Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21887 del 21/10/2011

Cassazione civile sez. I, 21/10/2011, (ud. 13/07/2011, dep. 21/10/2011), n.21887

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 31987/2005 proposto da:

RUBATTINO 87 S.R.L (C.F. (OMISSIS)), incorporante per fusione

della Società Immobiliare PA.LEO s.r.l., in persona del Presidente

del Consiglio di Amministrazione pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA DELLA VITE 7, presso l’avvocato MASINI Maria

Stefania, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato DE

CESARIS ADA LUCIA, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

PIRELLI S.P.A. (c.f./p.i. (OMISSIS)), in persona del Direttore

Generale Amministrazione e Controllo pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA DEL BABUINO 51, presso l’avvocato RIDOLA

Mario, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato MALCOVATI

FABIO, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2026/2005 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 31/08/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/07/2011 dal Consigliere Dott. SALVATORE SALVAGO;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato MASINI che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito, per la controricorrente, l’Avvocato RIDOLA MARIO G. che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Il Tribunale di Milano con sentenza del 27 marzo 2004 rigettò la domanda di risarcimento del danno formulata dalla s.r.l. Immobiliare P.A.L.E.O., acquirente di area inserita nel comprensorio assoggettato al “Programma di riqualificazione urbana di Via (OMISSIS)” nei confronti della s.p.a. Pirelli che ne era stata proprietaria in epoca antecedente e che aveva svolto sull’immobile attività produttiva, poi risultata gravemente contaminatoria costringendo la Paleo ad ingenti esborsi onde realizzare gli interventi di bonifica richiesti dal comune di Milano.

L’impugnazione della Paleo è stata respinta dalla Corte di appello di Milano, che con sentenza del 31 agosto 2005 ha osservato: a) durante i passaggi di proprietà dell’area si era verificato un mutamento della sua destinazione da opificio a progetto di riqualificazione urbana, ben noto alla soc. Paleo al momento dell’acquisto; b) proprio la L. n. 22 del 1997, art. l7, comma 13, poneva a carico dell’interessato al mutamento di destinazione l’obbligo di procedere a proprie spese ai necessari interventi di bonifica; c) tale interessato era esclusivamente la soc. appellante che aveva acquistato l’immobile conoscendone la nuova destinazione peraltro impiegata per compiere una lucrosa operazione immobiliare in cui era intervenuto il comune; e che non aveva subito da detta amministrazione alcuna imposizione a compiere il procedimento e la bonifica previsti dal menzionato art. 17.

Per la cassazione della sentenza la s.r.l. Rubattino 87 ha proposto ricorso per 3 motivi; cui resiste la s.p.a. Pirelli con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

2. Con il primo motivo del ricorso la Rubattino, incorporante per fusione la soc. Paleo, deducendo violazione della L. n. 22 del 1997, art. 17, censura la sentenza impugnata per avere scagionato la controparte dall’obbligo di procedere alla bonifica prevista dalla norma senza considerarne la sua applicazione retroattiva stabilita dalla giurisprudenza; e che per garantire l’adempimento di detta obbligazione il legislatore aveva introdotto una serie di oneri e garanzie reali nei confronti dell’acquirente; sicchè essa proprietaria aveva dovuto agire ai sensi del comma 13 bis di detta norma e bonificare il sito onde evitarne l’inutilizzabilità, nonchè liberarlo dagli oneri che vi gravavano in ragione dell’inquinamento.

Con il secondo, deducendo violazione degli artt. 1203 e 1204 cod. civ., si duole che la decisione di appello non abbia considerato che essa acquirente dell’area era soggetto passivo di una garanzia ex lege nei confronti del comune,che ne comportava il pericolo di espropriazione forzata, perciò da un lato ponendola nell’alternativa di pagare il relativo debito e subire l’espropriazione; ma dall’altro attribuendole il diritto di rivalersi nei confronti del responsabile dell’inquinamento quali che fossero le ragioni che l’avevano indotta ad adempiere l’obbligazione gravante su quest’ultimo.

