Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21892 del 09/10/2020

Cassazione civile sez. lav., 09/10/2020, (ud. 25/06/2020, dep. 09/10/2020), n.21892

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 102-2020 proposto da:

R.A.M.A., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR

presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dall’avvocato CLARA PROVEZZA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i

cui Uffici domicilia ex lege in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI 12;

– resistente con mandato –

e contro

COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE

INTERNAZIONALE DI MILANO;

– intimata –

avverso la sentenza n. 4596/2019 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 18/11/2019 R.G.N. 854/2019.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. la Corte di Appello di Milano, con sentenza del 18 novembre 2019, ha confermato la decisione di primo grado che aveva respinto il ricorso proposto da R.A.M.A. avverso il provvedimento con il quale la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale aveva, a sua volta, rigettato la domanda di protezione internazionale proposta dall’interessato, escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione umanitaria;

2. la Corte territoriale – per quanto qui ancora interessa – ha considerato, in ordine al riconoscimento dello status di rifugiato, che lo stesso richiedente protezione aveva allegato di essersi allontanato dall’Egitto “per sfuggire ad una eventuale condanna per un reato comune… circostanza che in sè non può essere affatto considerata ipotesi di persecuzione”; circa la richiesta protezione sussidiaria, la Corte ha escluso, sulla base delle più recenti fonti COI, che il Paese di provenienza dell’appellante risultasse interessato da un conflitto armato generatore di una violenza indiscriminata; quanto poi alla domanda volta ad ottenere la protezione umanitaria, la Corte, valutando la situazione di vulnerabilità alla luce dei principi espressi da Cass. n. 4455 del 2018, ha considerato che il R. “ha solo documentato di lavorare come operaio con contratto a tempo indeterminato dal febbraio 2019, dopo aver lavorato in precedenza in modo discontinuo nel medesimo settore edile (due mesi nel 2015, un mese nel 2017 e sette mesi nel 2018, come da estratto conto previdenziale INPS), senza alcun altro elemento di assimilazione al tessuto sociale (smentito del resto dal suo atteggiamento tenuto in udienza, ove ancora ha mostrato di (ri)tenere giustificato il commesso omicidio a fronte di parole offensive rivoltegli dalla vittima), mentre in (OMISSIS) – a prescindere dalla sua eventuale incarcerazione – egli potrebbe agevolmente reinserirsi”;

3. per la cassazione di tale sentenza propone ricorso il soccombente con 4 motivi; il Ministero dell’Interno resta intimato.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5 per non avere applicato la Corte adita “il principio dell’onere della prova attenuato” in ordine al riconoscimento dello status di rifugiato, assumendo che le dichiarazioni rese “non sono contraddittorie nè inattendibili, ma anzi in perfetta aderenza con tutto quanto dichiarato in merito alla vicenda personale del ricorrente”;

2. il motivo è inammissibile perchè non coglie l’effettiva ragione per cui la Corte territoriale ha disatteso il gravame dell’appellante sul punto, che sta nell’allegazione, prospettata in giudizio dal R. medesimo, di essersi allontanato dall'(OMISSIS) “per sfuggire ad una eventuale condanna per un reato comune”, circostanza questa che, secondo la Corte, non configura una “ipotesi di persecuzione” e tale assunto non risulta in alcun modo adeguatamente censurato dal ricorrente;

3. con il secondo motivo si denuncia “violazione o falsa applicazione del combinato disposto di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. g), artt. 5 e 14 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3” per avere la sentenza impugnata negato la protezione sussidiaria “non vagliando adeguatamente l’attuale grave situazione del Paese di origine del Sig. R.”, così come risulterebbe dal “sito (OMISSIS) della Farnesina”;

4. il motivo non può trovare accoglimento;

la Corte, sulla base delle “più recenti fonti COI”, ha accertato in fatto come in (OMISSIS) non sia in atto una situazione assimilabile a quella di un conflitto armato generatore di violenza indiscriminata; lo stabilire se tale accertamento sia corretto o meno è questione di fatto, come tale incensurabile in questa sede se non evidenziando l’omesso esame di un fatto decisivo o la manifesta irrazionalità della decisione, censure neanche prospettate dall’odierno ricorrente (di recente: Cass. n. 6897 del 2020); in realtà chi ricorre si limita a prospettare una diversa valutazione della situazione del Paese di provenienza, con una censura che attiene chiaramente ad una quaestio facti che non può essere riesaminata innanzi alla Corte di legittimità, perchè si esprime un mero dissenso valutativo delle risultanze di causa e si invoca, nella sostanza, un diverso apprezzamento di merito delle stesse (da ultimo Cass. n. 2563 del 2020);

