Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21884 del 28/10/2016


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Cassazione civile sez. lav., 28/10/2016, (ud. 15/06/2016, dep. 28/10/2016), n.21884

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – rel. Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17132-2015 proposto da:

T.M., c.f. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

FLAMINIA 388, presso lo studio dell’avvocato SALVATORE MARIA

PAPPALARDO, rappresentata e difesa dall’avvocato PATRIZIA TORNAMBE’,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

S.G.P. SOCIETA’ GESTIONE PERIODICI S.R.L., P.I. (OMISSIS);

– Intimata –

e da:

S.G.P. SOCIETA’ GESTIONE PERIODICI S.R.L., P.I. 00231840034, in

persona del rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA ENNIO QUIRINO VISCONTI 29, presso lo studio dell’avvocato

MARIO ANTONINI, che la rappresenta e difende unitamente all’avv.

GIULIANO GIUGGIOLI, giusta delega in atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

T.M., C.f. (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 1166/2014 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 23/02/2015 r.g.n. 911/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/06/2016 dal consigliere Dott. LUCIA ESPOSITO;

udito l’avvocato TORNAMBE’ PATRIZIA;

udito il P.M. in persona del sostituto procuratore generale Dott.

MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale, accoglimento del ricorso incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con sentenza depositata il 23 febbraio 2014 la Corte d’appello di Torino, decidendo a seguito di reclamo L. n. 92 del 2012, ex art. 1, comma 58 confermò la decisione del giudice di primo grado che aveva respinto la domanda proposta da T.M. nei confronti di S.G.P. Società Gestione periodici, avente ad oggetto l’annullamento del licenziamento intimato al predetto in forma orale, previo il riconoscimento della sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro qualificabile ai sensi dell’art. 1 del CCNL giornalisti, o, in subordine, dell’art. 2 dello stesso CCNL. Compensò le spese del grado.

2. La Corte territoriale pose a fondamento della decisione il rilievo in forza del quale, per la strutturale particolarità dell’iscrizione nell’elenco dei pubblicisti (non richiedente, come quella nell’elenco dei giornalisti, la preventiva iscrizione nel registro dei praticanti, l’esercizio continuativo della pratica giornalistica per almeno 18 mesi e il superamento della prova di idoneità professionale), la L. n. 69 del 1963, art. 45 in forza del quale “nessuno può assumere il titolo nè esercitare la professione di giornalista se non è iscritto all’albo professionale”, era riferibile esclusivamente all’albo dei giornalisti, e non anche a quello dei pubblicisti, con la conseguenza che l’attività di giornalista professionista espletata da soggetto non iscritto al relativo albo, se produttiva di effetti ex art. 2126 c.c. per il tempo in cui il rapporto aveva avuto esecuzione, non determina il diritto a continuare a svolgere la prestazione nè quello alla reintegrazione nel posto di lavoro. Sulla scorta di detti rilievi ritenne superata la domanda formulata ai sensi dell’art. 2 del CCNL, colpendo la prevista nullità in maniera indifferenziata le due tipologie di contratto giornalistico.

3. Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione il T. sulla base di unico articolato motivo, illustrato mediante memoria. Resiste con controricorso S.G.P. s.r.l., proponendo, altresì, ricorso incidentale in ragione di un solo motivo.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente deduce, con il primo motivo, violazione e falsa applicazione della L. n. 69 del 1963, artt. 1,26 e 45. Violazione e falsa applicazione dell’art. 12 disp. gen.. Violazione ed erronea applicazione del CCNL giornalisti artt. 1, 2 e 36 (art. 360 c.p.c., n. 3). Articola la censura in tre punti. Con il primo, suddiviso in tre sottosezioni – A) in ordine al contenuto delle norme regolanti la professione giornalistica, violazione art. 12 disp. gen.; B) in ordine alle norme collettive ed all’assunta diversità qualitativa tra professionisti e pubblicisti; C) sull’assunta contrarietà a norme imperative di legge del CCNL giornalisti nel disciplinare il rapporto di lavoro con i giornalisti pubblicisti – deduce che dal tenore delle disposizioni di legge non è dato trarre l’evidente discriminazione operata dalla Corte d’appello nei confronti dei pubblicisti. Rileva che il ragionamento della Corte riguardo alle diverse modalità di accesso all’iscrizione ai rispettivi elenchi dei giornalisti e dei pubblicisti determina l’inapplicabilità a questi ultimi delle tutele di cui alla contrattazione collettiva, creando di fatto una categoria di lavoratori privi di qualsiasi protezione. Osserva che dal combinato disposto degli artt. 5 e 36 del CCNL giornalisti si evince che non sussiste alcun divieto di estensione delle norme collettive ai pubblicisti.

Con il secondo punto censura la sentenza con riferimento al mancato accoglimento della domanda subordinata. Rileva una contraddizione nel ragionamento della Corte territoriale, osservando che non si riesce a comprendere se la domanda debba essere respinta perchè il contratto di categoria viola le norme imperative nel momento in cui disciplina la figura del pubblicista come lavoratore subordinato e quindi diviene inapplicabile, oppure perchè il contratto di categoria limita la propria applicazione esclusivamente ai giornalisti intesi come iscritti all’elenco professionisti. Osserva che, secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, è collaboratore fisso anche il giornalista che, pur non coprendo interamente uno specifico settore di informazione, offra la disponibilità a fornire un flusso continuo di notizie. Con il terzo punto il ricorrente pone in evidenza l’illegittimità del licenziamento, in ragione della sussistenza del rapporto di lavoro subordinato e delle modalità del licenziamento, intimato oralmente.