Con il terzo motivo,deducendo violazione degli artt. 2043 e 2056 cod. civ., lamenta che la Corte di appello non abbia accolto la sua richiesta, pur avendo essa società documentato le spese sostenute per la bonifica del sito; e non considerando che a prescindere dalla sua utilizzazione economica gravava comunque in capo all’inquinatore l’obbligo di riparare il danno ambientale dallo stesso provocato che altri avevano dovuto riparare.

3. Il ricorso è infondato.

La sentenza impugnata ha accertato e le parti confermato che la s.p.a. Pirelli ha acquistato il terreno per cui è causa con atto del 30 settembre 1987, e che lo ha rivenduto l’anno successivo alla s.r.l. Eurogedil, dichiarando nell’atto che oggetto della vendita era “un complesso immobiliare ad uso opificio con insistenti fabbricati ad uso commerciale”; per cui in entrambi i momenti vigeva nel settore ambientale che qui interessa il D.P.R. n. 915 del 1982, che nelle varie attività di smaltimento dei rifiuti imponeva divieti e doveri, taluni dei quali pure rinforzati da sanzioni amministrative o penali, ma nondimeno nessuna delle previsioni conteneva specifici obblighi di fare del genere di quelli prescritti dal D.Lgs. n. 22 del 1997.

Soltanto l’art. 17 di detto decreto, successivo di almeno 9 anni all’epoca in cui la Pirelli aveva già ceduto la proprietà dell’area all’Eurogedil, ha introdotto la nuova disciplina invocata dalla società ricorrente che istituisce una misura ablatoria personale e comporta in capo al destinatario un obbligo di attivazione, consistente nel porre in essere determinati atti e comportamenti unitariamente finalizzati al recupero ambientale dei siti inquinati;

con la conseguenza che non potendosi la prima normativa ritenere un antecedente dell’art. 17, e non sussistendo alcun nesso di continuità fra dette norme succedutesi nel tempo, parte della dottrina e della giurisprudenza ne hanno escluso l’applicazione retroattiva anche per il disposto del 1 comma che impone al Ministero dell’Ambiente in concerto con altri Ministeri “entro tre mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto” di determinare “a) i limiti di accettabilità della contaminazione dei suoli, delle acque superficiali e delle acque sotterranee in relazione alla specifica destinazione d’uso dei siti; …..c) i criteri generali per la messa in sicurezza, la bonifica ed il ripristino ambientale dei siti inquinati, nonchè per la redazione dei progetti di bonifica. E perchè d’altra parte soltanto dopo la determinazione suddetta è possibile l’applicazione del comma 2, per il quale “Chiunque cagiona, anche in maniera accidentale, il superamento dei limiti di cui al comma 1, lett. a), ovvero determina un pericolo concreto ed attuale di superamento dei limiti medesimi, è tenuto a procedere a proprie spese agli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale delle aree inquinate e degli impianti dai quali deriva il pericolo di inquinamento”.

Pertanto sotto tale profilo la costruzione della responsabilità della Pirelli fondata sul menzionato art. 17, deve escludersi in radice.

4. La prospettiva non muta a favore della ricorrente recependo il diverso orientamento giurisprudenziale e dottrinario secondo cui,invece, la normativa dell’art. 17 è applicabile a qualunque situazione di inquinamento ancora in atto al momento dell’entrata in vigore del decreto legislativo indipendentemente dal momento in cui sono avvenuti i fatti che lo hanno provocato. Detto D.Lgs. n. 22 del 1997 prevede, infatti, che accanto alle responsabilità dell’inquinatore si collocano, ad ulteriore garanzia dell’esecuzione degli interventi previsti, quelle del proprietario del sito inquinato,pur stabilendo che le due responsabilità si fondano su presupposti giuridici diversi ed hanno differente natura: quella dell’autore dell’inquinamento, ai sensi del comma 2 del menzionato art. 17, costituisce una vera e propria forma di responsabilità oggettiva per gli obblighi di bonifica, messa in sicurezza e rispristino ambientale conseguenti alla contaminazione delle aree inquinate. Dalla quale è desumibile che l’obbligo di effettuare gli interventi di legge sorge, in connessione con una condotta “anche accidentale”, ossia a prescindere dall’esistenza di qualsiasi elemento soggettivo doloso o colposo in capo all’autore dell’inquinamento.

