente non ne contesta la quantificazione, nè ha dedotto di aver allegato e provato danni ulteriori.

Dunque, il terzo motivo di ricorso non è decisivo ed è inammissibile per difetto di rilevanza.

18. La Corte rigetta il ricorso, come indicato in dispositivo.

19. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio come liquidate in dispositivo.

20. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il primo e il secondo motivo di ricorso. Inammissibile il terzo motivo. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in Euro 4.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali in misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 30 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 ottobre 2020

 

 

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