2. La censura, in relazione al primo punto, è priva di fondamento. La giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che “L’iscrizione nell’elenco dei pubblicisti non è idonea alla costituzione di un regolare rapporto di lavoro giornalistico o di praticantato giornalistico; peraltro, lo svolgimento di mansioni di redattore alle dipendenze di un’azienda giornalistica da parte di soggetto iscritto solamente in detto elenco non comporta la nullità del contratto per illiceità della causa o dell’oggetto e produce gli effetti previsti dall’art. 2126 c.c. per il tempo in cui il rapporto di lavoro ha avuto esecuzione, restando escluso che tra gli effetti fatti salvi rientri il diritto di continuare a rendere la prestazione o di pretenderne la esecuzione; di conseguenza, nel caso di accertamento della natura subordinata di un rapporto di lavoro giornalistico esercitato in mancanza di iscrizione nell’albo professionale ed in presenza della sola iscrizione nell’elenco dei pubblicisti, il giudice deve limitarsi a riconoscere il diritto alle differenze retributive ai sensi dell’art. 2126 c.c., comma 1, ma non può ordinare la riassunzione del lavoratore assumendone l’illegittimo licenziamento, atteso che nel contratto affetto da nullità per violazione di norma imperativa non è concepibile un negozio di licenziamento e non sono configurabili le conseguenze che la legge collega al recesso ingiustificato” (Sez. L, Sentenza n. 27608 del 29/12/2006, Rv. 594271). Alla luce dei richiamati principi risulta corretta l’interpretazione del contratto collettivo offerta dalla Corte territoriale. In ordine al secondo punto si evidenzia, quanto alla giurisprudenza citata dal ricorrente (Sez. L, Sentenza n. 11065 del 20/05/2014 (Rv. 630924), concernente il ruolo di “collaboratore fisso” attribuito al pubblicista, che la decisione richiamata, non involgendo il tema del licenziamento, non è in contrasto con il principio precedentemente enunciato. In ordine, poi, ai profili di contraddittorietà e illogicità della motivazione rilevati, si evidenzia che nella formulazione vigente ratione temporis, l’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo novellato ex L. n. 134 del 2012, non consente la denuncia di presunti profili di contraddittorietà della motivazione, ma, esclusivamente, di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”. Secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629831), il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5), introduce nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). A fronte della soluzione delle precedenti questioni, poi, non assumono importanza alcuna i rilievi svolti con riguardo alle modalità di comunicazione del licenziamento. Da tutto ciò consegue il rigetto integrale del ricorso.

3. Con il ricorso incidentale si censura la sentenza in relazione alla statuizione secondo la quale “la peculiare natura delle questioni trattate impone la compensazione fra le parti delle spese”, che si assume inidonea a rappresentare le gravi ed eccezionali ragioni che giustificano la compensazione ex art. 92 c.p.c., comma 2 nella formulazione risultante dalla novella del 2009.

3.2. Il ricorso sul punto è fondato. Va rilevato che, poichè il giudizio è stato introdotto successivamente all’entrata in vigore della L. 18 giugno 2009, n. 69, il testo della norma applicabile ratione temporis alla fattispecie consente la compensazione solo in presenza di soccombenza o nel concorso di “altre gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente indicate nella motivazione”. La locuzione “gravi ed eccezionali ragioni” è stata ricondotta nell’interpretazione offerta dalle Sezioni Unite di questa Corte – nell’alveo delle “norme elastiche”, quale clausola generale che il legislatore ha previsto per adeguarla ad un dato contesto storico-sociale o a speciali situazioni, non esattamente ed efficacemente determinabili a priori, ma da specificare in via interpretativa da parte del giudice del merito, con un giudizio censurabile in sede di legittimità, in quanto fondato su norme giuridiche (Cass. Sez. Un., 22 febbraio 2012, n. 2572). E’ noto che il giudizio di merito applicativo di norme elastiche è soggetto al controllo di legittimità al pari di ogni altro giudizio fondato su norme di legge, in quanto, nell’operazione volta a integrare una norma elastica (che, per la sua stessa struttura, si limita ad esprimere un parametro generale) il giudice di merito compie un’attività di interpretazione giuridica e non meramente fattuale, dando concretezza a quella parte mobile (elastica) della stessa, introdotta per consentire alla norma stessa di adeguarsi ai mutamenti del contesto storico-sociale. Nell’esercizio di tale sindacato di legittimità la Corte ha negato che possano essere ricondotte nella clausola generale delle “gravi ed eccezionali ragioni” di cui alla formulazione dell’art. 92 c.p.c., secondo la modifica introdotta dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 45, comma 11, espressioni che, come quella in esame (“la peculiare natura delle questioni trattate”), per la genericità del riferimento utilizzato, sono riconducibili alle ragioni di ordine equitativo assimilabili alla definizione dei “giusti motivi” ritenuta congrua dalla giurisprudenza formatasi nella vigenza della precedente disciplina (in tal senso Cass. n. 319/2014; Cass. n. 16037/2014; Cass. n.24634/2014 e, da ultimo, Cass. Sez. L, Sentenza n. 1521 del 27/01/2016, Rv. 638331). Conseguentemente la sentenza impugnata va cassata sul punto, con rinvio al giudice del merito che provvederà anche alla regolamentazione delle spese del presente giudizio.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale, accoglie quello incidentale. Cassa e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Torino in diversa composizione.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 15 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 28 ottobre 2016

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