Tuttavia, ai fini della responsabilità in questione sono comunque pur sempre necessari: 1) la qualifica di “responsabile dell’inquinamento” (comma 3) nell’asserito autore del superamento dei limiti di cui all’art. 1; la quale, comportando ingenti oneri anche di natura economica, deve essere frutto di indagine specifica che implica una completa e puntuale ricognizione di comportamenti, commissivi o anche solo omissivi, di tipo antigiuridico che hanno dato luogo alle conseguenze negative per l’ambiente; e deve necessariamente essere svolta o comunque conclusa dall’ente dotato dalla norma del potere “di diffida a provvedere ai sensi del comma 2”; 2) il rapporto di causalità tra l’azione (o l’omissione) dell’autore dell’inquinamento; 3) il superamento – o pericolo concreto ed attuale di superamento – dei limiti di contaminazione, in coerenza con il principio comunitario “chi inquina paga”, principio che risulta espressamente richiamato dall’art. 15, direttiva n. 91/156, di cui il D.Lgs. del 1997 costituisce recepimento.

Nel caso invece neppure la Rubattino ha dedotto che sia stato intrapreso dal comune di Milano (ovvero dalla Provincia o dalla Regione Lombardia) un qualsiasi procedimento a carico della Pirelli per violazione delle disposizioni del ricordato art. 17; nè tanto meno di diffida alla stessa a provvedere a proprie spese agli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale delle aree inquinate. E la qualifica di “responsabile” dell’inquinamento, sistematicamente contestata dalla Pirelli, proviene non dagli accertamenti compiuti da taluna delle autorità suddette, bensì direttamente dalla ricorrente, e si esaurisce in un’apodittica accusa fondata su di una inconsistente sorta di presunzione tratta dalla destinazione del sito “ad uso opificio” riportata nell’atto di vendita del terreno all’Eurogedil.

E non essendo stata neppure indicata l’attività inquinante svolta dalla società, difetta in radice non solo l’allegazione del nesso di causalità tra di essa e l’inquinamento, ma anche la prova dell’esistenza ontologica di quest’ultimo nei termini postulati dalla norma, non avendo la soc. ricorrente neppure indicato quali fossero i limiti di accettabilità della contaminazione dei suoli fissati dal Ministero; e da quale documento risultasse che la Pirelli un decennio avanti li avesse superati.

5. Ancor meno convincente è la costruzione di una responsabilità di controparte fondata dalla ricorrente sul proprio diritto di surrogazione legale o di rivalsa in quanto nuovo proprietario del sito e perciò soggetto agli obblighi posti a suo carico dall’art. 17, di cui ancora una volta la Rubattino ha mostrato di non aver compreso il contenuto.

Per la responsabilità del proprietario,infatti, occorre fare riferimento al comma 10, dell’art. 17, che dispone che gli interventi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale costituiscono onere reale sulle aree inquinate; nonchè al comma 11 del medesimo articolo secondo cui le spese sostenute per la messa in sicurezza, la bonifica e il ripristino ambientale sono assistite da privilegio speciale immobiliare sulle aree medesime, esercitabile anche in pregiudizio dei diritti acquistati dai terzi sull’immobile. Dai quali è stato tratto il principio che chi subentra nella proprietà o possesso del bene subentra anche negli obblighi connessi all’onere reale, indipendentemente dal fatto che ne abbia avuto preventiva conoscenza; con la conseguenza che detto proprietario non si trova in alcun modo in una posizione analoga od assimilabile a quella dell’inquinatore, essendo tenuto a sostenere i costi connessi agli interventi di bonifica esclusivamente in ragione dell’esistenza dell’onere reale sul sito. In sostanza, il soggetto su cui grava l’obbligo di procedere a proprie spese agli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale è prima di tutto il responsabile della situazione di inquinamento, in seconda battuta, qualora “i responsabili non provvedano ovvero non siano individuabili” (comma 9), gli interventi necessari vengono comunque realizzati d’ufficio dal Comune o, in subordine, dalla Regione con privilegio immobiliare sulle aree bonificate per il recupero delle spese, esercitabile anche in pregiudizio dei diritti acquistati dai terzi sull’immobile. Per cui il proprietario, non responsabile della violazione, non ha l’obbligo di provvedere direttamente alla bonifica, ma solo l’onere di farlo se intende evitare le conseguenze derivanti dai vincoli che gravano sull’area sub specie di onere reale e di privilegio speciale immobiliare.