5. il terzo motivo denuncia: “violazione o falsa applicazione della lettura coordinata del D.Lgs. n. 286 del 1998 art. 5, comma 6, e art. 19 e del D.Lgs. n. 25 del 2008 art. 8, comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: errata ed insufficiente motivazione sul punto dell’attività lavorativa, giovane età, inserimento sociale sul territorio italiano ed errata ed omessa motivazione in merito alla situazione del Paese di origine”; si lamenta “la mancata valutazione di tutti gli elementi offerti per dimostrare l’effettivo inserimento sociale del ricorrente e di conseguenza le condizioni di vulnerabilità” del medesimo;

il quarto motivo denuncia: “violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998 art. 5, comma 6, e del D.Lgs. n. 251 del 2007 art. 34, art. 2 Cost. e art. 8 CEDU in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5: violazione ed omessa valutazione e motivazione sul punto dell’esistenza di situazioni vulnerabili”; si eccepisce che la “comparazione” affermata da Cass. n. 4455 del 2018 sarebbe stata “in parte ampiamente omessa e violata dalla Corte d’Appello di Milano che non prendeva in esame tutti gli elementi personali ed individuali del richiedente così come confermati anche dai documenti prodotti”, in particolare il reinserimento lavorativo, la circostanza che era scappato dall'(OMISSIS) “per preservare la propria vita, dopo aver aggredito una persona durante una lite, che decedeva nei giorni successivi”, nonchè la circostanza che il R. fosse lontano dall'(OMISSIS) dal 2007;

6. i motivi, congiuntamente esaminabili per connessione in quanto riguardano la richiesta protezione umanitaria, non meritano accoglimento;

essi presentano pregiudiziali profili di inammissibilità nella parte in cui denunciano vizi motivazionali non più sindacabili nel vigore del novellato art. 360 c.p.c., n. 5 così come rigorosamente interpretato da Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014, dei cui enunciati parte ricorrente non tiene alcun conto, e comunque preclusi, nella specie, dalla presenza di una cd. “doppia conforme”;

inoltre le Sezioni unite di questa Corte (sent. n. 29459 del 2019) hanno condiviso l’orientamento che assegna rilievo centrale alla valutazione comparativa tra il grado d’integrazione effettiva nel nostro paese e la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente nel paese di origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale (inaugurato da Cass. n. 4455 del 2018, seguita, tra varie, da Cass. n. 11110 del 2019 e da Cass. n. 12082 del 2019), puntualizzando però che non può essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari considerando, isolatamente e astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al paese di provenienza (Cass. n. 17072 del 2018); si prenderebbe altrimenti in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, di per sè inidonea al riconoscimento della protezione umanitaria (Cass. 9304 del 2019), tanto da indurre le Sezioni unite ad accogliere nell’occasione il ricorso proposto dal Ministero, in quanto la decisione del giudice d’appello si era fondata sul solo elemento, isolatamente considerato, della recente assunzione del richiedente alle dipendenze di un datore di lavoro italiano;

orbene in ricorso si trascura di considerare che – per l’insegnamento delle Sezioni unite innanzi richiamato – il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari non può essere riconosciuto per il solo livello di integrazione in Italia del richiedente, nè in considerazione della situazione del suo paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti; piuttosto la Corte territoriale ha espressamente esaminato sia l’assunzione del R. a tempo indeterminato dal febbraio 2019, sia la fuga dall'(OMISSIS) nel 2007 per sfuggire ad un processo – circostanze, quindi, di cui non è stato affatto omesso l’esame – e tuttavia non ha ravvisato una condizione di “vulnerabilità” tutelabile, ritenendo, d’un canto, che non ci fosse “alcun altro elemento di assimilazione al tessuto sociale” visto che il R. ancora considerava “giustificato il commesso omicidio a fronte di parole offensive rivoltegli dalla vittima” e, d’altro canto, che l’istante in (OMISSIS) potrà “agevolmente reinserirsi”; tali rilievi in alcun modo vengono specificamente censurati con i motivi in esame;

in definitiva il ricorrente prospetta una implicita richiesta di diversa valutazione del grado di inserimento del ricorrente in Italia rispetto a quella espressa nel provvedimento impugnato, per tale via violando, da un lato, i limiti della verifica di legittimità, dall’altro non misurandosi con la affermazione in diritto (anch’essa coerente con la più volte richiamata giurisprudenza) secondo cui l’integrazione in Italia non costituisce elemento di per sè decisivo per il riconoscimento della protezione umanitaria, ove non risulti che il richiedente si sia allontanato da una condizione di vulnerabilità effettiva nel suo Paese, sotto il profilo della violazione o dell’impedimento all’esercizio dei diritti umani inalienabili, vulnerabilità che non può essere certo ravvisata nel timore di essere processato per un grave episodio ammesso dallo stesso richiedente protezione;

7. conclusivamente il ricorso va rigettato; nulla va liquidato per le spese in quanto il Ministero dell’Interno non ha svolto attività difensiva;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020).

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 25 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 ottobre 2020

 

 

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