Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2189 del 29/01/2010

Cassazione civile sez. I, 29/01/2010, (ud. 25/11/2009, dep. 29/01/2010), n.2189

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PROTO Vincenzo – Presidente –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. NAPPI Aniello – rel. Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

G.V., rappresentata e difesa dall’avv. A.L. Marra,

come da mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’economia e delle finanze, domiciliato in Roma, via dei

Portoghesi 12, presso l’Avvocatura generale dello Stato, che per

legge la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso il D. n. 4473 del 2007 della Corte d’appello di Napoli,

depositato il 14 novembre 2007;

Sentita la relazione svolta dal Consigliere Dott. NAPPI Aniello

Udite le conclusioni del P.M. Dott. GAMBARDELLA che ha chiesto il

rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con il decreto impugnato la Corte d’appello di Napoli ha condannato il Ministero dell’economia e delle finanze al pagamento della somma di Euro 3.000 in favore di G.V., che aveva proposto domanda di equa riparazione per la durata irragionevole di un giudizio promosso il 12 ottobre 2000 e non ancora definito in primo grado dal T.A.R. Campania alla data del 10 maggio 2007. Ricorre per cassazione G.V. e deduce violazione di legge e vizio di motivazione, lamentando l’inadeguatezza dell’indennità riconosciutagli e l’ingiustificata compensazione delle spese. Resiste con controricorso il Ministero convenuto.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso è infondato per quanto attiene al merito, fondato per quanto attiene alle spese. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, “il giudice investito della domanda di equa riparazione del danno derivante dalla irragionevole durata del processo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, deve preliminarmente accertare se sia stato violato il termine di ragionevole durata, identificando puntualmente, quale sia la misura della durata ragionevole del processo in questione, essendo questo un elemento imprescindibile, logicamente e giuridicamente preliminare, per il corretto accertamento dell’esistenza del danno e per l’eventuale liquidazione dell’indennizzo” (Cass., sez. 1^, 9 settembre 2005, n. 17999, m.

584619). Nel caso in esame i giudici del merito hanno determinato in tre anni la durata ragionevole della procedura e, quindi, in tre anni e sette mesi l’eccedenza irragionevole della sua durata. E questa valutazione non è censurabile nè risulta in realtà censurata.

Corretta è anche la determinazione dell’indennizzo in Euro 3.000, dal momento che la giurisprudenza ha “individuato nell’importo compreso tra Euro 1.000,00 ed Euro 1.500,00 la base di calcolo dell’indennizzo per ciascun anno in relazione al danno non patrimoniale, da quantificare poi in concreto avendo riguardo alla natura e alle caratteristiche di ciascuna controversia” (Cass., sez. 1^, 26 gennaio 2006, n. 1630, m. 585927). Il ritardo di tre anni e sette mesi risulta dunque equamente indennizzato in ragione di Euro 750 per ciascuno dei primi tre anni e di Euro 750 per gli ulteriori sette mesi. Il ricorrente lamenta anche il mancato riconoscimento dell’integrazione per la natura previdenziale del giudizio. Ma secondo la giurisprudenza di questa Corte, “ai fini della liquidazione dell’indennizzò del danno non patrimoniale conseguente alla violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, non può ravvisarsi un obbligo di diretta applicazione dell’orientamento della giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo, secondo cui ve riconosciuta una somma forfetaria nel caso di violazione del termine nei giudizi aventi particolare importanza, fra cui anche la materia previdenziale; da tale principio, infatti, non può derivare automaticamente che tutte le controversie di tal genere debbano considerarsi di particolare importanza, spettando al giudice del merito valutare se, in concreto, la causa previdenziale abbia avuto una particolare incidenza sulla componente non patrimoniale del danno, con una valutazione discrezionale che non implica un obbligo di motivazione specifica, essendo sufficiente, nel caso di diniego di tale attribuzione, una motivazione implicita” (Cass., sez. 1^, 14 marzo 2008, n. 6898, m. 602256). E nel caso in esame una tale particolare incidenza non è stata neppure allegata.

Quanto alle spese, i giudici del merito le hanno integralmente compensate, in ragione della mancata opposizione dell’amministrazione convenuta. E di tanto si lamenta fondatamente la ricorrente, atteso che l’amministrazione diede comunque causa al giudizio.

Occorre dunque riconoscere alla ricorrente le spese del giudizio di merito e applicare la tariffa prevista per il giudizio di cognizione davanti alla corte d’appello (Cass., sez. 1^, 17 ottobre 2008, 25352, m. 605766).

In accoglimento (sotto tale profilo) delle spese del giudizio di merito vanno liquidate in complessivi Euro 907 (Euro 450 per onorar, Euro 432 per diritti, Euro 25 per esborsi).

Le spese del giudizio di legittimità possono essere compensate per i due terzi, in considerazione della parziale soccombenza del ricorrente.

P.Q.M.

La Corte, in parziale accoglimento del ricorso, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, liquida le spese del giudizio di merito in complessivi in complessivi Euro 907 (Euro 450 per onorari, Euro 432 per diritti, Euro 25 per esborsi). Rigetta nel resto il ricorso.

Compensa per i due terzi le spese del giudizio di legittimità e ne pone il rimanente terzo a carico dell’Amministrazione convenuta, liquidandole per l’intero in complessivi Euro 600,00 di cui Euro 500 per onorari, oltre spese generali e accessori come per legge, con distrazione in favore del difensore antistatario.

Così deciso in Roma, il 25 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 29 gennaio 2010

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