Nel caso la Rubattino ha ancora una volta invocato le ricordate disposizioni ignorandone del tutto i presupposti che le imponevano di documentare al giudice di merito “di essere stata gravata: 1) dall’onere reale sul sito di cui all’art. 17, comma 10; 2) dal privilegio speciale immobiliare di cui all’art. 17, comma 11; 3) dalle limitazioni al godimento del bene derivanti dalla presenza dell’inquinamento non tempestivamente rimosso”; ed ancor prima il presupposto a monte cui la norma subordina l’applicazione delle misure suddette nei confronti del proprietario: costituito dalla circostanza, neppure allegata dalla ricorrente, che la Pirelli, indicata quale responsabile della contaminazione da taluna delle autorità suddette aveva rifiutato di provvedere ad eseguire gli interventi di cui al comma 9, perciò inducendo il comune di Milano a deliberare e/o ad eseguire direttamente le operazioni di ripristino stabilite dalla norma.

Il Collegio deve aggiungere che la sentenza impugnata ha invece acquisito la prova della non ricorrenza nella fattispecie di un qualsiasi procedimento collegabile al menzionato art. 17 avendo accertato che la Paleo (dante causa della ricorrente) ancor prima di avere acquistato l’area già appartenuta alla Pirelli, nel novembre 1998 aveva stipulato una convenzione con il comune di Milano (che già aveva concluso al riguardo un accordo di programma con la Regione ed il Ministero L.P.) ed altri proprietari, in essa obbligandosi “a provvedere a propria cura e spese alla bonifica delle aree private e delle aree oggetto di cessione al comune di Milano e da asservire ad uso pubblico” onde ottenere le autorizzazioni necessarie a consentirle destinazioni urbanistiche diverse da quelle industriali in passato possedute dagli immobili suddetti; e che in esecuzione di detta convenzione – e non certamente di asserite obbligazioni derivanti dalla L. n. 22, art. 17 – la Paleo provvide successivamente ad acquistare dalla s.p.a. Primass, allora proprietaria, l’area appartenuta alla Pirelli, peraltro dichiarando di conoscerne lo stato di fatto e di diritto in cui si trovava. E perciò dimostrando,come accertato dalla Corte territoriale, di avere avuto egualmente convenienza ad acquistare e bonificare l’area trattandosi per la società acquirente di un onere volontariamente sostenuto “all’interno di un’ampia e lucrosa operazione immobiliare” per essa.

Per cui sono erroneamente invocati dalla ricorrente anche i principi sulla surrogazione legale (e/o sulla rivalsa consentita dalla legge);

la quale secondo la giurisprudenza di questa Corte,resa anche a sezioni unite, non si configura per il solo fatto di aver pagato il debito altrui, ed a maggior ragione in ogni caso di adempimento spontaneo di un’obbligazione da parte del terzo, ma solo in quello in cui colui che paga sia tenuto, con altri o per altri, al pagamento del debito, o sia comunque legato al debitore da un rapporto preesistente al pagamento, idoneo a giustificare l’esercizio dell’azione di regresso nei confronti del debitore.

6. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la soc.ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in favore della soc. Pirelli in complessivi Euro 8.200,00 di cui Euro 8.000,00 per onorario di difesa, oltre a spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 13 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 21 ottobre 2011

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